Costi abitativi e città

OCA, un osservatorio per qualificare il dibattito sull’affordability a Milano


Marco PeveriniMassimo Bricocoli | 5 Settembre 2022

Quando la città chiede più di quel che dà

Il tema della sproporzione tra redditi e costi della casa è salito alla ribalta in modo inconsueto e straordinario sui maggiori quotidiani nazionali, grazie ad un intervento sui social da parte di un giovane scrittore che proprio in questi ultimi due anni ha guadagnato riconoscimento e notorietà. Il suo semplice intervento esprime con grande chiarezza quali sono i rischi cui una città come Milano va incontro. Chi pure inizia ad avere successo e necessita di uno spazio in cui poter abitare e sviluppare la propria esistenza si scontra con costi eccessivi rispetto alla propria capacità di spesa. Jonathan Bazzi è cresciuto a Rozzano – città a forte connotazione pubblica, situata a sud del confine amministrativo di Milano – e ha aspirato a trasferirsi a Milano proprio perché vedeva questa come una condizione fondamentale e decisiva per il proprio futuro e per dare spazio alle sue doti. Ora, dovendo cambiare casa, comunica il rischio di dover cambiare città, perché non può permettersi di abitare a Milano.

 

La qualità di una città è da sempre legata alla sua capacità di essere luogo di incontro, di innovazione, di sviluppo, di nascita di nuove idee. E questa condizione è fortemente dipendente dalla sua capacità di accogliere una moltitudine di individui diversi, che nella città trovano fattori di moltiplicazione e combinazione delle proprie capacità, competenze, idee.

Condizione essenziale per poter vivere in una città è essere in grado di sostenere i costi abitativi di un alloggio adeguato e dignitoso. Nella letteratura internazionale la relazione tra costi abitativi e capacità economica (generalmente il reddito) è detta housing affordability. L’affordability può essere intesa come un fattore costitutivo dell’abitare, che influenza la qualità della vita e la giustizia sociale e spaziale delle città. Rappresenta il peso dei costi abitativi sui redditi degli abitanti, ma indica anche il grado di accessibilità della città per nuove popolazioni, specialmente a basso e medio reddito, e dunque la capacità della città di essere (o meno) una piattaforma per il miglioramento socioeconomico, oppure una trappola di povertà. Anche se ci sono molte interpretazioni del concetto, un assunto consolidato indica che, per essere affordable – ossia economicamente sostenibile – la spesa per l’abitazione non debba superare il 30% del reddito (Bramley 2012). Questo dovrebbe essere assunto quale obiettivo minimo.

Mentre si fregiano di attrarre investimenti e funzioni qualificate, di promuovere politiche green e smart (Cucca, 2012), molte città si confrontano oggi con un aumento dei costi abitativi che mette in grande difficoltà le fasce di popolazione a reddito basso e incerto ma anche chi, con profilo qualificato e reddito medio, vi approda per lavoro e si scontra con una crescente difficoltà a trovare alloggi a costi accessibili e a godere di una qualità della vita accettabile.

Persiste – da parte di un esteso blocco sociale e politico – la tendenza a misurare il successo di una città e della sua amministrazione secondo la crescita dei valori immobiliari e la capacità di attrarre capitali e risorse (non da ultimo, umane). A fronte di questa narrazione, l’andamento dei valori immobiliari e l’attrattività territoriale andrebbero però confrontate con gli effetti che le dinamiche immobiliari causano in termini di diseconomie, di stratificazione ed esclusione progressiva dai benefici della vita urbana di chi pur contribuisce alla vita della città, ma non è in grado di sostenerne individualmente i costi. La relazione tra sviluppo urbano, accesso alla casa e popolazione urbana è un tema per molti versi classico della letteratura e delle politiche di welfare. Oggi emergono tuttavia tratti che ne segnano la rilevanza e la complessità: la crescita progressiva della quota di proprietari, la mercificazione della casa e la finanziarizzazione estensiva del mercato immobiliare, la residualizzazione delle politiche abitative (Cavicchia e Peverini, 2021).

