Piena legittimazione dell’art. 55 da parte della Corte costituzionale


Gianfranco Marocchi | 29 Giugno 2020

La coprogettazione e la coprogrammazione, e in generale le strategie di amministrazione della cosa pubblica basate sul principio di collaborazione, sono da tempo al centro di crescenti attenzioni da parte di enti locali e Terzo settore e sono sempre più numerosi i casi in cui si ricorre a questo tipo di strumenti per realizzare in ottica collaborativa interventi nei settori di interesse generale.

Questo orientamento, che ben traduce nei fatti il principio costituzionale di sussidiarietà, ha avuto un punto di snodo nell’art. 55 del Codice del Terzo settore, che considera l’approccio collaborativo in qualche modo “ordinario”, nel senso di non legato a fattori specifici quali la particolare sperimentalità dell’intervento come avveniva nella legge 328/2000, ma al reciproco riconoscimento di istituzioni e Terzo settore delle comuni finalità perseguite.

Al tempo stesso la coprogettazione era stata al centro di una insidiosa censura da parte del Consiglio di Stato, che nell’agosto 2018, a partire da un quesito di ANAC nell’ambito di una situazione specifica (un gruppo di lavoro sui temi dell’accoglienza ai migranti) aveva redatto un parere che limitava notevolmente gli spazi per la coprogettazione, affermando – in sintesi – che laddove gli interventi sociali implichino impegni economici anche da parte delle pubbliche amministrazioni, il diritto eurounitario imporrebbe di configurare le relazioni con gli Enti di Terzo settore secondo le previsione del Codice dei contratti pubblici; in sostanza, affermava il Consiglio di Stato, non si facciano coprogettazioni ma appalti.

Tale posizione, oltre ad essere stata duramente criticata su Welforum (Marocchi – 31.08.18De Ambrogio – 06.09.18Marocchi – 10.09.18; Borzaga – 23-09-19), era stata confutata in modo analitico da insigni giuristi; ma indubbiamente una posizione del Consiglio di Stato, anche se resa sotto forma di parere indirizzato ad un altro organo dello Stato e non di sentenza, rappresentava un deterrente non secondario alla coprogettazione.

Vi è da dire che comunque questa posizione del Consiglio di Stato non aveva fortunatamente depresso più di tanto la propensione degli Enti locali a coprogettare e una semplice ricerca su internet mostra come siano centinaia i comuni e gli enti gestori dei servizi socioassistenziali ad avere coprogettato anche successivamente a tale pronunciamento; nondimeno, molti altri enti risultarono intimoriti e abbandonarono gli strumenti collaborativi e in generale la coprogettazione è stata in questi mesi adottata non senza incertezze e apprensioni da parte degli amministratori pubblici.

Questo stato di incertezza sembra definitivamente terminato con la sentenza della 131 della Corte costituzionale del 26/6/2020. Tale sentenza della Corte costituzionale interviene a proposito della LR 2/2019 della Regione Umbria a seguito dell’azione del Governo che ritiene illegittima la scelta della Regione Umbria di ampliare le previsioni dell’art. 55 anche alle cooperative di comunità.

 

In altra sede ci si potrà occupare di ciò che la sentenza ha disposto nel merito della legge regionale umbra; per ciò che qui è trattato, l’aspetto dirimente è che, nel ricostruire le argomentazioni delle parti, la Corte costituzionale afferma nel modo più nitido possibile la legittimità dell’art. 55 e ricostruisce in termini estremamente solidi le origini di tale previsione, evidenziandone la diretta derivazione Costituzionale e il fondamento nella natura peculiare degli Enti di Terzo settore.

Le resistenze del Consiglio di Stato, anche se non citate direttamente, sono nei fatti spazzate via da questa più alta espressione. La supposta incompatibilità dell’art. 55 con il “diritto eurounitario” accampata dal Consiglio di Stato? Smentita e ribaltata, giustamente richiamando come lo stesso diritto dell’Unione mantenga “in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà”. La presunta insufficienza della legge 241/1990 a governare gli aspetti procedimentali? Dissolta, nel momento in cui la si riconosce alla base di un “procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.”

