Si avvicina un impegnativo “tagliando” per il federalismo fiscale


Stefano Piperno | 15 Luglio 2025

Nel biennio 2023-2024 il dibattito sul federalismo fiscale in Italia è stato dominato dal tema dell’autonomia differenziata regionale.

Le motivazioni della sentenza n. 192/2024 della Corte Costituzionale (alla quale si è aggiunta la sentenza n.10/2025 sull’ inammissibilità del referendum abrogativo), che ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme e l’interpretazione costituzionalmente corretta di altre della legge Calderoli (L.n.86/2024), hanno messo però tutti di fronte alla realtà che il regionalismo asimmetrico non può essere attuato senza che sia stato prima completato l’assetto finanziario del regionalismo simmetrico definito dalla L.n.42/2009 e dai suoi decreti delegati.

Per questo sono ormai vicine le scadenze previste per l’attuazione del PNRR (Riforma 1.14 della Missione 1, Componente 1, Riforma del quadro fiscale subnazionale) confermate nella sesta Relazione sul suo stato di attuazione presentata al Parlamento dal Ministro per gli Affari Europei lo scorso Marzo.

Per il federalismo fiscale regionale, si prevede la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard con riferimento alle funzioni fondamentali (termine in realtà sinora usato solo con riferimento agli enti locali) delle Regioni a statuto ordinario entro dicembre 2025, e che entro il primo trimestre 2026 entrino in vigore gli atti di diritto primario e derivato per l’attuazione del federalismo fiscale regionale per le Regioni a statuto ordinario, nonché quelli per l’attuazione del federalismo fiscale per le province e le città metropolitane.

In particolare, per le Regioni è prevista l’introduzione meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali diretti ad assicurare autonomia di entrata e la conseguente soppressione dei trasferimenti specifici statali. Si tratta di una trasformazione particolarmente complessa e delicata che comporta sia l’applicazione della legge delega fiscale, con la prevista soppressione dell’IRAP da sostituire con una sovraimposta sull’IRES (art.8, L. n.111/2023), sia la individuazione dei trasferimenti statali vincolati per le Regioni a loro volta da sostituire con una forma di compartecipazione all’Irpef.

Per quanto riguarda i Comuni, invece, non vengano previste scadenze, nonostante che vi siano ancora importanti risvolti applicativi da definire- a cominciare dal nuovo assetto dei tributi comunali previsto dalla delega fiscale (artt. 13-14) – o da aggiustare sensibilmente come l’attuale meccanismo perequativo. Nel PNRR l’entrata in vigore operativa del federalismo fiscale riferito a tutti i livelli di governo è comunque prevista per gennaio 2027.

Ma allora a che punto siamo? Importanti elementi di analisi sono desumibili dalla “Relazione sulla stato di stato di attuazione della legge n. 42 del 2009” approvata (in ritardo) lo scorso 18 Dicembre 2024 dalla Commissione bicamerale sull’attuazione del federalismo fiscale e dalle sue numerose audizioni tenute, anche successivamente, con esperti e con i principali attori del sistema delle relazioni intergovernative del nostro Paese.

Nel complesso, nonostante che la Relazione della Commissione bicamerale abbia parlato di una “effervescenza normativa” in termini di attuazione della legge 42/90 “che non si vedeva da tempo”, il federalismo fiscale in Italia resta ancora “in mezzo al guado” nel senso che a fronte dei lenti passi in avanti fatti soprattutto sul fronte della perequazione delle risorse per quanto concerne i Comuni (ma resta il nodo del passaggio da un sistema di perequazione orizzontale a uno verticale basato su un diverso calcolo dei fabbisogni) vi sono ancora molti buchi applicativi per le Province, le Città metropolitane e, soprattutto, per le Regioni a statuto ordinario.

Scendendo più in specifico, tra gli altri, è bene segnalare due nodi applicativi per il completamento del l’assetto normativo e finanziario del federalismo fiscale italiano entro le scadenze del PNRR.

