Dal SIA al REI: i principali risultati della valutazione dell’Alleanza


Liliana Leone | 9 Novembre 2017

L’Alleanza contro la povertà, ha presentato ieri, mercoledì 8 novembre, i risultati del Rapporto di Valutazione: dal SIA al REI. Lo studio mira a sostenere un dibattito informato sulle politiche di contrasto della povertà e a fornire indicazioni utili all’attuazione del Rei. Lo scopo è stato quello di valutare i processi di implementazione del SIA: l’adeguatezza dei processi di rafforzamento amministrativo e di infrastrutturazione dei servizi sociali dagli Ambiti Territoriali Sociali (ATS), quali prerequisiti essenziali per una efficace azione della misura e per l’uscita da condizione di povertà estrema dei percettori della misura. Il lavoro, da me coordinato in qualità di responsabile scientifico per l’Alleanza, è stato auto-commissionato da una ampia rete della società civile senza alcun finanziamento pubblico ed è stato realizzato grazie all’impegno di un team di ricercatori con diverse appartenenze organizzative, oltre che da una rete di referenti territoriali dell’Alleanza. Per indagare i meccanismi di implementazione del programma sono stati utilizzati due principali metodi:

  • una indagine tramite questionario rivolta a tutti gli Ambiti territoriali sociali (ATS) che ha interessato 17 regioni e 332 Ambiti, pari al 56% degli ATS del Paese;
  • otto studi di caso realizzati in altrettante regioni (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Friuli Venezia Giulia). I casi/ATS sono stati individuati secondo l’approccio del caso multiplo e i ricercatori hanno realizzato interviste e focus group in loco coinvolgendo circa 90

E’ stato inoltre sviluppato un database aggiornato sugli ATS presenti in Italia al 1° gennaio 2017 con indicatori demografici e socioeconomici oltre che un indicatore sulla platea dei beneficiari potenziali (fase SIA 45 punti). Tale database è stato messo a disposizione delle amministrazioni e dei ricercatori in formato opendata.

 

Di seguito riporto  alcuni risultati che sono sintetizzati e discussi nel dodicesimo capitolo del rapporto.

1) Il tema della crescita delle capacità amministrative (programmazione, esternalizzazione dei servizi, rendicontazione, monitoraggio) è assolutamente centrale se si intende assicurare la qualità della spesa e l’esigibilità effettiva dei diritti dei cittadini. Nelle cinque regioni in via di sviluppo (Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Campania) si segnalano le principali barriere all’implementazione del SIA e del REI dovute a squilibri strutturali e al sovraccarico amministrativo. Tali regioni con meno di un terzo della popolazione italiana (29%), ricevono il 71% dei fondi destinati al rafforzamento dei servizi (PON Inclusione) per la presa in carico della metà della platea dei beneficiari previsti dal SIA.  Le amministrazioni  regionali e gli Ambiti territoriali sociali (ATS) dovranno gestire opportunità e rischi connessi alle risorse dei fondi strutturali che prevedono vincoli stringenti per la programmazione e la rendicontazione.

2) Processi di governance. Le regioni svolgono un ruolo fondamentale per garantire la governance a livello di sistema e quindi l’integrazione delle politiche di contrasto della povertà e delle politiche attive del lavoro nel contesto di un quadro programmatorio più ampio.

Il raccordo tra interventi sociali e servizi per l’impiego è fondamentale e tuttavia pratiche di integrazione tra questi servizi erano presenti, in fase di avvio del SIA, solo nel 53% dei casi (67% del Centro/Nord e 33% del Sud). Lo studio ha analizzato alcune specifiche difficoltà.  Le equipe multidisciplinari sono state costituite, con o senza atto formale, nel 58% degli Ambiti (67% al Centro-Nord e 46% al Sud), tuttavia, il ruolo del CPI previsto in tali equipe ha spesso riguardato solo funzioni di ‘profilazione’ dell’utenza. In quattro ATS su dieci, al momento della rilevazione (Aprile-Maggio), non erano stati ancora sottoscritti e attivati dei protocolli di intesa con attori rilevanti della rete territoriale.

3) L’accesso alla misura da parte della platea di beneficiari potenziali. Il tasso di take-up, inteso come percentuale dei percettori della misura rispetto alla platea dei beneficiari eleggibili per il benefit (che cioè risponde ai criteri determinati dal programma), rappresenta un indicatore molto importante; benché non sia direttamente associato all’efficacia permette di capire se la misura sta raggiungendo i potenziali beneficiari. A fine gennaio 2017, quindi a cinque mesi dall’avvio, il SIA aveva raggiunto poco meno di un nucleo su tre dei potenziali beneficiari con un tasso di take-up del 28,6%: il livello di take-up medio è più che doppio nelle regioni con tassi di povertà maggiori (37% al Sud contro 15% al Nord). Dai risultati degli studi di caso si rileva un aumento significativo del take-up tra febbraio e maggio 2017. Sebbene dai risultati degli studi di caso si evidenzia che tra febbraio e maggio vi sia stato un aumento significativo del numero di domande accettate, si tratta di una soglia di take–up ancora modesta ma in linea con quella di altre misure di trasferimento monetario con condizionalità (Leone L, 2015) realizzate nei Paesi OCSE che a regime (cioè dopo 2-3 anni) variano dal 40% all’80%. Una caratteristica tipica del contesto italiano è l’elevato take-up delle regioni del Sud rispetto al Nord. E’ stato chiesto quindi agli Ambiti di indicare in che misura a seguito dell’introduzione del SIA sono arrivati ai servizi nuclei in condizioni di povertà non noti al servizio sociale. Il SIA ha intercettato nuclei beneficiari in condizioni di povertà non in carico ai servizi: il 45% degli ATS delle regioni del Sud (molti in Campania e Sicilia) afferma che ‘nessuna o poche’ delle domande di SIA riguardano nuclei già conosciuti, mentre tale percentuale scende al 25% nel caso degli ATS del Centro –Nord.

