Combattere la povertà estrema: l’esperienza del Comune di Milano


A cura di Eleonora Gnan | 21 Maggio 2018

Intervista a Miriam Pasqui, funzionaria responsabile dell’Unità Coordinamento delle Emergenze Sociali del Comune di Milano (Direzione Emergenze Sociali, Diritti e Inclusione).

 

Qual è il quadro degli interventi attuati dal Comune di Milano per il contrasto alla grave marginalità?

Secondo i primi risultati dell’indagine racCONTAMI2018 realizzata dalla Fondazione De Benedetti, con la collaborazione del Comune di Milano e dell’Università Bocconi, i senza dimora rappresenterebbero lo 0,2% della popolazione cittadina, dato in linea con quello di altre grandi città europee. Il Comune di Milano, particolarmente attivo nel contrasto alla povertà estrema, mette in campo in forma permanente (durante l’intero anno solare) un notevole numero di interventi: 6 strutture di accoglienza notturna, 9 Centri Diurni e 18 Unità Mobili serali, 5 di tipo sanitario e 3 di Pronto Intervento Sociale diurno. Sono inoltre presenti Banco Alimentare e Banco Farmaceutico. La struttura di interventi per combattere la grave marginalità ha il suo perno nel Centro Aiuto Stazione Centrale (CASC), che negli ultimi anni ha acquisito la funzione di punto di primo accesso: qui confluiscono le richieste di aiuto provenienti non solo dalle persone senza dimora, ma da tutti coloro che necessitano di un posto letto, come stranieri e richiedenti/rifugiati. Tali richieste, a seconda della tipologia di bisogno individuato, vengono poi smistate tra i servizi presenti sul territorio.

Il Comune di Milano ha sempre pensato la grave marginalità divisa in due fasi temporali: da un lato, tutto quello che accade ordinariamente durante l’anno e, dall’altro, ciò che accade dal 15 novembre al 31 marzo dell’anno successivo. Nel periodo del cosiddetto Piano Freddo vi è un potenziamento ingente del numero di posti letto, anche presso strutture comunali a bassissima soglia, le Unità Mobili aumentano le loro uscite e i Centri Diurni accrescono la distribuzione di materiale.

 

Qual è la logica che sta dietro al vostro piano di interventi?

Grazie alle risorse dell’Avviso 4 del Pon Inclusione abbiamo deciso di mettere mano complessivamente a questo sistema e di cambiare le strategie di azione, stabilizzando a 500 il numero di posti letto standard e utilizzando il resto delle risorse per sperimentare ed innovare. In particolare, vorremmo promuovere un sistema di accoglienza residenziale articolato in risposte diversificate che, partendo dalla presa in carico del soggetto, si declinino in progetti che permettano alla persona di uscire dalla condizione di disagio e riprendere il controllo della propria vita. Nello specifico, vorremmo mettere a bando 20 posti in housing first1 e 20 in housing led2 in quanto ci interessa capire se l’opportunità della “casa subito” può essere una chance reale di inclusione sociale, dal momento che più le persone senza dimora restano in strada, più si cronicizzano e il percorso di integrazione diventa complesso. L’ipotesi di partire dalla casa, prevedendo anche interventi educativi e di sostegno, può quindi costituire una sperimentazione di svolta.

Inoltre, visto il forte decadimento fisico delle persone senza dimora, legato a dipendenze, patologie psichiche e psichiatriche, ma anche a malattie croniche e disabilità, è necessario pensare a unità di offerta nuove ed integrate per chi, passata la fase dell’acuzie, mantiene forti problematiche sanitarie. A tal proposito, in collaborazione con l’ATS e le ASST, vorremmo mettere in campo due strutture (da 30 posti ciascuna) fortemente integrate dal punto di vista sociosanitario.

Un’altra cosa che vorremmo sperimentare è quella della residenza fittizia a carico dell’amministrazione comunale, che al momento è in mano soltanto alle associazioni del Terzo Settore. Vorremmo aprire tale possibilità in tutti i Municipi della città, promuovendo un percorso di accompagnamento alla pratica della richiesta della residenza e al progressivo avvicinamento di questi soggetti ai servizi. La residenza è diritto di cittadinanza e consente l’ingresso nel sistema del welfare milanese.

 

Quali sono le altre priorità d’azione?

Un obiettivo che ci poniamo è quello di iniziare a concepire i servizi di accoglienza in una logica non emergenziale, all’interno di un sistema di interventi strategicamente orientati verso il maggior grado di inclusione sociale possibile della persona. In primis vorremmo ridimensionare in termini di capienza le strutture di accoglienza, superando la logica dei grandi edifici (20 posti letto contro i 200 attuali) e ripensando ad una qualità di prestazione più alta. Non solo quindi posti letto ed erogazione di pasti, ma anche percorsi di costruzione delle reti e di accompagnamento. A tal fine è necessario anche ripensare al ruolo delle Unità Mobili: la distribuzione in strada di cibo e coperte deve diventare un pretesto di aggancio della persona, deve consentire la creazione di relazioni di fiducia, in modo da favorirne l’avvicinamento ai servizi e la successiva presa in carico. Al contrario, si rischierebbe di creare soltanto dipendenza.

Anche il CASC deve essere ripensato: da luogo dove le persone vengono semplicemente smistate nelle strutture di accoglienza notturna a luogo in cui si effettua il case management e l’accompagnamento sul territorio. Il nostro obiettivo primario è infatti quello di rendere la grave marginalità un pezzo del sistema complessivo di welfare, poiché nel momento in cui la persona acquisisce la residenza diventa a pieno titolo cittadino milanese con fragilità che quindi deve poter afferire ai servizi territoriali di base, ed accedere alla residenzialità, ai servizi domiciliari e alle risorse economiche.

Infine, abbiamo previsto una serie di azioni di miglioramento della governance per garantire il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti – pubblici, privati e del Terzo Settore – che già operano in città. Collaboriamo con il Terzo Settore per cercare di costruire una visione condivisa sul significato dato agli interventi, per dare vita ad attività di formazione congiunta, monitoraggio, comunicazione e sensibilizzazione. Abbiamo anche dato il via a una collaborazione con la Polizia Locale rispetto a quello che chiamiamo lo “zoccolo duro” di persone che vivono in strada e non accettano l’accoglienza. Inoltre abbiamo previsto l’istituzione di una Cabina di Regia.

 

Quali sono gli attori coinvolti?

La Cabina di Regia è costituita fisicamente dalla Direzione Emergenze Sociali, Diritti e Inclusione, che assume un ruolo forte in termini di programmazione degli interventi, e da altri settori specifici che danno un contributo in termini di risorse e progettualità. In particolare, vi partecipano il Centro di Mediazione al Lavoro (CELAV), il settore residenzialità (Casa Jannacci) e residenzialità sociale temporanea (RST), il settore dipendenze e salute mentale, il settore delle misure di sostegno al reddito, i servizi del territorio, l’ATS e il Terzo Settore. Dal momento che il contrasto alla grave marginalità è una politica trasversale, a seconda delle questioni e delle esigenze da affrontare, sono coinvolte anche altre Direzioni del Comune (Direzione Periferie, Lavoro, Casa etc.).

 

Di che tipo di collaborazioni si tratta?

Innanzitutto è bene mettere fin da subito in evidenza come per molti anni le politiche pubbliche e le azioni del Terzo Settore siano state impostate su una logica di “attenzione all’ultimo” con maggiore propensione a garantire l’assistenza ed il soddisfacimento dei bisogni primari di chi è in condizione di deprivazione senza necessariamente adottare strumenti tesi a favorire l’autonomia.

Si aggiunge poi il fatto che la realtà del Terzo Settore è ancora oggi piuttosto eterogenea e fragile: alcune realtà sono grandi e strutturate, ma ci sono una miriade di altri piccoli soggetti provenienti dal mondo del volontariato puro che hanno fatto fatica ad intendersi come parte di un sistema più ampio, che non sempre hanno saputo riconoscere. Ciò anche per l’insufficiente capacità del “sistema” di includere tutti gli attori, valorizzandoli. Su questo negli ultimi anni si sono fatti significativi passi avanti che ci consentono oggi di cogliere a pieno l’opportunità rappresentata dai finanziamenti PON. Dobbiamo tenere insieme il protagonismo della società civile con la qualità dei servizi, proponendo un percorso di conoscenza, di definizione delle priorità di intervento e delle risorse da allocare. Nel passato il massimo della sinergia pubblico/privato la si realizzava nelle fasi immediatamente precedenti il Piano Freddo per mettere in campo le risorse da attivare. Ora vorremmo che la struttura di relazioni ed interventi diventasse stabile tutto l’anno, al di là dell’emergenza. Tutto ciò sta richiedendo un notevole sforzo e lunghe tempistiche per la legittimazione e il riconoscimento reciproco dei ruoli.

