Alcune prime osservazioni sul decreto Salvini


Marco Marucci | 1 Ottobre 2018

Primo punto del cd. “decreto Salvini” è una nuova normazione del permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari, previsto dal TUI, L. 286/98, a coloro che fuggono da conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità come persecuzioni, sfruttamento lavorativo o tratta e a cui si ricorre nel caso non si ottenga il diritto allo status di rifugiato né alla protezione sussidiaria (Cfr. recente sentenza della Corte di Cassazione n.4455/2018).  I permessi di soggiorno per motivi umanitari diventeranno “permessi temporanei di carattere umanitario” concessi solo per alcuni “casi speciali”, in particolare: a vittime di grave sfruttamento lavorativo e di tratta, vittime di violenza domestica, vittime di gravi calamità naturali, necessitanti di cure mediche e protagonisti di atti di particolare valore civile.

 

La sentenza della Corte di Cassazione n.15466 del 7 luglio 2014, ha specificato invece come possano essere ricomprese cause riferite a situazioni di vulnerabilità anche eventi non ricompresi nelle misure tipiche sulla base di una valutazione esplicitata nella decisione della Commissione territoriale, sulla base del principio che i “gravi motivi umanitari” non possono essere tipizzati. La Cassazione ha stabilito che anche l’integrazione sociale è uno dei motivi che concorrono a determinare la situazione di vulnerabilità personale, in particolare va fatta una «valutazione comparativa per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza».

 

Il decreto, nella sua ultima versione comunque soggetta a modifiche, introduce per i rifugiati e i beneficiari di protezione internazionale la possibilità di revoca dello status e della possibilità di farne domanda per alcune categorie di reati come anche la revoca del patrocinio gratuito per chi fa ricorso contro le richieste giudicate inammissibili. I titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati (MISNA) inoltre sono gli unici che godranno del sistema di protezione degli Sprar, finora dedicato anche ai richiedenti asilo in attesa di valutazione delle domande.

 

A prescindere dalla consapevolezza che una partita molto più grossa si sta giocando a livello europeo, con la recente proposta di revisione del regolamento di Dublino e il potenziamento già promesso dalla Commissione UE della protezione della frontiera esterna, le disposizioni contenute nel decreto meritano una prima analisi anche a seguito della bocciatura della commissione immigrazione dell’Anci del 19 settembre 2018, preoccupata per un ritorno dell’accoglienza concentrata in grandi strutture, che ha visto la forte presenza di migranti in piccoli Comuni, con gravi ripercussioni sull’integrazione degli stessi nei territori d’accoglienza. In effetti il modello SPRAR, gestito dall’ANCI, che ha funzionato bene ed è stato anzi esempio di integrazione per altri Paesi europei1, ne esce depotenziato a favore di un ritorno ad una governance centralista e ad una logica emergenziale (quella dei Centri Accoglienza Straordinaria – CAS) e priva di progetti personalizzati di integrazione. Sembra che il Viminale tardi anche a pubblicare la graduatoria dei progetti SPRAR presentati dai Comuni per il 2018, attesa dal 1° luglio, giustificandosi con mancanza di plafond (forse i soldi dirottati al Fondo per i Rimpatri?).

 

La direzione del decreto desta preoccupazioni anche su altri punti, uno di ordine epistemologico e legato alla ragione stessa dell’esistenza di tale diritto. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari viene rilasciato dal Questore a seguito dell’esame della Commissione territoriale2 solo in casi di gravi motivi di ordine umanitario quali l’età o lo stato di salute del richiedente o alla reale impossibilità di tornare nel Paese di origine ove sussistano pericoli legati a motivi religiosi o politici, o ci siano crisi umanitarie, ambientali o naturali. Volendo negare di fatto a coloro che sfuggono da conflitti, disastri naturali o anche persecuzioni, sfruttamento lavorativo o alle vittime di tratta il diritto ad essere accolti in Italia si rischia di infrangere norme fondamentali sui diritti umani sanciti dalla Costituzione e dal Diritto Internazionale. Preoccupazione già destata dalla ASGI e dal CIR dopo l’emanazione della Circolare 4 luglio 2018 del Ministero dell’Interno, che interveniva già sulla stessa questione.

