“Di Madre… in meglio”

Uno strumento di screening per gestanti per l’individuazione precoce di forme di abuso e trascuratezza nei confronti di neonati e bambini


Diego ha appena sei mesi quando arriva in Pronto Soccorso all’ora di pranzo di una fredda giornata di fine gennaio. Non presenta segni di traumi evidenti, non piange, sembra dormire. La mamma racconta che non riesce a svegliarlo, ha tentato di sollecitarlo, lo ha mosso, ma non reagisce. È uscita per strada ed ha chiesto aiuto ai passanti per essere accompagnata in ospedale.

Al primo esame obiettivo pediatrico il bimbo presenta ipotermia (33,4 C°), con frequenza cardiaca bassa, tremori, stato di semincoscienza con scarsa risposta alle stimolazioni. Dopo un periodo di osservazione, in assenza di risposte ai primi interventi, viene trasferito d’urgenza in altro nosocomio ad alta specializzazione neonatale, dove a seguito di indagine radiologica si riscontra la frattura della regione occipitale con emorragia cerebrale. Viene disposto intervento neurochirurgico di urgenza.

La mamma di Diego appare confusa, incapace di fornire le proprie generalità e le informazioni minimali relative al figlio e al coniuge. Non riesce a collocare gli eventi nel tempo e in prima battuta racconta che Diego è caduto dal divano mentre cambiava il pannolino; alla Polizia racconta una versione differente, a tratti incongruente, che trova pochi riscontri nelle prime indagini ambientali.

Il medico di reparto, come da procedura, segnala la situazione all’Autorità Giudiziaria e allerta il Servizio sociale comunale. L’Assistente sociale, assunte le prime sommarie informazioni sui genitori, attiva immediatamente l’equipe multidisciplinare di primo livello sul maltrattamento infantile che nel successivo approfondimento psico-sociale inquadra scenari relazionali e ambientali complessi e multiproblematici, con numerosi fattori di rischio e vulnerabilità. Molti aspetti erano già stati descritti nella cartella ginecologico-ostetrica quando la donna si era fatta seguire per la gravidanza al Consultorio Familiare, altri elementi erano annotati nella documentazione dei servizi territoriali (servizio sociale, centro salute mentale) che negli anni si erano occupati dei genitori e delle loro famiglie di origine: povertà cronica, basso livello di istruzione, carenza di reti e integrazione sociale, sfiducia verso le norme sociali e le istituzioni, psicopatologia dei genitori, devianza sociale (del padre), impulsività, relazioni familiari difficili (Di Blasio, 2005).

 

Il procedimento dinanzi al Tribunale per i Minorenni si sviluppa in tempi relativamente brevi (8 mesi), con ipotesi principale di un maltrattamento fisico, nello specifico “Sindrome del bambino scosso” (SBS).

Diego viene dimesso dalla neurochirurgia dopo 40 giorni di degenza e il Tribunale dispone il collocamento in struttura della donna assieme al figlio. L’equipe multidisciplinare, valutati tutti gli elementi di contesto e le dinamiche osservate prima durante le visite in reparto poi in comunità, constatata l’assenza di fattori protettivi, si esprime con una prognosi negativa di recuperabilità delle competenze genitoriali. Viene dichiarata la decadenza della responsabilità di entrambi i genitori e avviato l’iter adottivo, nella speranza di trovare a Diego una nuova famiglia nonostante la grave disabilità che il trauma gli ha prodotto e i cui esiti saranno sempre più evidenti negli anni a venire.

 

Questo caso nell’immediato genera negli operatori coinvolti un certo disorientamento emotivo. Ma ci si interroga anche sul perché, nonostante gli elementi noti, non si fosse riuscito a comprendere e decifrare la situazione problematica ed evitare quanto accaduto: quale bias cognitivo ha minimizzato i fattori di rischio o non ha favorito una rappresentazione globale e predittiva degli aspetti psico-socio-relazionali della coppia genitoriale?

Emerge, così, la necessità di definire un nuovo metodo di lavoro, predisponendo uno strumento in grado di individuare in maniera precoce le condizioni ambientali, familiari e relazionali, in cui si potrebbe verificare il maltrattamento infantile.

