Gli assistenti sociali sono il servizio sociale?

Alcune osservazioni alla luce della recente ricerca empirica sull’adeguatezza dei percorsi educativi della professione


Luca Fazzi | 11 Settembre 2025

Una sovrapposizione legittima?

Negli ultimi venti anni si è imposta nel dibattito pubblico l’idea che il servizio sociale e gli assistenti sociali siano concetti intercambiabili e sovrapponibili. Nell’attuale sistema giuridico, in effetti, gli studi di servizio sociale sono propedeutici a sostenere l’esame di stato che qualifica all’esercizio del ruolo di assistente sociale. I percorsi educativi di servizio sociale possono tuttavia anche formare laureati che liberamente decidono di non diventare assistenti sociali, e di lavorare ciononostante nel sociale in modo professionale.

Le ragioni che sostengono che la finalità dei percorsi educativi per il servizio sociale sono di fornire competenze e conoscenze per svolgere la professione di assistente sociale sono diverse:

  • in primo luogo, la costruzione del welfare locale in Italia sul finire degli anni 80 ha creato le condizioni per istituzionalizzare una figura professionale di funzionario pubblico che incrociava in parte le caratteristiche dei percorsi educativi delle scuole a fini speciali di servizio sociale i percorsi accademici in servizio sociale sono stati orientati quindi a formare queste figure, pur non precludendo mai la possibilità di terminare il corso di studio e di lavorare in campo sociale senza il titolo dell’esame di stato
  • in secondo luogo, la finalizzazione dei percorsi educativi nel formare la figura istituzionalizzata dell’assistente sociale; contrassegnati da requisiti incentrati su una forte formalizzazione sia di contenuti che di criteri di insegnamento (si pensi alle vecchie proposte dell’ordine nazionale di fare insegnare materie professionali solo a persone con il titolo di assistente sociale o le più recenti che vincolano la partecipazione agli esami di stato anche per i laureati in magistrale al conseguimento del titolo di servizio sociale in triennale), è stata promossa e rivendicata con il fine di legittimare sia una professionalità specifica dei laureati che gli interessi corporativi ad essa connessi;
  • in terzo luogo, anche il dibattito e la ricerca accademica e professionale hanno trovato forti punti di coesione sia nel definire un’area di conoscenza di titolarità di pochi adepti legittimati a parlare fino a pochi anni fa per il fatto di avere conseguito il titolo di assistenti sociali, che nel prospettare una formazione funzionale a sostenere l’esercizio delle attività dei professionisti riconosciuti dal sistema istituzionale.

Dal combinato disposto di questi fattori è derivato un sistema educativo caratterizzato da forti e ricorrenti rivendicazioni identitarie, e basato sul prevalere di competenze e conoscenze molto definite e ortodosse. Il risultato dell’educazione di servizio sociale in Italia è, con poche eccezioni, certamente più specializzato ma fortemente schiacciato sulla figura istituzionale dell’assistente sociale e pensato per consentire di svolgere la meglio il lavoro all’interno di organigrammi che prevedono in modo dettagliato questo ruolo e le relative funzioni da eseguire.

Le condizioni di lavoro di molti contesti risultano tuttavia negli ultimi anni profondamente depauperate e sempre più spesso di registrano problemi di turnover e di reclutamento di nuovi professionisti attrezzati a svolgere compiti in cui per il modo in cui sono organizzati faticano a ritrovare le motivazioni che avevano spinto a intraprendere un certo percorso di studi. La diffusione della cosiddetta ‘crisi della cura’, oltre che essere un risultato delle trasformazioni politiche economiche e culturali del nuovo secolo, può essere letta, allo stesso tempo, come esito di una ancora insufficiente formazione specialistica che va dunque intensificata e rafforzata secondo le coordinate fino a ora sperimentate, oppure (non necessariamente al contrario ma anche) come un fenomeno che dovrebbe portare a riformulare alcuni degli assunti ad oggi apparentemente indiscutibili del percorso di educazione professionale.

Identità professionali, ibridazione e nuove frontiere del servizio sociale

Di recente sono state svolte alcune ricerche che offrono elementi di riflessione sui limiti della sovrapposizione tra servizio sociale e figura istituzionale dell’assistente sociale e da cui si possono trarre alcune importanti implicazioni sul rinnovamento sia delle finalità che dei contenuti dei percorsi di educazione universitaria.

