Abitare: un percorso pedagogico fra parole di senso e parole di metodo

Parte 1 - Diritto e Bisogno: l’eterna dialettica


Raffaele Gnocchi | 22 Maggio 2025

Casa: un bene per la persona e per la comunità

Riecheggiano, come fossero cosa di oggi, gli slogan che hanno caratterizzato gli anni Settanta per i quali la casa è un diritto inalienabile della persona e del suo progetto di vita. Tutto ciò è ancora vero1, ma necessita di una opportuna rilettura al passo con i tempi.

Parrà ovvio, ma ragionare solo nella logica del diritto appare anacronistico. La risposta ai bisogni e ai diritti delle persone (e fra questi la casa) è un segno del legame necessario con la comunità locale in virtù del fatto che i diritti non sono un catalogo di rivendicazioni ma l’esercizio di una responsabilità verso sé e verso gli altri (Gnocchi, 2004). Secondo questa prospettiva la casa è un bene per la persona, ma anche per la comunità. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che avere accesso a un bene come la casa per usufruirne con continuità nel corso della propria vita o all’interno del proprio progetto migratorio, significa poterla riconoscere come luogo delle speranze e dei progetti.

Spesso questo obiettivo di piena realizzazione è un risultato remoto e improbabile per molti. La questione, sebbene attenga alla persona e alla sua predisposizione a riconoscersi in un territorio con regole, diritti e doveri, dall’altra sembra mancare di una interlocuzione che riconosca il tema casa come questione dirimente, sia nella logica del bisogno sia in quella del diritto.

Guardando alla dimensione umanistica, possiamo assumere una definizione integrata per cui i bisogni sono la somma delle esigenze psicobiologiche irrinunciabili che vanno soddisfatte al fine di sopravvivere, crescere, esprimere i propri talenti e realizzare il proprio destino. È una prospettiva, un traguardo che amplifica e integra le diverse dimensioni dell’uomo in una logica relazionale2. In tal senso l’interlocutore primo può essere la comunità; riconosciuta non solo come un organismo presente sulla carta, ma il risultato dell’insieme di più persone che si riconoscono appartenenti a un contesto. Il vivere la comunità passa attraverso una presenza che si traduce in azioni concrete e quotidiane capaci di esortare a un destino di comunione al quale l’umanità è chiamata. Generare spazi di prossimità, progettare e scegliere momenti di condivisione mostra il fine ultimo della umana condizione; questa è comunità: ricercata, testimoniata, comunicata, scelta. È un impegno evidentemente pedagogico per il quale le domande che riassumono la questione sono: “come costruire una comunità?”, “quali sono le precondizioni che facilitano o ostacolano la sua realizzazione?” ma soprattutto “può configurarsi come un bisogno educativo rispetto al quale sentirsi in qualche modo implicati come operatori o cittadini?”.

Dal riconoscimento di un bisogno abitativo al diritto all’abitare

C’è una “necessità umana di educazione” declinata nella idea che c’è un compito educativo personale e un compito educativo sociale (la scuola, la famiglia le associazioni, …) i quali, uniti nella comune ricerca di senso, esercitano una intenzionale prospettiva di libertà. Tutto ciò non risolve la necessità di passare dal riconoscimento del bisogno al riconoscimento di un diritto. Difatti il diritto è riconoscimento sociale e quindi pubblico di un bisogno di cui la persona è portatrice. Esiste perciò un riconoscimento giurisprudenziale e un riconoscimento sociale – culturale (con un’attenzione alla collocazione spaziale / geografica che definisce i confini di questo diritto).

In sintesi, si può dire che il diritto è la premessa per l’esplicitazione del bisogno personale specifico. Già, ma che nozione di diritto è opportuno assumere?

Il tema, più volte citato e richiamato per riaffermare priorità e urgenze, ha da essere necessariamente declinato nella sua evoluzione storica e politica. Prendendo spunto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani3, ma anche dal dettato costituzionale agli articoli 2 e 3, siamo resi partecipi di un chiaro orientamento di natura storico antropologico teso ad affermare il valore imprescindibile della persona nella sua unicità storica. Tale affermazione rimane peraltro parzialmente disattesa nel confronto con modelli e stili di governo sviluppatisi nel corso della storia contemporanea e diffusi nell’attuale società.