Le parole della Corte costituzionale sono riprodotte in calce all’articolo e la loro lettura non lascia dubbi circa la piena e definitiva legittimazione dell’utilizzo dell’art. 55.

 

Alcune considerazioni, ad esito di questa vicenda

La prima, molto generale, riguarda la necessità che i corpi dello Stato non manchino di agire con un profondo senso istituzionale, evitando parzialità e faziosità che hanno caratterizzato questa vicenda. La Corte costituzionale ha di fatto riaffermato la lettera e lo spirito profondo di una legge dello Stato, una legge, lo ricorda la Corte, di diretta derivazione costituzionale e frutto di due anni di dibattiti parlamentari. Il parere del Consiglio di Stato di due anni fa, con argomentazioni giuridiche fragilissime, in sede tecnica in una decina di giorni estivi, si era spinto a chiederne la disapplicazione (!), con conseguente diffuso disorientamento. Vi è da sperare che ora non si debba più assistere a casi simili.

La seconda è che in questi mesi le argomentazioni oggi in toto fatte proprie dalla Corte costituzionale sono state sostenute da due tipi di soggetti, che hanno agito all’unisono: chi, armato di penna e tastiera, ha mantenuto vive le ragioni dell’amministrare in modo collaborativo e condiviso e chi, come amministratore locale, pur tra tutte le incertezza, ha ritenuto che i benefici pubblici derivanti dalla collaborazione valessero qualche apprensione che immaginiamo ci sia stata nel firmare un avviso di coprogettazione in questi due anni; ma in tutto ciò la politica è invece stata assente, ha delegato alle corti il compito di dirimere una questione che avrebbe dovuto invece vederla come protagonista.

Comunque sia, ora che le nubi si sono dissolte, si tratta di definire, con maggiore serenità, strumenti utili agli amministratori locali (ne sono un esempio questi materiali di ANCI Emilia-Romagna) e linee guida che favoriscano una diffusa e corretta adozione degli strumenti collaborativi. Questo è il lavoro che ci attende nei prossimi mesi.

 

 

Estratto della sentenza 26 giugno 2020, n. 131 della Corte costituzionale

“Il citato art. 55, che apre il Titolo VII del CTS, disciplinando i rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, rappresenta dunque una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.

Quest’ultima previsione, infatti, ha esplicitato nel testo costituzionale le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della «profonda socialità» che connota la persona umana (sentenza n. 228 del 2004) e della sua possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile» (sentenza n. 75 del 1992): fin da tempi molto risalenti, del resto, le relazioni di solidarietà sono state all’origine di una fitta rete di libera e autonoma mutualità che, ricollegandosi a diverse anime culturali della nostra tradizione, ha inciso profondamente sullo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese. Prima ancora che venissero alla luce i sistemi pubblici di welfare, la creatività dei singoli si è espressa in una molteplicità di forme associative (società di mutuo soccorso, opere caritatevoli, monti di pietà, ecc.) che hanno quindi saputo garantire assistenza, solidarietà e istruzione a chi, nei momenti più difficili della nostra storia, rimaneva escluso.

Nella suddetta disposizione costituzionale, valorizzando l’originaria socialità dell’uomo (sentenza n. 75 del 1992), si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese.

Si è identificato così un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013).

È in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., che l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria – strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi dall’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328) -.

L’art. 55 CTS, infatti, pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS.

Ciò in quanto gli ETS sono identificati dal CTS come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (art. 4), rivolti a «perseguire il bene comune» (art. 1), a svolgere «attività di interesse generale» (art. 5), senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8), sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11) e a rigorosi controlli (articoli da 90 a 97).

Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici: secondo le disposizioni specifiche delle leggi di settore e in coerenza con quanto disposto dal codice medesimo, agli ETS, al fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale.

Gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”.

Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.

Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.

Del resto, lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA e a. e Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 11 dicembre 2014, in causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., che tendono a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali).