Abitare e dimorare: due facce della stessa medaglia
Abitare: Un percorso pedagogico fra parole di senso e parole di metodo (Parte 2)
Raffaele Gnocchi | 6 Giugno 2025
Il significato di abitare
La casa, come dimensione fisica è la premessa concettuale e reale all’immagine dell’abitare; una esperienza con un significato profondo. Abitare è la parola che condensa una serie di questioni. Abitare significa avere una dimora nella quale ritrovare sé stessi, un luogo nel quale stare, ma anche partire sapendo che c’è e che su essa si può fare affidamento anche nei momenti più difficili. Abitare significa ritrovare nella propria storia il racconto dei volti incontrati e via via conosciuti, con i quali si è costruito un proprio progetto di vita. Abitare significa riscoprire che le relazioni vissute hanno in sé, come premessa, il rispetto dell’altro, ma anche un destino comune: gli altri sono persone con diritti e doveri, orientati verso un fine che le fa essere pienamente uomini e donne. Ecco allora l’idea di comunità come sede dei rapporti e dei vissuti che divengono storia, i quali allestiscono una dimora non solo fisica, ma soprattutto relazionale. Abitare è tutto questo, ma anche qualcosa di più. È anche il luogo delle possibilità. La possibilità di vivere una esperienza di attenzione concreta al tema della casa richiama lo stile di vita che ci spinge a vivere con gli altri. In questa direzione una comunità può diventare il luogo dove sono messi a disposizione dei beni – immobili – per il bene delle persone che necessitano di un supporto reale al problema della casa. Bisogna aver coraggio, poiché questa prospettiva – culturale – è sia educativa sia emancipativa dalla logica meramente economicista per la quale la casa è un bene che genera prevalentemente profitto. Tutto ciò può essere realizzato anche grazie all’aiuto degli enti del terzo settore e delle varie realtà che in un territorio offrono un servizio di accompagnamento nella logica della prossimità. È la strada della prossimità, la quale anche se nulla unisce, tutto riunisce all’interno di un unico destino (Jollien, 2001) percorribile con passi mediati e ponderati. Per questo, basta muovere la propria intenzione per scoprire e inaugurare un nuovo destino di cui si è, per molti versi, partecipi.
Una abitazione e condizioni di vita dignitose sono i più basilari diritti di ciascun individuo. Ottenere un accesso sicuro ad una sistemazione abitativa è spesso il presupposto per esercitare molti dei diritti fondamentali che formano le basi di una società e dovrebbero essere goduti da ciascuno. Questi diritti comprendono l’accesso all’istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla protezione sociale, il diritto alla salute, il diritto alla riservatezza personale e della vita familiare, così come l’accesso a tutti i servizi basilari. Essere “senza una dimora” – cioè, non avere accesso ad una sistemazione abitativa adeguata – è probabilmente la più grave manifestazione di esclusione sociale. In tale condizione è quasi impossibile realizzare le proprie potenzialità, ossia essere membri attivi della società, oppure avere un lavoro o crescere dei figli. Perciò assicurare una adeguata offerta di abitazioni dignitose ed economicamente accessibili, abbordabili è uno dei principi base per costruire una società nella quale ciascuno è capace di giocare una parte attiva. In questo senso, l’accesso alla casa è una delle chiavi principali per l’inclusione sociale.
Un numero crescente di cittadini si confrontano con seri ostacoli nel poter aver accesso alla casa ad un prezzo che possono sostenere. Nell’Unione Europea circa 1,3 milioni di persone sono senza abitazione, mentre 33,6 milioni vivono in situazioni abitative di sovraffollamento (FEANTSA, 2024).
La casa è ovviamente uno degli aspetti centrali per prevenire e ridurre il rischio di esclusione sociale. Pertanto, è importante riconoscere che l’inadeguatezza di azioni a contrasto dell’esclusione abitativa significa impedire tutti i processi di (re)inclusione sociale poiché la dimensione abitativa è uno degli elementi che concorrono a determinare il pieno benessere della persona.
Rigenerare le persone verso un progetto di vita
Lo stato di forzata passività e il sentirsi stretti nelle pieghe della vita è una condizione diffusa, capillare e presente nelle storie delle persone che attraversano i servizi di supporto, ma non solo. La condizione che caratterizza la difficoltà di accesso ai beni si riscontra anche nelle persone senza una storia di deprivazione economica, relazionale o culturale precedente. Questa fascia di popolazione, nuova, inattesa e imprevedibile nelle forme con le quali esprime la propria situazione, pone seri interrogativi circa le forme e le metodologie da adottare per fornire un possibile riscontro al loro bisogno.