In questo quadro, secondo varie stime, la proporzione tra costi abitativi e redditi è diventata assai critica. Tuttavia, a fronte di un mercato del lavoro che in Italia si caratterizza per redditi tra i più bassi d’Europa e in un contesto che ha visto una sempre più marcata rappresentazione della casa come oggetto di investimento e una crescente finanziarizzazione del mercato immobiliare, la relazione tra costi abitativi e redditi è stata progressivamente ignorata, sia dalle politiche che dalla ricerca.

 

Il successo di una città si misura dalla crescita dei valori immobiliari? Milano quale emblema di crescita e tensione abitativa

 A Milano, come in altre città in fase di crescita, il livello elevato dei costi abitativi in affitto e in vendita rispetto ai redditi disponibili (l’affordability) e la relativa competizione indotta nell’accesso alla casa hanno l’effetto di disegnare linee di faglia tra categorie sociali vincenti e perdenti nell’economia metropolitana.

La dinamica dei costi delle abitazioni, disgiunta da quella dell’occupazione e dei redditi, ha fatto sì che per una parte crescente della popolazione sostenere il costo di un’abitazione decente a Milano sia estremamente difficile. Secondo numerosi rapporti, Milano è tra le peggiori città europee per peso degli affitti sui redditi. A Milano, il livello medio degli affitti ha raggiunto il costo di circa 240€/mq annui e lo stock controllato da Aler e Comune e offerto a costi molto bassi si ferma al 10% (molto diminuito dopo i piani di vendita1). Il reddito medio dei lavoratori a Milano in un terzo dei casi è inferiore ai 15.000 euro l’anno e per il 60% al di sotto di 26.000 euro l’anno2. Una persona con uno stipendio di 1.500 euro netti al mese potrebbe permettersi – spendendo al massimo il 30% del suo reddito netto per il canone (senza tenere conto delle spese condominiali) – un alloggio di soli 45 mq in periferia, di meno di 25 mq nel semicentro e addirittura di meno di 18 mq nel centro, sempre che tale alloggio lo si trovi, vista la scarsità di offerta e la tendenza al rialzo (Bricocoli, Peverini, Tagliaferri, 2021). A ciò, si aggiungono un tasso di disoccupazione pari al 5,8% e un mercato del lavoro segnato da contratti a tempo determinato (cresciuti del 50% nel decennio) e da stipendi contenuti per molte fasce di lavoratori, soprattutto nel campo dei servizi, fattori che rendono virtualmente impossibile rispettare le garanzie richieste per accedere a un mutuo o anche a un semplice contratto di affitto.

 

A proposito di affordability, è ricorrente il riferimento a infermieri e tramvieri quali esempi di lavoratori a reddito medio basso sui quali i costi abitativi pesano fortemente. Si tratta di lavoratori cosiddetti “utili”, dei quali è facile cogliere la necessità per la città, per il suo funzionamento. Ma si tratta appunto di una visione molto funzionalista – quasi aziendale – della città. Infermieri, tramvieri, certamente gli studenti universitari (per i quali è in forte espansione il mercato assai lucrativo delle residenze universitarie, ampiamente supportate da finanziamenti pubblici) – così come i riders che quotidianamente arrivano dall’hinterland metropolitano per portare pasti a domicilio. Sono categorie importanti per la città, ma occorre fare attenzione al rischio che la città sia vista come una macchina che ha da funzionare, mentre la ricchezza di una grande città poggia sulla capacità di saper accogliere moltitudini che spesso un mestiere ancora non lo hanno. Nella sollecitazione di Jonathan Bazzi, così come nella realtà di molti lavoratori fuori sede che ricevono supporto economico dalle famiglie di origine per sostenere gli “extra costi” imposti dai costi abitativi, si evidenzia il rischio di una città che prende più di quello che riesce a dare.

