L’art. 55 del CTS tra leggi regionali e regolamenti attuativi


La sentenza 131/2020 su un fronte, quello della legittimazione, e le linee guida approvate con DM 72/2021, sul fronte dell’applicazione, rappresentano i due pilastri a sostegno della diffusione dei procedimenti di amministrazione condivisa previsti dall’art. 55 del Codice del Terzo settore.

Di lì in avanti si è assistito da una parte al moltiplicarsi di pratiche di coprogrammazione e (soprattutto) di coprogettazione e, dall’altra, all’approvazione di leggi regionali e di regolamenti da parte di aziende sanitarie ed enti locali. Sia le produzioni normative di rango regionale, sia l’autodisciplina regolamentare delle singole P.A. procedenti sono finalizzate ad implementare, contestualizzare, applicare i pilastri di cui sopra al fine di favorirne l’applicazione ai diversi contesti territoriali e ai diversi casi concreti.

A ciò si aggiungano altre fonti normative, quali, per citare soltanto qualche esempio, il Piano Sociale Nazionale, il PNRR, la riforma della disabilità, la riforma della non autosufficienza, nonché le recenti linee guida in ordine alle forme organizzative e gestionali degli Ambiti territoriali sociali (ATS), in cui gli istituti dell’amministrazione condivisa sono indicati espressamente  come strumenti per fare sì che quanto auspicato sia realizzato attraverso la partecipazione e il coinvolgimento attivo degli Enti del Terzo settore.

Tralasciando in questa sede le fonti normative di rango nazionale, che meriterebbero ben altro spazio e sulle quali si tornerà in successivi contributi, di seguito si porrà attenzione alle normative regionali e ai regolamenti adottati dai singoli enti pubblici procedenti. Leggi regionali e regolamenti aziendali o comunali sono in netto aumento: sia quelli già approvati, sia quelli che, sulla base delle notizie disponibili, sono in preparazione o in discussione.

La domanda da cui si intende partire riguarda la natura del valore aggiunto di questo tipo di atti. Perché si fanno? Perché servono? Qual è, quindi – dal momento che, come è noto, la loro assenza non preclude la possibilità di coprogrammare o di coprogettare – il motivo per cui è utile disporre di leggi e regolamenti attuativi?

Le buone ragioni per le normative attuative: i contenuti

Alle norme di riferimento – l’articolo 55 e il DM 72/2021 possiamo chiedere di aiutarci a comprendere cosa sia legittimo e cosa non lo è; e ciò, per quanto utile, è solo la prima delle questioni che è opportuno affrontare. Di lì in avanti bisogna essere consapevoli che, tra le scelte legittime, possono aprirsi opzioni tra loro molto diverse e che 1) non tutto ciò che è legittimo è per ciò stesso “ben fatto” -, vi possono essere quindi opzioni più o meno consigliabili – e che 2) non ogni opzione, tra quelle legittime e non manifestamente sconsigliabili, è adatta ad ogni specifica situazione. Alla norma di riferimento – alle leggi, in generale – possiamo chiedere di tracciare un perimetro di legittimità, ma non di guidarci verso l’opzione migliore.

Ciò che è necessario domandarsi è quindi se tra:

  • l’area (ampia) della legittimità, tracciata dalla norma di riferimento e
  • l’area, sartoriale, del caso specifico,

vi sia uno spazio intermedio in cui Regioni e amministrazioni procedenti, ciascuno per il proprio specifico possono (o debbano) esercitare un potere di orientamento, che non risulti mortificante per l’opportuna autonomia del momento sartoriale legato ad uno specifico caso, ma sia al contrario di supporto e sostegno nell’adottare scelte al tempo stesso tecnicamente efficaci e rappresentative dell’indirizzo politico dell’ente.

Gli esempi possono essere molti: entro i limiti di legittimità, si disciplina oppure si promuove l’utilizzo di strumenti di amministrazione condivisa? Si chiede alle amministrazioni procedenti di giustificarne l’utilizzo oppure (lo fanno alcune leggi regionali) il mancato utilizzo? Li si considera strumenti residuali ed eccezionali, oppure si opta per una indifferenza tra amministrazione condivisa e mercato oppure ancora ci si orienta a considerare l’amministrazione condivisa come canale ordinario per costruire l’interesse generale? Si prova ad inquadrare – con strumenti appropriati ed entro i limiti di legge – la partecipazione di organizzazioni non profit diverse dagli ETS o meno? Si colloca l’amministrazione condivisa entro politiche generali orientate alla partecipazione diffusa dei cittadini? E, con riferimento ai regolamenti, si impone un cofinanziamento, magari a due cifre, oppure no? Si approvano modelli di avviso che assicurano una partecipazione ampia degli ETS, o si ha in mente un impianto semi-competitivo in cui un singolo soggetto viene selezionato per coprogettare? Si ammettono a rendicontazione tutte le spese sostenute dagli ETS oppure no? Le domande sono potenzialmente infinite e ripercorrono i tanti snodi critici dell’amministrazione condivisa sui quali oggi si discute.

