Covid-19: piccole grandi rivoluzioni nelle relazioni di aiuto


Francesca Pidone | 27 Aprile 2021

Erano in corso le operazioni belliche della Seconda Guerra Mondiale, gli ospedali inglesi si trovavano a gestire un gran numero di soldati traumatizzati che presentavano diversi disagi mentali legati allo stress della guerra, a fronte di pochi terapeuti. Nel Northfield Military Hospital Wilfred Bion e S.H. Foulkes sperimentarono un intervento diretto a piccoli gruppi di soldati che rispecchiasse un setting similare a quello della squadra militare di appartenenza. La sperimentazione dette buoni risultati e venne messa a punto la Gruppoanalisi, un modello che integra la psicoanalisi e l’analisi dei processi dinamici del gruppo, permettendo nella rilevanza del gruppo di ridurre le resistenze del paziente al processo terapeutico ed affidarsi alla condivisione e alla comunicazione del gruppo1.

 

Una rivoluzione del rapporto duale psicoanalista-paziente nata in un periodo storico critico, quello di un conflitto armato mondiale. Tra le parole maggiormente associate al Covid, c’è stata quella di guerra. Pensiamo alle norme che limitano, o meglio, rimodulano le libertà (coprifuoco alle 22.00, divieti di movimento tra Regioni, etc.) delle persone, o alle conseguenze sull’economia considerate paragonabili a quelle dei periodi bellici. Quali sono le rivoluzioni messe in atto dagli operatori sociali e professionisti della relazione di aiuto in era pandemica? E se Bion e Foulkes hanno ideato in piena Seconda Guerra Mondiale un modello terapeutico nuovo tutt’ora efficace, quali sono le strategie adottate nel rapporto con il paziente o utente, legate alla emergenza pandemica che rimarranno e miglioreranno il nostro lavoro?

 

“Non più una stanza, ma due”. Un primo grande cambiamento realizzato è quello del setting. La resistenza dell’utilizzo della modalità on line per effettuare colloqui di supporto e sedute psicoterapeutiche prima dell’era pandemica era diffusa e giustificata tra molti professionisti con l’argomentazione della natura particolare del setting stesso, inteso, prevalentemente, nella sua accezione di configurazione dell’ambiente fisico in cui avviene il percorso psicologico. Il termine setting indica un contesto nello spazio e nel tempo delimitato e vincolato da regole su base di principi di modelli terapeutici che danno significato agli atti, verbali e non verbali, realizzati al suo interno e finalizzati al benessere dell’individuo.

Nel periodo pre – Covid, il passaggio alla terapia e ai colloqui on line, avveniva, soprattutto su richiesta dell’utente/paziente per sue specifiche necessità e in alcuni casi i professionisti rispetto a queste richieste preferivano interrompere o sospendere il loro intervento. In pieno lockdown l’apertura alle modalità on line è avvenuta nella concretezza dei fatti rendendo possibile ciò che fino a qualche tempo fa si pensava impraticabile. Quasi un agito dettato dalla forza della realtà dell’isolamento sociale.

 

Il Covid ha riportato a riflettere sul significato profondo del concetto di setting e a scoprire nuovamente l’importanza della predisposizione mentale dello psicologo all’incontro con l’altro e al suo contenimento. Si sono persi degli aspetti come la routine preparatoria e dell’incontro, la visione completa del corpo e la perdita di elementi di comunicazione non verbale. Limiti diventati stimoli sia per i percorsi iniziati e proseguiti on line sia per quelli che hanno cominciato esclusivamente in questa modalità. Una osservazione più allargata rispetto ai setting delle professioni di aiuto (assistenti sociali, counselors, educatori, etc.), da aggiungere alla riflessione nell’utilizzo della modalità online per i colloqui, è quella “dell’entrata” nelle case degli utenti con precipitazioni nella quotidianità ed imprevisti.

Ad esempio, in primi colloqui on line a donne che si rivolgevano al Centro Antiviolenza, mi sono capitate interruzioni della videochiamata legate magari all’avvicinamento dell’uomo rientrato a casa dopo avere fatto la spesa o a bambini e bambine che entravano nella stanza alla ricerca della mamma e si intromettevano durante il colloquio. Fattore di disturbo nella comunicazione e in alcuni casi, anche di rischio per la donna2. Tutto ciò ha portato a fare i conti con i confini del setting e la loro necessaria mobilità legata alla peculiarità della situazione, ma anche al riequilibrare la attività sui propri e specifici mandati professionali di fronte alla imprevedibilità. Ricordarsi, quindi, da dove si parte e fino a dove possiamo arrivare, è stato fondamentale come una bussola per orientarci dentro a luogo solo in parte esplorato.