Un fattore che poi riteniamo molto positivo è l’avvicinamento di alcuni soggetti che non erano mai stati nella rete e che hanno deciso di venire a capire cosa sta accadendo a livello di programmazione. Collaboriamo infine con alcuni i soggetti del privato profit nella realizzazione di eventi di sensibilizzazione in modo da costruire intorno ai senza dimora una comunità accogliente, sensibile ed attenta.

 

Quante risorse ha a disposizione il Comune per il contrasto alla povertà estrema? Come pensate di integrarle?

Le risorse arrivano dal PON Inclusione (4 milioni), dal Po I FEAD (4 milioni) e dal Pon Città Metropolitana. Queste ultime in spesa corrente sono di piccola entità, dedicate per lo più a piccole sperimentazioni di animazione di comunità, crowfounding e in spesa capitale sono destinate ad interventi strutturali di riqualificazione di edifici (appartamenti, docce pubbliche, Casa Jannacci). A questo si aggiungono le risorse di bilancio del Comune (1,5 milioni all’anno) e le risorse trasferite dall’Art. 28 della Legge 328/2000 del fondo grave povertà (400 mila all’anno). Poi speriamo che arrivino presto le risorse nazionali del fondo povertà3 o delle misure di sostegno al reddito. Bisognerebbe capire quanto il Comune deve mettere per garantire la base degli interventi e quanto rimarrebbe per innovare, sperimentare, e costruire governance e relazioni. In merito alla ricomposizione, stiamo pensando di lavorare con l’Unità Interventi Sostegno al Reddito della Direzione Politiche Sociali per capire effettivamente quante risorse abbiamo e come fare ad integrarle. La Cabina di Regia deve essere proprio lo strumento di ricomposizione, tanto delle politiche quanto delle risorse.

 

Quali sono le criticità e i punti di forza della vostra esperienza?

La maggiore criticità riguarda la fatica di legittimare un ruolo forte di regia dell’amministrazione comunale, in quanto il tema dell’assistenza agli ultimi da sempre vede un forte protagonismo del privato sociale e della società civile, spesso in forme di autoorganizzazione. È fondamentale dire che si tratta di una politica sociale seria, che è un pezzo importante del nostro sistema di welfare e che dobbiamo garantire universalismo, gratuità e qualità dell’erogazione dei servizi. Secondo, la frammentazione tra i vari attori in gioco è ancora fortissima: è davvero necessario creare un’unità di offerta integrata e maggiormente specializzata. Un altro punto di caduta, su cui bisogna senz’altro lavorare, è rappresentato dai luoghi. Il CASC è oggi ubicato in un luogo non all’altezza del compito che ha, sia per chi ci lavora sia per chi ci arriva. Stiamo lavorando per identificare un nuovo spazio per far sì che il servizio diventi un vero welcome center per i senza dimora, un luogo di elaborazione di progetti, di manutenzione di reti e di costruzione di relazioni.

Il punto di forza è sicuramente rappresentato dal PON Inclusione, che ci obbliga a fare delle scelte specifiche. Da un lato, i fondi europei e, dall’altro, il fatto che la politica nazionale abbia finalmente definito una misura universale di sostegno al reddito (ex SIA oggi REI) significa che il tema della povertà sta tornando al centro dell’attenzione. Questo rappresenta il cambio di passo affinché le politiche contro la grave marginalità non restino solo “politiche di nicchia”. La speranza è che questa attenzione continui. È una questione di diritti e di chance di cambiamento reale: se non si agisce mediante un accompagnamento mirato ai servizi, alla presa in carico e all’inclusione, le persone senza dimora non avranno mai diritto di accesso e di cittadinanza all’interno del nostro sistema di welfare.

 

Per approfondimenti sul tema della homelessness si rimanda all’articolo pubblicato precedentemente su questo stesso sito.

  1. Piccole strutture, appartamenti in condivisione e in autonomia, con supporto educativo modulato in funzione dei bisogni e dei progetti individualizzati.
  2. Residenzialità combinata con servizi di assistenza, cura e supporto sociale. Rispetto a quelli attuati dall’approccio housing first, si tratta di servizi di più bassa intensità e durata, destinati a persone non croniche.
  3. Il Piano nazionale per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà 2018-2020 destina per la realizzazione di interventi e servizi in favore di persone in povertà estrema e senza dimora una quota totale pari a 20 milioni di euro, sulla base del modello volto a promuovere politiche di housing first.