Nel nostro Paese il fenomeno delle diseguaglianze, esploso in seguito agli anni della pandemia, continua a produrre i suoi effetti in termini di ampliamento della forbice tra ricchi e poveri, con conseguente aumento della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi1, e di allargamento della platea dei poveri stessi, con iniqua distribuzione del fenomeno e progressiva cronicizzazione delle situazioni di fragilità.
Tra le categorie di popolazione più colpite da ogni tipo di deprivazione – povertà economica, lavorativa, alimentare, abitativa, sanitaria ed educativa – vi sono i cittadini stranieri, spesso inseriti in un vero e proprio “circolo dello svantaggio sociale”, che genera difficoltà di entrata e permanenza nel mercato del lavoro, minor reddito disponibile e più bassa possibilità di risparmio, nonché criticità rispetto all’accesso e mantenimento dell’abitazione, al diritto all’istruzione, alle cure sanitarie e ad un’alimentazione adeguata.
La povertà tra gli stranieri è 4,5 volte quella degli italiani
Secondo le ultime statistiche sulla povertà pubblicate da ISTAT lo scorso 17 ottobre, nel 2023 gli stranieri in povertà assoluta2 sono oltre 1,7 milioni, con un’incidenza pari al 35,1%, oltre 4,5 volte superiore a quella dei cittadini italiani (7,4%). Sono invece 568 mila le famiglie in povertà assoluta composte esclusivamente tra stranieri, con un’incidenza del 35,1%, oltre 5,5 volte in più di quelle composte da soli italiani (6,3%).
Il 35,8% delle famiglie con almeno uno straniero in condizioni di povertà assoluta risiede nel Mezzogiorno, dato che si alza al 39,5% per quei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri, contro l’8,8% delle famiglie di soli italiani. Nelle Regioni del Centro Italia le famiglie povere con stranieri mostrano un’incidenza più contenuta, sebbene 7 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani (28,5% vs 4,1%), mentre al Nord arrivano a valori dell’incidenza pari a oltre 6 volte quelli delle famiglie di soli italiani (35% vs 5,5%). Le difficoltà maggiori si presentano per quei nuclei stranieri in cui la persona di riferimento è in cerca di occupazione (37,7%) o occupata come operaio e assimilato (37,2%) e, infine, per le famiglie di soli stranieri in cui sono presenti minori (41,4%).
Pubblicati il 26 marzo 2025, i dati ISTAT sulle condizioni di vita e reddito delle famiglie stimano che nel 2023 le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto medio pari a 37.511 euro, circa 3.125 euro al mese. Evidenti sono le differenze con le famiglie in cui è presente almeno un cittadino straniero: il reddito mediano di questi nuclei sarebbe, infatti, inferiore di 5.400 euro rispetto a quello delle famiglie composte da soli italiani. Tali disuguaglianze si accentuano poi nel passaggio dal Nord al Mezzogiorno, dove il reddito mediano delle famiglie con almeno uno straniero è pari al 62% di quello delle famiglie di soli italiani.
A completamento di tale quadro, occorre anche tenere conto del fatto che i cittadini stranieri presentano minori possibilità di accesso alle misure di sostegno al reddito. A dirlo è il report dell’Osservatorio AdI-SFL di INPS, pubblicato lo scorso 30 gennaio: nonostante la riduzione da 10 a 5 anni del requisito di accesso relativo alla residenza, a dicembre 2024, degli oltre 607 mila beneficiari di Assegno di Inclusione, solo il 5,3% è rappresentato da cittadini stranieri, per un totale di poco più di 32 mila persone, pari soltanto all’1,9% del totale dei nuclei stranieri in condizioni di povertà assoluta.
Lavoratori stranieri tra occupazione dequalificata e lavoro povero
Se fino a qualche anno fa il lavoro rappresentava un fattore di protezione contro la povertà, oggi avere un impiego spesso non basta ad evitarne lo scivolamento. Ne è una dimostrazione la sempre maggiore diffusione del fenomeno dei working poor, ossia dei lavoratori con redditi inferiori alla soglia di povertà, spesso occupati in mansioni a bassa remunerazione e qualifica, con carriere lavorative precarie, segmentate e irregolari, e con contratti di lavoro non standard.