Considerando le misure e le azioni intraprese dal dopoguerra a oggi, le quali hanno provato a rispondere in modo strutturato alle esigenze che si sono manifestate nel corso del tempo, rileviamo da un lato un diritto non pienamente riconosciuto, dall’altro la pericolosità di alcuni processi in atto: questo può significare molte cose anche nella pratica quotidiana di accompagnamento all’abitare, per esempio: si può scegliere di adottare un approccio contenitivo per cui il problema strutturale non è affrontato e costantemente rimandato per motivi di disponibilità economica o di personale oppure quanto è esigibile dall’abitante è posto al centro dell’azione del servizio, il quale si adopera prontamente per la sua soluzione4. Ancora una volta è opportuno ricordare che «parlare di diritti significa affermare le indicazioni, in termini di valori, che sostanziano e non solo caratterizzano la democrazia come sistema» (Bertolini, 2003, p.53). È lecita la domanda se e come è auspicabile una qualche forma di intervento, promossa secondo una logica di corresponsabilità e compartecipazione, capace di riportare e ridare senso all’azione politica a tutela dei Diritti legati all’abitare. Poiché se da un lato si pone il problema della predisposizione dei servizi di accompagnamento all’abitare, dall’altro è evidente la questione della loro esigibilità e della loro fruizione.

Nell’incerta prospettiva di modifica delle politiche di Welfare e nel travagliato percorso di definizione dei confini dei diritti vi sono alcune certezze vieppiù dimenticate e disattese.

Due orizzonti interpretativi: diritto soggettivo e interesse legittimo

Un primo orizzonte interpretativo muove dal concetto di “diritto soggettivo”, il secondo da quello di “interesse legittimo”, entrambi convergono verso una prospettiva tesa al pieno affermarsi degli stessi e del loro concreto godimento. Partendo dal presupposto che ogni cittadino gode di un “diritto soggettivo”, che è espressione di garanzia della propria libertà, ma è anche riconosciuto all’uomo come singolo e attiene alle sfere civili, politiche e sociali, possiamo declinarlo come il luogo giuridico affinché il proprio bisogno venga soddisfatto.

Questo avviene in virtù di un generico “interesse oggettivo” perseguito dalla stessa Pubblica Amministrazione: la struttura, il servizio interpellato, concedono la prestazione semplicemente perché attraverso questa si realizza un principio di interesse oggettivo. Il concetto di “interesse oggettivo” potrebbe, in una estremizzazione a noi utile, essere declinato come orientato alla tutela del benessere della popolazione più in generale; in definitiva accade che «l’azione mascherata da intervento che persegue il beneficio individuale massimizza al tempo stesso il beneficio collettivo» (Vineis, Capri, 1994, p.96).

Ci troviamo in definitiva di fronte a una posizione, il diritto (soggettivo) alla casa, subordinato a un’altra posizione, l’interesse oggettivo, a tutela degli interessi della collettività vista come interlocutore necessario per ri-generare sia le relazioni sia il capitale sociale.

Il secondo orizzonte attiene al concetto di “interesse legittimo”. Esso è materia del rapporto che intercorre fra singolo cittadino e Pubblica Amministrazione, si manifesta attraverso l’esercizio dei poteri (della P.A.) e si collega alla necessità che venga erogata e assicurata la prestazione in modo universalistico. Questa logica, che unisce il diritto alla prestazione e la risposta al bisogno, afferma la possibilità del singolo individuo di richiedere l’assolvimento delle pratiche volte all’attivazione del servizio orientato alla cancellazione del bisogno stesso.

Entrambi questi due orizzonti evidenziano una duplice problematica: da un lato, l’esercizio del diritto da parte del soggetto in stato di bisogno, dall’altra, la necessità affinché si pervenga ad uno stato di diritto esigibile e generalizzato non condizionato da particolari azioni legislative successive a quelle precedenti o da scarsità di natura economica.