 

“Mai così vicini e così lontani nello stesso modo con la nostra utenza”. La pandemia ha rivoluzionato schemi di vita per tutti durante e dopo il lockdown della primavera del 2020, periodo che ci ha messo in sospensione e in stand by dalla cosiddetta normalità. Vissuti di incertezza, di precarietà, di ansia e di paure appartenevano a tutti. Un evento, quello pandemico, che ha riportato i professionisti della relazione di aiuto ad una maggiore simmetria nel rapporto con l’utenza ed a un rispecchiamento con gli stati di animo vissuti da entrambe le parti. Più vicini nonostante la giusta distanza del ruolo di chi accoglie nel rapporto con chi aiuto lo chiede3. Questo non può lasciare indifferenti e ci porta a riscoprire quella attenzione su tematiche fondanti le nostre professionalità, come l’etica o il rispetto dell’altro, che la fretta per rispettare le tempistiche degli impegni, il carico di lavoro dei fascicoli assegnati, dei colloqui fissati, hanno portato ad accantonare. Inoltre, tutto ciò ci ha stimolato a riflettere maggiormente sui temi portati dalla nostra utenza. Ripensando al mio lavoro con le donne in casa rifugio, ad esempio, mi sono resa conto che l’esperienza “del vivere il tempo dell’attesa” è stato un grande insegnamento ricevuto da loro. Dopo l’ingresso nella casa rifugio, segue un periodo più o meno lungo, di sospensione per donne che hanno scelto di uscire da una situazione di violenza. Un tempo che segna un confine tra un prima, caratterizzato da una relazione violenta, e un dopo, ovvero un nuovo progetto di vita libera ma con alcuni punti di incertezza. Ci siamo trovati come cittadine e cittadini, nelle nostre case, in attesa di una diminuzione dei contagi da coronavirus e con il desiderio di riprendere la nostra vita sociale e quotidiana. Situazioni, quindi, simili nei vissuti. Io ho imparato molto dalla resilienza delle donne in questa fase di “attesa”, dalla loro capacità di affrontare i momenti di vuoto, le frustrazioni di non potere seguire nel presente i propri desideri di movimento, il dover limitarsi nei contatti all’esterno per comprendere le possibili reazioni del partner successive al loro ingresso in un programma di protezione. Per affrontare questa prova ho trovato molta ispirazione ripensando alla forza e alla determinazione di queste donne, sopravvissute alla violenza maschile, piuttosto che vittime passive.

 

“Il meglio dal peggio” e una maggiore consapevolezza del qui ed ora. Questo è un paradosso rivoluzionario della pandemia. Partendo da noi: quanta creatività abbiamo impiegato nel fronteggiare le sfide legate al Covid? La sperimentazione, come ad esempio quella del setting on line, è stata la parola d’ordine per tutti noi. A volte non valorizziamo e parliamo di improvvisazione ma non è un arrangiarsi ma un testare le competenze ed esperienze acquisite, a qualcosa di nuovo.

Le parole sono importanti e danno vita ai nostri pensieri ed atteggiamenti. Passando alle persone utenti: quanti esercizi di resistenza quotidiana abbiamo osservato nonostante la loro disperazione o il loro dolore? In lockdown, al Centro antiviolenza credevamo che le donne non riuscissero data la situazione di coabitazione forzata a chiamare, invece ci hanno contraddetto ed hanno continuato a telefonare per essere supportate. Dopo il lockdown, quando è stato possibile iniziare dei percorsi di uscita della violenza, abbiamo osservato come il Covid e il mondo prospettato nel post pandemia, fosse stato un acceleratore, paradossalmente positivo, della decisione di dire basta alla violenza.

 

La pandemia ha rivoluzionato la nostra vita e la professione. Nulla sarà come prima e ci saranno nuove sfide ma sicuramente faremo tesoro di tutte le strategie e i nuovi modus operandi definiti in questa era pandemica.

  1. Sui due autori citati si segnala: Ancona, L., Bion e Foulkes, un incontro mitologico, soltanto, ma è già abbastanza!. “Funzione Gamma Journal”, 2000, 3.
  2. L’entrare nelle case delle persone attraverso le videochiamate pone diversi interrogativi, che riguardano le professioni sociali nel loro complesso e che sono oggetto di dibattito e ricerche anche a livello internazionale. Si segnala qui la ricerca di L. L. Cook e D. Zschomler, Virtual Home Visits during the Covid-19 Pandemic, in Social Workers’ Perspectives, Practice, 32:5, 2020, p. 401-408. I principali contenuti di questo articolo sono illustrati in: Cellini, G. (a cura di), Rassegna delle riviste straniere. In: “La Rivista di Servizio Sociale”, n.1, 2020, p. 92-93.
  3. Si veda, su questo tema, anche il contributo di C.Pregno, Le parole armoniose: la vicinanza nel tempo del distanziamento sociale, Welforum.it, 9 giugno 2020.