Buona parte dell’occupazione povera in Italia è rappresentata proprio da lavoratori di origine straniera, che continuano ad essere occupati prevalentemente in lavori manuali e a bassa qualifica, da cui derivano retribuzioni inferiori e limitate capacità di risparmio. Il Rapporto Immigrazione 2024 di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes dello scorso 21 ottobre mette in evidenza come il 70,8% dei rapporti di lavoro attivati in Italia nei confronti di cittadini stranieri siano a tempo determinato e come sia ancora ampiamente diffusa la tendenza secondo cui migranti altamente istruiti siano occupati in posizioni per le quali risultano sovraqualificati.
Secondo ISTAT, il rischio di essere un lavoratore a basso reddito3, oltre ad essere più alto per le donne rispetto agli uomini e per gli occupati più giovani rispetto a quelli più anziani, è decisamente più marcato per gli stranieri rispetto agli italiani (35,2% vs 19,3%). Se si considera il rischio di povertà lavorativa4, lo svantaggio è ancora più netto: risultano a rischio di povertà lavorativa il 22,6% dei cittadini stranieri, contro l’8,9% stimato per gli italiani.
Infine, i dati evidenziano la tendenza, nel tempo, alla riduzione del divario tra le condizioni economiche di chi lavora – soprattutto in mansioni a bassa qualifica – e di chi è in cerca di occupazione. Infatti, se l’incidenza della povertà assoluta va dal 16,5% delle famiglie con persona di riferimento occupata come operaio e assimilato al 20,7% dei nuclei con p.d.r. in cerca di occupazione, il divario si riduce ulteriormente, quasi fino ad azzerarsi, se si considerano i nuclei composti da cittadini stranieri (37,2% vs 37,7%).
Elevata la dispersione scolastica e l’incidenza dei NEET
Povertà, instabilità lavorativa e isolamento sociale del nucleo familiare condizionano anche i percorsi scolastici dei quasi 915 mila alunni stranieri presenti nelle scuole italiane (+4,9% rispetto al 2023, pari all’11,2% del totale degli studenti), dando vita ad abbandoni, dispersione e ritardi. Il report ISTAT su livelli di istruzione e ritorni occupazionali del 17 luglio scorso evidenzia come nel 2023 il tasso di abbandono precoce degli studi tra i giovani con cittadinanza straniera sia pari a 3 volte quello degli italiani (26,9% vs 9%) e come tenda a crescere in relazione all’aumentare dell’età di arrivo in Italia (41,2% tra chi è arrivato nel nostro Paese tra i 16 e i 24 anni, 33,4% per chi aveva 10-15 anni, 19,1% tra chi è arrivato entro i primi nove anni di vita). Il ritardo scolastico causato da ripetenze e da inserimenti ritardati, le difficoltà nel completamento e proseguimento degli studi, e l’abbandono scolastico si sommano all’aumento delle certificazioni relative a disturbi dell’apprendimento, spesso confuse con “normali” difficoltà iniziali di apprendimento linguistico o orientamento, generando però discriminazioni e stigma.
Come evidenzia il report ISTAT sopracitato, un altro tema rilevante tra i giovani stranieri riguarda la quota di NEET (Not in Education, Employment or Training), ossia di giovani 15-29enni che non lavorano, non studiano e non sono in formazione. Dopo l’esplosione del fenomeno negli anni della pandemia, che in Italia ha raggiungo il 23,5% della popolazione giovanile, nel 2023 l’incidenza dei giovani NEET è scesa al 16,1% (-2,9% rispetto al 2022), contro una media UE dell’11,2%. Nonostante tale riduzione, il nostro Paese è ancora al secondo posto per incidenza del fenomeno, dopo la Romania. Se si considerano i giovani stranieri, tale quota sale al 25,2%, oltre un giovane di origine straniera su 4, registrando una vera e propria esplosione tra le giovani donne straniere (35,8%, più di una giovane su 3).