 

Un’altra preoccupazione è legata invece agli effetti che tale disposizione provocherà. Mentre i numeri dei soggiornanti per protezione umanitaria non hanno mai destato preoccupazioni (vedi tabella 1), se non per strumentalizzazioni ideologiche, il rischio che, chiuso questo canale di regolarizzazione istituzionale, si accentui il fenomeno dell’irregolarità e della clandestinità diventa plausibile e rende impossibile l’integrazione sociale sempre più marginalizzata. Mentre le percentuali di diniego alle richieste di asilo si attestano intorno ad un valore del 60% (il diniego è accompagnato da un procedimento di espulsione che concede 15 giorni di tempo per il rimpatrio volontario), la percentuale di chi ottiene protezione umanitaria e di un richiedente su 4. Il lieve aumento che si è avuto a fine 2017 e inizio 2018 (nel I trimestre 2018 accordate 6.397 protezioni umanitarie su 23.024 richieste esaminate totali, valore vicino al 40%), è dovuto essenzialmente al minor numero di richieste pervenute (auto selezione) e ai primi effetti della sentenza della Corte di Cassazione succitata. A fronte della chiusura di questo canale di regolarizzazione si registra inoltre una sempre più difficile praticabilità di percorsi regolari di ingresso, sia per la fallimentare gestione del Decreto Flussi (come da DPCM del 15 dicembre 2017 si regolarizzano al massimo 30.850 unità, di cui 18.000 solo per lavori stagionali e gli altri a fronte di requisiti difficilmente disponibili per i nuovi arrivati), sia per il diniego del visto turistico attuato dalle Ambasciate italiane in quasi tutti i Paesi africani, anche a fronte di regolare documentazione presentata (ospitalità dimostrata, biglietti di andata e ritorno, documenti regolari e dimostrazione di risorse economiche adeguate).

 

Tabella 1. Decisioni sui richiedenti asilo, 2015-2017

ANNI Status rifugiato Status protezione sussidiaria Proposta protezione umanitaria % protezione umanitaria su Tot. Diniego (*) % diniego su Tot. Altro esito (**)

Totale richieste

esaminate

2015 3.555 10.225 15.768 22% 41.503 58% 66 71.117
2016 4.808 12.873 18.979 21% 54.245 60% 188 91.102
2017 6.827 6.880 20.166 25% 46.992 58% 662 81.527

 *compresi negativo assente, inammissibilità, irreperibili – **compresi rinuncia, ecc

Fonte: Ministero dell’Interno

 

Il perseverare di una politica del “No Way” che anche in Australia è stata ampiamente criticata, soddisfa gli animi di chi si è convinto che esista un freno legislativo ad un fenomeno  antropologico e sociale che coinvolge buona parte del continente africano e di altrettanti Paesi in balia di crisi economiche, ambientali e destabilizzazioni politiche, ma non risolverà una questione cha va affrontata alla radice e non spostata nel tempo e nello spazio (la recente crisi libica è la dimostrazione che delegare la gestione delle domande immettendo risorse a governi instabili è quanto mai pericoloso). Quindi pianificare una politica di cooperazione e di aiuto internazionale forte prima di bloccare gli ingressi, come dimostra anche il recente Rapporto della Fondazione Gates, “If the right investments aren’t made, you’re going to have a lot more poverty and you’re going to have a lot more migration and problems across the world because we know disease and violence can spread.”

 

*Le opinioni espresse nel presente articolo non riflettono necessariamente quelle dell’ente di appartenenza

  1. Finora il sistema SPRAR ha finanziato 35.869 posti – dati aggiornati a marzo 2018 – di cui 3.488 per minori. Tutti realizzati su base volontaria dai Comuni, che decidono se aderire o meno al progetto.
  2. Come previsto dal DPR. 394/99 – regolamento di attuazione del Testo unico immigrazione Art. 11c. 1 lett. c) ter. Sul tema si legga anche l’interessante analisi di Nazzarena Zorzella (ASGI).