Quello che però si intende affermare è che, se qualche anno fa la funzione principale della produzione normativa regionale e della autoregolamentazione era probabilmente quella di rassicurare i responsabili dell’amministrazione procedente circa la legittimità del procedimento che si apprestava governare, oggi i dubbi di legittimità appaiono in buona parte sciolti e dunque questa funzione appare secondaria. Al tempo stesso, proprio l’utilizzo diffuso degli strumenti di amministrazione condivisa fa sentire quanto mai urgente l’esigenza che essi siano opportunamente orientati, così da promuoverne l’utilizzo migliore e più aderente all’autentico spirito collaborativo.

Le buone ragioni per le normative attuative: i processi

Quanto sin ora detto, rispetto ai contenuti; ma il discorso sarebbe incompleto se non si ragionasse con attenzione anche sul processo. Se lo scopo principale di questa produzione normativa e regolamentare non è quello di rassicurare i responsabili pubblici che sono chiamati ad applicare i procedimenti collaborativi, ma di condividere un modello, una declinazione, un orientamento specifico di questi strumenti, allora il processo che porta all’approvazione è importante quanto il contenuto. L’approvazione di una legge regionale o di un regolamento di uno specifico ente procedente è infatti un’occasione importante per coinvolgere, nel rispetto dei rispettivi ruoli, i diversi livelli decisionali del soggetto pubblico (dirigenti e funzionari di più settori, non solo del welfare, quindi; settore amministrativo e uffici che gestiscono i patrimoni immobiliari; assessori e consiglieri di maggioranza e opposizione), e il Terzo settore del territorio nella creazione di regole condivise. Una legge o un regolamento sono l’occasione per costruire in modo consapevole e collaborativo una carta d’identità dell’amministrazione condivisa che sia riconosciuta da tutti i soggetti che poi vi saranno coinvolti in quel determinato territorio ovvero con uno specifico ente pubblico.

L’esito di questo processo è un sistema di regole condivise che contrasti una tendenza cui purtroppo talvolta si assiste e che vede il Terzo settore (ma talvolta anche settori della pubblica amministrazione) vivere i procedimenti di amministrazione condivisa come “subiti”, decisi da altri con regole che paiono penalizzanti o indesiderate o di cui non si comprende il significato culturale profondo. Forse, in molti contesti, sarebbe opportuno che, prima di intraprendere il percorso comune che porta all’approvazione di una legge regionale ovvero di un regolamento interno ad una pubblica amministrazione procedente, enti pubblici e Terzo settore si coinvolgessero insieme in percorsi formativi e di accompagnamento che portino a condividere appieno la portata culturale e di cambiamento che l’amministrazione condivisa porta con sé. E questo risulta viepiù strategico quando gli strumenti dell’amministrazione condivisa devono calarsi in contesti riformatori, anche dirompenti ed inediti, quale è per esempio, la riforma della disabilità ovvero l’implementazione del modello “budget di salute”.

Conclusioni

Oggi sono, fortunatamente, sempre meno i procedimenti di amministrazione condivisa palesemente illegittimi, frutto di un travisamento esplicito delle norme. Nondimeno, non è infrequente incontrare procedimenti che, anche ad una lettura sommaria, assomigliano ad appalti: oggetti già molto definiti, criteri di ammissione ai tavoli assai selettivi, scelta di lavorare con un singolo partecipante, poche riunioni del tavolo per chiudere il procedimento. Nessuna di queste scelte, ovviamente, considerate singolarmente, è illegittima, ma la loro combinazione tradisce una cultura distante dagli schemi di amministrazione condivisa.

Oggi sono, fortunatamente, sempre meno i soggetti pubblici che avversano esplicitamente l’amministrazione condivisa; anzi, in molti casi coprogrammazione e coprogettazione compaiono in documenti e auspici dei decisori politici. Nondimeno, i casi in cui l’orientamento tra il registro della collaborazione e quello della competizione si alternano in modo un po’ casuale e confusivo, sono molto frequenti.

Questi due esempi, tra i molti che si potrebbero fare, evidenziano come il relativo assestamento circa i dubbi che in anni passati generavano diffidenze sull’amministrazione condivisa non ha diminuito la necessità di impegnarsi nell’approvazione di leggi regionali e regolamenti di enti locali, aziende sanitarie o altre amministrazioni. Semplicemente, ne ha mutato la finalità principale: dalla rassicurazione dei responsabili degli enti pubblici chiamati ad applicare i procedimenti dell’amministrazione condivisa si è passati alla creazione di un orientamento condiviso, promozionale e coerente per la diffusione dell’amministrazione condivisa stessa. Si tratta quindi di far maturare in contesti organizzativi che dedichino attenzione e energie e che promuovano processi partecipativi per costruire procedimenti, assetti e funzioni coerenti con quegli obiettivi.