Diritto alla casa come diritto dell’uomo

A fronte di quanto esposto nelle righe precedenti, emerge il problema relativo alla condizione della persona in stato di povertà, tale non per scelta o autodeterminazione, ma a causa dell’incrocio fra questioni strutturali esogene e questioni personali endogene e alla loro relazione con i servizi del territorio affinché questi rispondano ai bisogni vissuti ed espressi. Una condizione aggravata sia dal permanere delle persone in situazioni di confine che producono fratture e sofferenze sia dall’assenza di una politica di sostegno all’evoluzione dello stato di bisogno e alla formalizzazione dello stesso5.

Inoltre, è bene ricordare che esiste sempre la possibilità che vengano definite leggi che sullo stesso tema sono discordanti se non abroganti o in opposizione con quelle precedenti. In effetti, i diritti delle persone sono legati a precisi momenti storici o a particolari condizioni macro e microeconomiche, ma è anche immaginabile (auspicabile) l’esistenza di una forma di permanenza del diritto secondo una logica capace di superare la fattualità storica.

Se è vero che «i diritti dell’uomo costituiscono una classe variabile come la storia di questi ultimi secoli dimostra» (Bobbio, 1990, p.9) è anche vero che Amato (1999) parla di “generazioni di diritti” intesi come l’evoluzione che gli stessi hanno subito stante lo sviluppo storico e culturale che ne ha richiesto la definizione di nuovi oltre che la conferma di altri6. Fra questi il “diritto alla casa”. Oggigiorno il problema è riconoscere questo e impegnarsi perché esso sia protetto.

Grazie a questo percorso, in convergenza, crediamo di poter beneficiare di un duplice pregio: dall’uno considerare il diritto all’accesso alla casa come uno dei diritti dell’uomo (diritti dell’uomo sociali), il che significa ed esplicita un “diritto soggettivo” (primo pregio), dall’altro, e al tempo stesso, lo eleva a rango di “diritto soggettivo pubblico” (secondo pregio). Traendo fonte dai principi costituzionali e dalla valenza, come già anticipato, ultra-storica dei diritti dell’uomo.

Questa lettura orienta l’intervento ed il ruolo di tutela e advocacy esplicitato dai servizi che offrono attenzioni e prestazioni sul tema casa. Le stesse, peraltro, si trovano nella condizione di godere di nuove possibilità originate da questa uguaglianza sostanziale, ovvero potrebbero richiedere, in un prossimo orizzonte di possibilità, di beneficiare di risposte plurime e diversificate attivate in seno alla Pubblica Amministrazione o di concerto con il mondo che può adeguatamente sussidiare la stessa.

 

  1. In Italia nel duemila ventitré si contano 39.373 provvedimenti di sfratto emessi dai tribunali italiani . A questo dato si aggiunga che le richieste di esecuzione presentate all’ufficiale giudiziario ammontano a 73.809. E non tutti i soggetti “usciti di casa” (21.345 gli sfratti eseguiti nello stesso anno con l’intervento dell’Ufficiale giudiziario) hanno trovato una degna soluzione (Gnocchi, 2004).
  2. Per un approfondimento si veda il testo Togni F., Bisogno di cura, desiderio di educazione, La scuola, Brescia, 2011.
  3. ONU, Parigi, 10 dicembre 1948.
  4. Si valuti, ad esempio, la situazione di un inquilino con un problema di infiltrazione dal soffitto al quale non viene data pronta risposta, che evidenzia la necessità di un intervento di manutenzione strutturale, con evidenti ricadute sulla dimensione di salubrità o dell’ambiente o di rischio per il contesto abitativo. E non ultimo con un vissuto di abbandono.
  5. Come semplice riferimento di base si vedano: Art. 25 Dichiarazione Universale dei diritti umani, Art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e articolo 3 della Costituzione italiana.
  6. Oggi siamo arrivati alla quinta generazione di diritti (ad esempio quelli legati alla comunicazione) senza che vengano negati o disattesi diritti come quelli appartenenti alla sfera della inviolabilità della persona o quelli che sono anche chiamati diritti dell’uomo.