Fatto salvo il cambiamento nei servizi di welfare e delle forme di supporto al bisogno, resta il nodo di come attivare le persone dentro una logica rigenerativa capace di identificare e recuperare le risorse di cui sono portatori. Se il fine dell’intervento è (ri)generare risorse e potenzialità della persona è anche vero che alcuni accorgimenti devono essere attuati. Il soggetto interloquente è un soggetto adulto; da qui discende una impostazione metodologica attenta alle dinamiche da questo vissute. Proprio per questo è opportuno avvalorare alcune riflessioni circa l’esercizio dell’adultità. Una condizione particolare che richiede un approccio ragionato e attento alle specificità del soggetto.
Nel periodo storico culturale della modernità, l’identità era stabile e stabilizzata dall’organizzazione sociale. L’identità lavorativa era connessa con i cicli di produzione e consumo, la procreazione legata alla vita familiare e matrimoniale. Le parole chiave dell’età adulta erano: responsabilità, maturità e adesione ai compiti prescritti; tutto era definito e definitivo. Nel periodo postmoderno l’identità è sempre più instabile. La difficoltà di convivenza con molteplici Sé, con infinite identità e immagini è una condizione comune a molti adulti. Questo amplifica le difficoltà di aggancio a cicli stabili e riconoscibili; per questo parlare di promozione umana postula un intervento sia auto diretto sia etero diretto, nella logica del supporto e del desiderio di emancipazione dallo stato di disagio o sofferenza. Questo stato di vita apre a un nuovo ciclo vitale, a un nuovo modo di leggere e vivere la quotidianità.
L’elogio del cambiamento – e delle trasformazioni – è essenziale per rileggere e analizzare la vita delle persone adulte. Lasciarsi interrogare dalle cose e dai fatti, dalle relazioni e dalle emozioni è il cardine di una vita in pienezza. Piena perché colma degli interrogativi di conoscenza dell’esperienza; satura di desideri e obiettivi di natura escatologica.
L’esercizio dell’adultità e la sua complessità, comprese le situazioni di sofferenza, sono maggiormente difficoltosi a causa delle domande di senso che solo l’adulto è in grado di porsi. L’analisi degli eventi, in una prospettiva positiva, comporta la loro interpretazione come una sfida e non come una minaccia; quindi accresce la competenza nell’elaborare delle strategie per fare degli accadimenti un’ulteriore occasione di sviluppo. Essere adulti è anche desiderare il cambiamento o accettarlo per come questo si genera; non tutto è gestibile e l’adulto consapevole lo sa. Proprio per questo la gestione del cambiamento in età adulta si pone come sintesi esperienziale, sociale, valoriale, psicologica e biologica (Gnocchi, 2008).
Da qui ne discende che l’approccio educativo al tema dell’esercizio dell’adultità chiede il passaggio da interventi centrati sul problema a interventi centrati sulle capacità e sulle competenze personali (Simeone, 2001). Questo è un punto centrale: la processualità educativa, generata dalla riflessione pedagogica, offre al soggetto la completa responsabilità dell’intervento per il recupero delle proprie capacità vitali, relazionali, emotive e spirituali. Impegno, responsabilità, emancipazione, iniziativa individuale sono qualità di un soggetto con una rinnovata immagine di sé, in grado quindi di far fronte alle vicissitudini e agli accadimenti (Simeone, 2001).
L’uomo adulto esercita consapevolmente un continuo processo di verifica e controllo sull’ambiente circostante, sugli altri e su sé stesso. Controllo non significa necessariamente padronanza della situazione, bensì esercizio della capacità di elaborare strategie. Se queste strategie si saldano ai valori ne consegue una rinnovata rilettura del farsi in termini proscrittivi. La reazione all’evento critico evoca la necessaria meditazione sul costo etico e morale. Così, anche l’evento critico, più pesante e problematico, sarà occasione per far emergere le basi axiologiche della persona. Un’occasione per riscoprirle, per ribadirle ed esercitarle.