Consistenti difficoltà di accesso alla casa e alla salute
Secondo le stime ISTAT sulla povertà, nel 2023 sono circa 1 milione le famiglie povere in affitto, con un’incidenza del 21,6%, contro il 4,7% delle famiglie povere che vivono in abitazioni di proprietà. Tra le famiglie povere con cittadini stranieri il 76,8% vive in affitto e soltanto il 12,5% ha una casa di proprietà. I nuclei familiari con almeno uno straniero, dunque, mostrano livelli di povertà assoluta superiori rispetto alle famiglie in affitto interamente composte da italiani: tale incidenza è 2,5 volte maggiore (37% vs 15%). Ma il disagio abitativo rappresenta un’emergenza molto più ampia: sono sempre più le famiglie che vivono in condizioni abitative inadeguate, che faticano a pagare affitto, mutuo e bollette, e che subiscono sfratti per morosità. Se si guarda alla popolazione straniera, le minori disponibilità economiche, i canoni rialzati e le proposte di locazione non contrattualizzate rendono ancor più difficoltoso l’accesso alla casa, costringendo gli stranieri a ripiegare su abitazioni qualitativamente inadeguate e collocate in zone periferiche, alimentando così un circolo di disagio e ghettizzazione.
Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio sulla povertà sanitaria di Banco Farmaceutico, nel 2023 si trovano in condizioni di povertà sanitaria5 circa 436 mila persone, il 51% di queste è rappresentato da cittadini stranieri. Inoltre, è noto che la limitazione di visite mediche e la rinuncia alle cure per motivi economici, che ha coinvolto rispettivamente 4,4 e 3,3 milioni di famiglie, colpisce soprattutto i nuclei in condizione di povertà, di cui i cittadini stranieri costituiscono una larga parte. A questo quadro si aggiunge il fatto che spesso la fruibilità dei servizi e delle cure mediche non è di facile accesso soprattutto per i cittadini provenienti da paesi non comunitari che si trovano in una condizione socio-economica di marginalità, ulteriormente limitata dalle recenti modifiche introdotte all’iscrizione al SSN per gli stranieri extracomunitari.
Infine, strettamente legato al tema della povertà sanitaria vi è quello della povertà alimentare, che nel 2023 torna a crescere, interrompendo il trend positivo degli ultimi anni. Secondo il rapporto ActionAid sulla povertà alimentare in Italia, pubblicato l’11 ottobre scorso, la deprivazione alimentare materiale e/o sociale, che stima gli individui che per motivi economici non hanno accesso a cibo adeguato e/o non partecipano a eventi sociali legati alla condivisione del cibo, ha raggiunto 5,3 milioni di persone. Quasi 2 milioni di famiglie si trovano invece a rischio di povertà alimentare, dichiarando di aver subito un impoverimento rispetto all’anno precedente e di aver ridotto la quantità e/o qualità del cibo acquistato. Tra le categorie più colpite da entrambi gli indicatori vi sono proprio i cittadini e le famiglie straniere, con incidenze rispettivamente del 23,5% e del 15,3%, quasi 2,5 volte superiori rispetto a quelle stimate per gli italiani (9,6% e 6,2%).
- Il Rapporto Oxfam 2025 Povertà ingiusta e ricchezza immeritata fotografa ampi squilibri nella distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane mettendo in luce come, nel 2024, il 5% più ricco delle famiglie detenga quasi 3/5 della ricchezza nazionale, possedendo quasi il 20% in più della ricchezza complessivamente detenuta dal 90% più povero.
- ISTAT classifica come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per Regione e per tipo di Comune di residenza).
- Lavoratori che hanno lavorato almeno un mese nell’anno e hanno percepito un reddito netto da lavoro inferiore al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito netto da lavoro relativa all’anno corrente.
- Individuo che vive in una famiglia a rischio di povertà e che ha lavorato per più della metà dell’anno.
- Sono considerati in povertà sanitaria coloro che hanno dovuto chiedere aiuto a una delle realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure che, altrimenti, non avrebbero potuto permettersi.