Coordinamento e progettazione nella riduzione del danno e limitazione dei rischi

Il ruolo del Servizio sociale


Elisa Fornero | 16 Febbraio 2022

La riduzione del danno (RDD) e la limitazione dei rischi (LDR) sono ambiti di intervento ancora scarsamente sconosciuti e sviluppati in Italia, soprattutto nei servizi pubblici. Quando si pensa al servizio sociale, il collegamento va a un impiego nel settore pubblico e in genere il senso comune vede l’assistente sociale come un professionista con funzioni di controllo, oltre che di aiuto. Viene quindi da domandarsi: quale il senso del servizio sociale nella RDD? Perché un assistente sociale dovrebbe operare in questo settore? Proveremo in questo articolo a delineare le specificità e funzioni del professionista assistente sociale in questa sfera di intervento.

 

L’International Harm Reduction Association (IHRA) afferma che il termine RDD si riferisce a politiche, programmi e prassi che mirano a ridurre le conseguenze negative sulla salute, sociali ed economiche, che derivano dall’uso di sostanze legali o illegali, senza ridurre necessariamente il consumo delle stesse. La RDD è a vantaggio delle persone, delle loro famiglie e di tutta la comunità. Alla base della definizione vi è un approccio pragmatico e non giudicante: si riconosce che non tutte le persone possono o vogliono smettere di usare sostanze e si guarda al fenomeno senza pregiudizi, stereotipi e tabù. La RDD basa le sue strategie su evidenze scientifiche1 e l’IHRA ha dimostrato che gli interventi di questo tipo sono pratici, fattibili, efficaci, sicuri e economici.

 

La RDD nasce a Liverpool a metà degli anni ‘80, per far fronte all’aumento di uso di eroina e all’epidemia di HIV che conseguiva alla condivisione di materiale per iniezione: venne creato il primo programma di scambio di siringhe, grazie anche all’apporto di un carismatico educatore, ex tossicodipendente, Alan Parry che, eseguendo un’analisi del bisogno di coloro che usavano sostanze, propose la realizzazione di tale intervento2. Nel corso degli anni 90, la RDD si è diffusa sul territorio europeo e globale, diventando un elemento della c.d. politica dei 4 pilastri in tema di droghe (Prevenzione, Riduzione del Danno, Trattamento e Contrasto al Narcotraffico). Data 2003 la prima raccomandazione europea che suggerisce agli Stati Membri di dotarsi di strumenti e interventi di questo tipo (Council Recommendation of 18 June 2003 on the prevention and reduction of health-related harm associated with drug dependence (COM 2003/488/EC)) e oggi la RDD continua a essere parte dell’EU Drug Action Plan 2021-2025, nell’area III – Affrontare i danni da stupefacenti – Priorità 7 – interventi di riduzione dei rischi e dei danni e altre misure di protezione per le persone che usano sostanze.

A livello italiano solo nel 2017 la RDD viene inserita tra i Livelli Essenziali di Assistenza con il DPCM 12 gennaio 2017, ART 28, lett k) e ad oggi solo la Regione Piemonte ha dettagliato in norma le prestazioni da considerarsi tali, con la D.G.R. 12 aprile 2019, n. 42-8767. Per anni in Italia la RDD è stata osteggiata: il termine era stato cancellato e sostituito con “prevenzione delle malattie droga correlate”. Se ne è discusso per la prima volta quest’anno, nella Conferenza Nazionale sulle Droghe di Genova, a novembre 2021, nel Tavolo 4.

 

La RDD nasce come strategia rivolta a persone con uso problematico di sostanze ma nel corso del tempo è stato riconosciuto che la maggioranza di coloro che usano stupefacenti non ha bisogno di un trattamento; è necessario quindi offrire altre possibilità, che aiutino a minimizzare i rischi che derivano dal comportamento. Nasce così la LDR, in particolare sull’onda della diffusione dell’ecstasy nei contesti della scena globale della musica elettronica. Target e bisogni sono differenti: diventa necessario tradurre e applicare i principi della RDD a persone e stili di consumo diversi. La distribuzione di materiale sterile per l’uso endonasale di sostanze ed il drug checking sono il cardine in questo tipo di interventi.

Quanto sopra è il quadro entro il quale agisce il Progetto Neutravel, che coordino a partire dal 2015. Il Progetto si avvale di un’equipe multiprofessionale composta da assistenti sociali, psicologi, educatori, antropologi, chimici, infermieri ed operatori pari, cioè persone che presentano caratteristiche comuni al target di intervento in termini di età, situazione sociale e/o culturale, preferenze e prospettive. Nel caso di Neutravel, persone che usano sostanze e che frequentano i contesti del divertimento in cui interviene.

 

Utilizzare la multidisciplinarietà e la multiprofessionalità dall’analisi all’azione concreta su fenomeni complessi e mutevoli, per la produzione di servizi, è condizione basilare nell’affrontare i temi connessi all’uso di stupefacenti. La salute è infatti un fenomeno bio-psico-sociale che richiede l’unione di saperi diversi, per considerare la globalità della persona negli interventi. Tale principio è richiamato anche nel Codice Deontologico dell’Assistente Sociale, che all’Art. 8 sottolinea che il professionista “riconosce la centralità e l’unicità della persona in ogni intervento; considera ogni individuo anche dal punto di vista biologico, psicologico, sociale, culturale e spirituale, in rapporto al suo contesto di vita e di relazione”.