La prima ricerca appena pubblicata su un volume per Oxford University Press (Fazzi e Rosignoli, 2025) riguarda il ruolo del servizio sociale nei progetti contro lo sfruttamento dei migranti nelle regioni del sud Italia.  Si tratta spesso di progetti dal basso, di piccole dimensioni che mirano a costruire opportunità di lavoro attraverso progetti di economie agricole alternative quindi esprimendo una forte vocazione all’ingaggio professionale per il cambiamento sociale. I professionisti implicati sono mosso da grandi valori ideali e devono operare su terreni molto destrutturati costruendo reti di mobilitazione locale, imparando a affiancare i migranti nella raccolta e occupandosi persino alle volte della vendita dei beni raccolti a gruppi di acquisto solidale o clienti etici. Una parte di intervistati pur condividendo i valori fondanti del servizio sociale come la giustizia umana e sociale e l’empowerment delle persone fragili ha studiato servizio sociale ma non hanno mai sostenuto l’esame di stato o in alcuni casi non è più iscritta all’ordine per ragioni strumentali (‘non ne ho bisogno, quindi non ha senso pagare’) o politiche (‘non mi sento rappresentato rappresentano un mondo dei servizi che risponde ai sindaci e non alla gente).

La seconda ricerca è un progetto Prin che analizza il ruolo dei professionisti sociali nel lavoro ecosociale in Italia: un argomento che sta assumendo una crescente rilevanza a fronte della stretta compenetrazione tra crisi ambientale e crisi sociale. Approfondendo il focus sulle identità professionali, l’indagine distingue tre tipologie di professionisti: i) sociali adattivi che partecipano ai progetti senza vocazione trasformativa e in ruoli esecutivi mantenendo l’orientamento sulle sole questioni sociali, ii) sociali propositivi che operano nel campo ecosociale per trovare una possibilità di esprimere il repertorio di competenze sociali acquisite che sono difficili da mettere in atto in contesti istituzionali pressati da burocrazia e risparmio della spesa e iii) ecosociali che interpretano un ruolo trasformativo, attingendo a competenze multidisciplinari, e consapevoli della relazione esistente tra ecologico e sociale (Fazzi et al. 2026). Pur trattandosi di un continuum di vissuti professionali, anche in questo caso tra i professionisti ecosociali si registrano condizioni di forte ibridazione professionale in cui i ruoli di professionisti sociali, cooperatori, imprenditori sociali, e attivisti ecologici si mischiano dando luogo a professionalità dai contorni vasti che non di rado rifiutano la catalogazione della professioni come esito del superamento di un esame di stato e del conferimento di uno status professionale istituzionale.

Le implicazioni sul percorso educativo del servizio sociale e sulla professione

Queste ricerche contribuiscono a evidenziare una caratteristica che ci dimentica spesso essere connaturata alla storia stessa del servizio sociale. Il servizio sociale è una professione al servizio delle persone e al contempo una disciplina che mira a fornire competenze per rimuovere le cause dei bisogni sociali e ricercare soluzioni che valorizzino l’autonomia e le competenze delle persone e delle loro reti sociali. Questa configurazione è sintetizzata dalla famosa definizione di Edith Abbott di servizio sociale come “professione dei confini” (Banks, 2000). Professione dei confini significa che il servizio sociale per le finalità che lo distinguono si definisce in relazione al contesto in cui esso opera e non solo alla sua dimensione formalistica e astratta assunta in specifici momenti e legislazioni nazionali.

Questo significa riconoscere almeno tre aspetti direttamente conseguenti:

  • il primo è che esistono professionisti che operano fuori dai contesti istituzionali in campi di frontiera che attingono in modo plastico ai valori e agli ideali della disciplina e della professione e ne mettono in pratica gli obiettivi su terreni in cui le identità professionali gioco forza diventano più lasche e flessibili, ma sono anche inevitabilmente generative di nuovi modelli di lavoro e di nuove competenze distintive che a tutti gli effetti rientrano nel perimetro concettuale del servizio sociale;
  • il secondo aspetto è che il servizio sociale è un ambito professionale più ampio di quello ricoperto dagli assistenti sociali intesi come figura giuridicamente formalizzata, perché si può anche studiare servizio sociale senza avere fatto l’esame di stato o senza essere iscritti all’ordine professionale per svolgere la professione in modo coerente con i suoi valori fondanti e con le basi scientifiche della disciplina;
  • il terzo aspetto, che è il più cruciale per il ragionamento complessivo, è che le nuove esperienze in cui molti professionisti si muovono, per quanto non catalogabili come lavori svolti da assistenti sociali, possono svolgere un ruolo molto importante nei percorsi educativi di servizio sociale, fornendo nuove competenze e proponendo nuovi modelli di ruolo che, affiancandosi a quelli esistenti, mostrano la vitalità di un ambito di studio e di investimento professionale che in questa fase storica necessita di essere sollecitato anche attraverso l’estensione dei campo di attività e delle pratiche possibili.

Inglobare quello che si muove sulla frontiera nel più ambio dibattito e nell’educazione professionale non significa disconoscere l’esistente ma più semplicemente prendere atto che la società e le professioni mutano e evolvono in reciproca interazione e che limitare la comprensione dei fenomeni per posizioni di principio (o di interesse corporativo) non è probabilmente la strada migliore per dare dignità e futuro alla professione.