4) La predisposizione dei progetti personalizzati. Un Ambito territoriale su tre (33%) a maggio 2017 dichiarava di essere riuscito, come previsto dalle Linee guida sul SIA del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a predisporre dei progetti personalizzati di presa in carico per oltre i tre quarti dei nuclei beneficiari. Si conferma uno squilibrio tra macro aree regionali con una differenza di 24 punti percentuali tra Ambiti territoriali del Sud e del Centro Nord. Un terzo degli Ambiti tuttavia, il 32% al Sud e il 19% nel Centro Nord, è riuscito a predisporre i progetti personalizzati per meno di un quarto dei nuclei beneficiari cioè per una parte molto ridotta degli aventi diritto. Quasi un terzo degli Ambiti dichiara che ‘spesso o frequentemente’ la mancata predisposizione dei progetti personalizzati è dovuta alla scarsità delle risorse e solo una minoranza non riportano problemi dovuti a tali carenze.

 

I progetti personalizzati, a causa del razionamento delle risorse, tendono a concentrare l’attenzione sul ‘capofamiglia’ talvolta a scapito di potenziali sinergie con azioni delle politiche giovanili ed educative. Sebbene la povertà minorile rappresenti una priorità del PON Inclusione e del nostro Paese, in particolare per le regioni del Sud (n.b la Sicilia è la regione Nuts2 con il più alto tasso di povertà dell’UE a 28), non emergono in questa fase sistematiche soluzioni volte a rompere il circuito della trasmissione intergenerazionale della povertà minorile. L’aspetto positivo che emerge è invece riferibile alla frequente presenza delle scuole (4 su dieci ATS) nei partenariati locali segno di una buona attenzione ai problemi della dispersione scolastica.

Si stanno sperimentando approcci innovativi che mirano ad offrire reali opportunità mobilitando le risorse della comunità (es: nuove forme di tirocinio formativo e di coinvolgimento delle risorse territoriali anche con ‘lavori di utilità sociale’). Si stanno utilizzando strategie di progettazione e acquisto-finanziamento dei servizi sociali basati sull’utilizzo di budget (uno stock di risorse) associati alla persona/nuclei piuttosto che all’erogazione di ‘flussi’ di prestazioni svincolate dal punto di vista economico dal soggetto. Tali strumenti sono stati denominati budget di cura, budget di capacitazione o ‘doti’ e implicano una vera rivoluzione nel rapporto tra ente locale e attori dell’economia sociale.

 

Dalla valutazione sono state tratte alcune raccomandazioni (Capitolo 14) che interpellano diversi attori e livelli di governo (nazionale, regionale e locale). Di seguito ne menziono alcune:

  1. Rafforzare meccanismi di governance del REI. Il ruolo di programmazione delle regioni è stato indispensabile per garantire la costruzione di strategie ad hoc di integrazioni possibili tra politiche attive del lavoro, istruzione, formazione professionale, salute e politiche sociali e per sostenere gli ATS a cui è affidata la gestione della misura. Occorre mobilitare competenze e sviluppare la capacità programmatoria dal basso, rafforzando processi effettivi di coprogettazione con attori del terzo settore.
  2. Migliorare l’accountability e la trasparenza: occorre migliorare il rilascio periodico da parte di Inps e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di dati utilizzabili da amministrazioni pubbliche, attori del Terzo Settore, comunità dei ricercatori e media per alimentare un dibattito pubblico informato.
  3. Modificare alcune indicazioni operative presenti nelle Linee guida sul SIA: è necessario integrare il focus del servizio sociale da intervento sulla singola presa in carico a promozione di opportunità a livello di comunità, concentrando le risorse professionali sui casi più fragili che maggiormente possono beneficiare di una presa in carico intensiva.
  4. Riporre al centro la povertà minorile e giovanile, in particolare in alcuni contesti, e le strategie di rottura della trappola della povertà.

 

In conclusione lo studio dimostra che una misura complessa come il SIA-REI incontra nel corso dell’implementazione molte difficoltà attuative non sempre prevedibili e che è necessario uno sforzo conoscitivo attento e costante per sostenere una politica di contrasto della povertà di cui abbiamo urgente necessità.