Questo un primo elemento a favore del fatto che questo professionista possa essere considerato idoneo nel coordinare questo tipo di interventi e servizi. Caratteristica del servizio sociale è infatti avere un approccio unitario nell’analisi e gestione delle situazioni in cui opera. In una visione multidimensionale dei fenomeni e/o problemi, il saper per fare sintesi, saper integrare tra loro discipline e competenze diverse sono caratteristiche basilari, per coordinare interventi efficaci; sono inoltre skills necessarie nella progettazione, un’attività fondamentale per servizi e progetti di RDD.

La scarsità di risorse economiche che in Italia viene destinata a questo tipo di interventi ed il fatto che essi sono prettamente implementati da enti di terzo settore, fa sì che la ricerca di fondi sia costante. Nella progettazione possono essere identificate tutte le fasi del procedimento metodologico del processo di aiuto del servizio sociale, che assume qui la caratteristica non di intervento sul caso ma su una comunità. Nei contesti del divertimento, al pari della società in generale, sono infatti presenti diverse culture e sub-culture che portano le persone a sentirsi parte di un gruppo, di una comunità, con proprie norme implicite ed esplicite, con servizi e prestazioni che vanno attentamente preparati per rispondere ai bisogni di quel target. Se inoltre si guarda alle fasi del Project Cycle Management (Identificazione del problema, Formulazione e Implementazione di una proposta di intervento, Monitoraggio e Valutazione dell’impatto/dei risultati e eventuale nuova formulazione di proposta progettuale), si vedrà una totale sovrapposizione agli step del processo di aiuto. Infatti, prima di ogni intervento o costruzione di progetto, è necessaria un’attenta analisi del bisogno a cui segue una valutazione dello stesso e la definizione di obiettivi, che porterà a identificare le azioni e le strategie più opportune per raggiungerli. Nell’implementazione di un progetto o intervento è importante avere dei momenti di riflessione e di monitoraggio, per valutare come l’azione procede, se risponde alle esigenze del target e al raggiungimento degli obiettivi. Alla conclusione di un intervento e/o di un progetto, segue sempre una valutazione dello stesso, al fine di apprendere dagli errori, consolidare buone pratiche, identificare nuove azioni per il soddisfacimento di emergenti bisogni del target.

 

Nel coordinamento di un team così come nella progettazione è necessario facilitare la partecipazione, nelle fasi sopra delineate, di tutti gli attori, dai professionisti agli operatori pari, in funzione delle loro specificità e competenze. Questo costituisce conditio sine qua non per la creazione di interventi che rispondano ai reali bisogni delle persone. È qui inoltre che multidimenisionalità e multiprofessionalità diventano risorsa e chiave di volta: integrare il sanitario con il sociale, stringere collaborazioni con professionalità che generalmente lavorano in “universi paralleli” rispetto agli operatori sociali, come per esempio un laboratorio di tossicologia forense, permette di creare risposte efficaci a problemi emergenti. Interventi o progetti che non prendono in considerazione questo legame tra diverse dimensioni e “sistemi”, difficilmente otterranno i risultati sperati ed inoltre non incontreranno i bisogni del target. Quest’ultimo in particolare assume importanza cardine e deve essere sempre coinvolto nella costruzione ed erogazione degli interventi, così come nella progettazione. Dall’inserimento nel team di operatori pari al coinvolgimento dei c.d. opinion leader o figure riconosciute come importanti e credibili nella comunità, in quanto è raro che in un contesto del divertimento l’operatore sociale sia ritenuto tale.

 

Conclusioni

Nel quadro sopra descritto è possibile affermare che l’assistente sociale possa essere tra le professionalità idonee a funzioni di coordinamento e progettazione, nella RDD. Questo professionista, infatti, è in grado di operare sintesi tra discipline diverse e attraverso la progettazione e il lavoro di rete, è in grado di creare il quadro entro il quale unire competenze e conoscenze diverse, al fine della collaborazione interprofessionale, per contribuire al miglioramento della salute e delle condizioni di vita delle persone.

L’assistente sociale può creare le condizioni affinché i professionisti coinvolti in un intervento/progetto mantengano il focus sulle persone, in base alle loro specificità professionali: relazione educativa (educatori), relazione terapeutica (psicologi), relazione tra pari (operatori pari), analisi delle sostanze (chimici), decodifica degli elementi culturali (antropologi), intervento sanitario preventivo e/o in situazioni di crisi (infermieri).

Va specificato che nella RDD/LDR, soprattutto all’interno degli interventi sul campo, i confini professionali vengono talvolta meno, così come la soglia tra funzioni di coordinamento e di operatività: è sul campo che probabilmente si crea orizzontalità. Ma forse questo perché RDD e LDR si inseriscono in contesti e relazioni non caratterizzate da gerarchia, ma dall’orizzontalità tipica delle relazioni informali.

  1. Wodak A., Cooney A.; Effectiveness of sterile needle and syringe programming in reducing HIV/AIDS among injecting drug users, Geneva: World Health Organization; 2004.
  2. Ashton, J.R., Seymour H., “Public Health and the origins of the Mersey Model of Harm Reduction”, International Journal of Drug Policy, Volume 21, Issue 2, March 2010, pag. 95.