Il primo è rappresentato dalla individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale dai governi subnazionali. Lo scorso 19 maggio il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge delega al Governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni al fine di apportare i correttivi alla procedura prevista dalla legge di bilancio 2023 (n. 197/2022), resi necessari dalla sentenza della Corte costituzionale n. 192/2024 che ha annullato tale disciplina per l’assenza di specifici criteri direttivi fissati dal Parlamento. Nel disegno di legge si prevede di predisporre i decreti legislativi per la definizione dei LEP entro nove mesi dalla sua approvazione per cui, di fatto, è già ipotizzato uno sforamento dei termini previsti nel PNRR (dicembre di questo anno). Una valutazione del disegno di legge, che sembra difficilmente attuabile in tempi brevi, va oltre lo spazio di questo commento ma due aspetti vanno sottolineati. In primo luogo, la rilevanza del tema avrebbe richiesto qualche documento di accompagnamento che individuasse bene i profili concettuali dei LEP rendendo visibili operativamente i risultati dei lavori del CLEP (comitato Cassese). Sinora è stata resa pubblica solo la sua prima relazione (alla fine del 2023) ma non i successivi approfondimenti riferiti alle competenze statali e a quelle residuali regionali, oltre che sui loro meccanismi di finanziamento, completati successivamente. In generale, resta non chiaro il rapporto tra i LEP previsti per le Regioni dall’art. del D. Lgs. n.68/2011 nelle materie della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione e per la spesa di parte capitale del trasporto pubblico locale, da un lato, e le funzioni fondamentali degli enti locali che comprendono anche tutte e spese in conto capitale, ambedue da finanziare in maniera efficiente sulla base dei costi e fabbisogni standard. Va poi segnalato un aspetto procedurale connesso alle modalità di determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard. Mentre per la definizione dei primi dovrebbe esser previsto comunque un percorso parlamentare, l’elaborazione delle ipotesi tecniche concernenti l’identificazione dei relativi costi e fabbisogni standard sarebbe completamente affidata alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS), un organismo di  quattordici componenti contrassegnata da una maggioranza governativa (compreso il Presidente designato dal Presidente del Consiglio dei ministri) e da una minoranza di sei componenti in rappresentanza di Regioni e enti locali partire dal 2016, che ha sinora gestito con importanti sviluppi applicativi la valutazione di quelli relativi alle funzioni fondamentali degli enti locali, pari a circa l’80 per cento della loro spesa. Se consideriamo che gli ambiti coperti dai LEP rappresentano circa il 90 per cento della spesa regionale occorrerebbe chiedersi se a questo punto non si stia gravando di compiti eccessivi questo organismo per quello che concerne le politiche di garanzia del rispetto dei diritti civili e sociali in tutto il Paese. La definizione dei trasferimenti perequativi richiede basi informative affidabili e aggiornate e metodologie rigorose che possono però comportare giudizi di valore nella scelta dei parametri per individuare i fabbisogni standard e la capacità fiscale delle amministrazioni locali portando a risultati diversi e assumendo una valenza anche politica. Considerata la delicatezza prospettica di questa funzione forse il suo ruolo potrebbe essere svolto meglio da un organo più legato al Parlamento o, addirittura, da una Authority indipendente (come in altri Paesi) e come è emerso anche in recenti riflessioni di tipo costituzionale.

Il secondo nodo è rappresentato dalla già richiamata futura fiscalizzazione dei trasferimenti statali alle Regioni, ai sensi dell’articolo 7 del d.lgs. n. 68 del 2011, in base alla quale, in pratica, tutti trasferimenti –in prevalenza correnti- aventi carattere di generalità e permanenza che ancora finanziano lo svolgimento delle competenze regionali compresi quelli che sono destinati all’esercizio di funzioni da parte degli enti locali potrebbero perdere la loro destinazione specifica. Solo con l’individuazione di risorse fiscali autonome che possano sostituire i trasferimenti settoriali statali in materie di competenza regionale potrà essere avviato il processo che va completato entro il primo trimestre del 2026. L’avvio meramente conoscitivo del processo di fiscalizzazione dei trasferimenti erariali alle Regioni con una istruttoria svolta dalla CTSP nel dicembre 2023 che implicherebbe il passaggio nei loro bilanci di risorse attualmente ripartite direttamente dallo Stato agli enti locali ha però fatto emergere l’opinione nettamente contraria di questi ultimi. I sistemi perequativi con più livelli di governo possono essere infatti di tipo gerarchico, in cui i trasferimenti dello Stato vanno alle Regioni e da queste sono ripartite agli enti locali, o binario in cui i flussi di trasferimenti tra Stato e Regioni e tra Stato e enti locali viaggiano su percorsi separati, come è in gran parte avvenuto sinora con piena soddisfazione da parte di questi ultimi. La trasformazione in corso comporterebbero una significativa modifica in direzione di quello gerarchico, che comunque rispetterebbe alcune indicazioni già presenti nella L.42/09. Le scelte regionali, verrebbero così a incidere su attività sinora svolte sulla base degli indirizzi e dei finanziamenti dei ministeri nazionali. Sia l’Anci che l’UPI nonché e i Ministeri interessati sono però contrari a questo modello, che verrebbe a modificare gli attuali equilibri nei rapporti tra i livelli di governo che non hanno mai visto un grande “feeling” tra Regioni e enti locali, specie con quelli medio-grandi.