Come può reggersi una tale contraddizione? Da un lato, si assiste al fenomeno preoccupante di chi, infatti, va in crisi con i pagamenti: secondo il Sicet, al 31 dicembre 2019 risultavano presso il Tribunale di Milano 16.513 richieste di esecuzione di sfratti, cui vanno aggiunte 3.500 richieste di convalida cumulate durante la pandemia, per un totale di 20.013 famiglie sottoposte a provvedimento di sfratto, che nella quasi totalità dei casi si riconosce dovuto a “morosità incolpevole”. Dall’altro, almeno in parte, si osserva la progressiva “esternalizzazione” delle funzioni meno pregiate, anche abitative (cioè l’espulsione di nuclei e individui più poveri). Nelle aree periferiche, suburbane e periurbane il settore delle costruzioni continua a giovarsi del surplus di domanda insoddisfatta dal centro e i comuni della cintura metropolitana di Milano tendono a diventare il bacino abitativo (e di consumo di suolo) per quel ceto di reddito basso e medio-basso che cerca faticosamente di pagare un po’ meno per la casa.

Il risultato è l’insediamento dei meno abbienti – gli esclusi dal mercato residenziale – in contesti che si configurano sempre più come “quartieri dormitorio”, con esternalità che pesano sulle esperienze di vita individuale, come gli effetti di congestione che producono i disagi del pendolarismo e che gravano sui servizi (di welfare, di trasporto) e sugli equilibri sociali e ambientali dei contesti insediativi (Camagni et al. 2002). La prospettiva, per molti, è quella di trasferirsi nei centri dell’area metropolitana in assenza di un governo metropolitano che garantisca condizioni di qualità e mobilità adeguate. Da qui, mentre le politiche comunali tendono – per l’appunto – ad agire dentro ai confini amministrativi, sentiamo l’esigenza di allargare il campo di osservazione alla scala metropolitana, considerando le relazioni che la città centrale stabilisce con il resto del territorio.

 

L’Osservatorio Casa Affordable (OCA) di Milano metropolitana

L’Osservatorio Casa Affordable (OCA) di Milano Metropolitana avrà l’obiettivo di monitorare le dinamiche di sostenibilità dei costi abitativi, nell’alveo degli studi sull’housing affordability, in riferimento alla città metropolitana di Milano. L’osservatorio è promosso e finanziato dal Consorzio Cooperative Lavoratori (CCL) di Milano e dalla cooperativa di abitanti Delta Ecopolis in partnership con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) del Politecnico di Milano che ne cura, attraverso chi scrive, il coordinamento e la regia scientifica insieme ad un comitato interdisciplinare e internazionale (composto da Jennifer Barenstein, ETH, Zurigo; Marianna Filandri, Università di Torino; Angelo Salento, Università del Salento; Raffaella Saporito, SDA Bocconi, Milano).

Le attività si articoleranno in una estensiva raccolta e analisi dei dati riguardanti: profili e distribuzione dei costi abitativi (canoni di locazione, costi dei mutui, spese condominiali, spese correnti; consistenza, profili e distribuzione dei redditi) e in una attività di lavoro sul campo intesa a tracciare e descrivere le conseguenze dei costi abitativi su individui, comunità e territori della Città Metropolitana di Milano. I risultati della ricerca saranno restituiti nella forma di un rapporto annuale, che verrà presentato nella primavera di ogni anno a partire dal 2023, accompagnato da materiali e informazioni disponibili su web e social.

La percezione di un crescente squilibrio tra costi abitativi e redditi è lampante e comincia a entrare nel senso comune delle persone, anche se ancora fatica a venire assunta nella visione di amministratori e politici. Il ruolo di OCA sarà quello di verificare questa ipotesi, ma anche capire e mostrare quali sono le conseguenze di un mercato escludente: come fanno le persone a organizzarsi un tetto sopra la testa? A quale prezzo? Sullo sfondo, all’orizzonte le prospettive di policy. Quali politiche e programmi possono essere disegnati per contrastare il fenomeno e articolare un sistema di offerta abitativo più inclusivo?

Raccogliamo volentieri segnalazioni, espressioni di interesse e di possibili contributi, oltre che i contatti per la costruzione di una mailing list presso: oca-dastu@polimi.it.

  1. Anche la quota di alloggi in affitto sociale è molto bassa: le cooperative hanno solo l’1% dello stock, mentre l’housing sociale si mantiene su quantità ancora minori.
  2. Stime calcolate sulla base dei dati dei contribuenti Irpef relativi al 2021.