L’uomo non solo è il produttore del proprio sviluppo, ma è anche il primo attore circa il senso a lui attribuito. Guardini ricorda la prospettiva etica secondo la quale è opportuno rileggere il corso delle cose (Guardini, 1992); quali vadano nella direzione giusta e quali nella sbagliata. Emerge la responsabilità personale; questa coscienza di sé è, contemporaneamente, coscienza del mondo e presenza capace di fornire significato per tutti. In tutto questo c’è una strategia di costruzione del bene. Questo bene personale1 è benessere collettivo e risorsa di sviluppo. La questione personale si associa a una dimensione quindi più ampia, la constatazione è che oggigiorno la condizione adulta è il risultato del lavoro di recupero della giusta identità da collocare nel luogo e nell’esperienza di vita. Rigenerare (ricomporre) le persone in un camminino di autonomia abitativa significa ricucire tutte le dimensioni che le appartengono integrando i limiti di cui la persona è portatrice in una prospettiva evolutiva, personale e responsabile2.
Rigenerare i territori per nuove opportunità e sistemi di accoglienza abitativa
Nell’incerta e costante provvisorietà del concetto di territorio e nell’assunzione che esso possa essere efficacemente declinato come un luogo dove si esplicitano legami sociali e azioni di solidarietà reciproca, operiamo una rilettura a partire dalle opportunità che offre; tutto ciò in relazione alla risposta ai bisogni e nell’offerta di occasioni orientate a garantire il pieno godimento del diritto alla casa. Siamo concordi che, nell’analisi previa del rapporto individuo – territorio, esso è determinato dalle rappresentazioni simboliche che vengono prodotte nel corso della storia ed esse, anche indirettamente, influiscono sui processi e sugli accadimenti che in esso avvengono (Callari, Galli, 1978, p. 78).
Il territorio non è solo il luogo dello scambio ma anche lo spazio della costruzione di rapporti di donazione e ricezione, dove l’oggetto di scambio non è più il bene singolo, dotato di una sua materialità, ma è la persona stessa. Il territorio è luogo di appartenenza, luogo dove la persona esprime sé stessa e dove può essere possibile esigere il diritto (auspicabile) di definire una nuova etica delle relazioni. Non è impossibile superare la dialettica dentro – fuori purché si espliciti fra le varie possibilità anche l’obiettivo perseguito dal territorio di superare un “deficit di socialità”, perseguendo politiche ed interventi volte a diminuire la sofferenza delle persone che hanno come denominatore comune l’esperienza della precarietà abitativa attraverso idee ed azioni volte al coinvolgimento e alla corresponsabilità.
Superando l’effetto prodotto dai servizi che talvolta costringono la persona ad una dipendenza dalle prestazioni, occorrerebbe operare per un efficace empowerment orientato a consentire un passaggio dalla dipendenza all’autonomia, dall’inefficacia all’efficacia, dalla superficialità alla profondità delle ragioni e dei desideri esistenziali. Si intravede la necessità perché si operi per una (ri)collocazione dei diritti sociali all’interno sia del contesto (il territorio) sia degli spazi di relazione (la società). È forse una sfida, ma certamente, in questa, la comunità può giocare un ruolo orientato all’assunzione di diverse modalità di presenza e di cura.
Tutto ciò è possibile realizzarlo attraverso il coinvolgimento e l’orientamento della persona, e quanto altro può efficacemente promuovere reti di supporto e di sostegno superando la separazione tra formale e informale.
Questo articolo fa seguito a: “Abitare: un percorso pedagogico fra parole di senso e parole di metodo. Parte 1 – Diritto e Bisogno: l’eterna dialettica”
- Sempre il Guardini in maniera illuminante asserisce: «il bene è infinito quanto al contenuto, ma semplice quanto alla forma; pertanto, esso non può venire realizzato in un modo qualsiasi, bensì ha bisogno di esplicitarsi e di determinarsi, e ciò avviene attraverso la situazione concreta. Allora il bene compare nella sua particolare urgenza, così come si esige qui, ora, nelle condizioni presenti; ed è un bene che possiamo conoscere, denominare e realizzare» (Guardini, 1992, p. 50).
- Per un approfondimento sul tema dei “limiti” e della loro integrazione si veda: Gnocchi R. Viganò R., Nel limite come opportunità. Competenze pedagogiche e servizi alla persona, Educatt., Milano, 2023.