 

La rilevanza del fenomeno

L’abuso e la trascuratezza di minori rimangono problemi complessi e rilevanti nell’ambito della sfera della sanità pubblica. In particolare, la popolazione costituita da bambini e neonati sembra risultare a rischio di maltrattamento in maniera notevolmente maggiore rispetto ad altri minori (Usdhhs, 2008). Le stime globali relative ai casi di omicidio di minori indicano che i bambini, soprattutto quelli in tenera età, corrono un rischio maggiore, per svariate ragioni, tra cui la loro dipendenza dagli adulti di riferimento, la corporatura piccola e l’incapacità di difendersi da soli.

 

Box 1 – Rapporto EURES /omicidio in famiglia / giugno 2019

Nel 2018 si contano 31 figli uccisi dai genitori, con una crescita del +47,6% sull’anno precedente (21 vittime nel 2017). I 31 figlicidi censiti sono stati commessi in 20 casi dai padri (pari al 64,5%) e in 11 casi dalle madri (pari al 35,5%). La responsabilità delle madri è stata esclusiva nei 4 omicidi di figli di età inferiore ad un anno, scendendo al 40% nella fascia di età successiva (2 figli di 1-5 anni uccisi dalla madre e 3 dal padre), al 33,3% nella fascia 6-13 anni (2 a fronte di 4 figli uccisi dai padri) e attestandosi al 18,8% nei figlicidi degli over13enni (3 sui 16 complessivamente compiuti).

 

Dalle indagini a seguito di morte violenta emerge quasi sempre una storia di abuso e trascuratezza, maltrattamenti reiterati, dove il decesso è l’esito in cui culmina la dinamica violenta intrafamiliare. La restante maggior parte dei bambini vittime di abuso o maltrattamento resteranno ignoti ai servizi e cresceranno col peso e l’influenza dei propri traumi infantili, causa di sofferenza o disturbi nell’adolescenza o nell’età adulta.

È evidente che con l’identificazione tempestiva e l’intervento precoce in caso di abuso e trascuratezza di minori si possono prevenire o ridurre gli effetti avversi a lungo termine per i bambini vittime di tali “esperienze sfavorevoli”.

Tuttavia, raramente i servizi territoriali riescono ad identificare e prevenire forme di violenza nei confronti di questo segmento della popolazione (0 – 6 anni) prima del ricovero ospedaliero o del ricorso alla Procura del Tribunale per i Minorenni e quindi a danno avvenuto. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che i bimbi più piccoli hanno contatti limitati al di fuori dei gruppi sociali della famiglia, e gli episodi violenti si verificano spesso all’interno della famiglia o in situazioni che ruotano intorno ad essa, nel cosiddetto “circolo della fiducia” (Nikolaidis,2009).

 

L’idea e la proposta operativa

“Di madre in meglio” è uno strumento di screening per l’identificazione di contesti familiari a rischio o con problematiche compatibili con ipotesi di futuri maltrattamenti nei confronti di neonati e bambini (vulnerabili, genitori neglect, etc)1. L’inquadramento avviene in una fase precoce, quando la donna viene seguita durante lo stato di gravidanza al Consultorio Familiare o in un servizio materno-infantile o accede ad altri servizi territoriali2.

 

Lo strumento di screening si compone di una lista di 15 elementi (items) che sondano, combinano e “pesano” i fattori individuali e familiari distali (FRD) e i fattori prossimali di rischio e di amplificazione del rischio (FPR&AR) (Di Blasio P., 2005) per la violenza fisica e/o psicologica e la trascuratezza per le donne in gravidanza. In definitiva, “Di madre in meglio” configura un semplice sistema di triage che, a fronte di riferite/osservate condizioni socio ambientali e psico-relazionali, distingue tre macro categorie:

  • Gestanti che necessitano di ulteriore assessment psicologico e sociale, con punteggio elevato per indicatori di possibile abuso/trascuratezza (range c – d) Codice rosso
  • Gestanti in condizione border line (range b – c) Codice giallo
  • Gestanti senza esigenza di ulteriore assessment (range a – b) codice verde

 

L’azione di screening, con la somministrazione del questionario, si sviluppa durante la “presa in carico” della donna nel servizio specialistico dedicato, durante i controlli ginecologico-ostetrici dello stato di gravidanza. Il personale medico ed ostetrico, debitamente formato sulle tecniche di conduzione dell’intervista e ascolto empatico, nonché sui fattori di vulnerabilità psicosociale che si intende sondare, procede alla compilazione dei 15 items (alcuni a risposta chiusa, altri a scelta multipla) entro la terza visita/incontro.

Ovviamente si reputa indispensabile la costruzione di un “clima confortevole”, empatico, che possa connotare l’intervista come processo fluido di scambio di informazioni relative alla propria condizione personale e familiare, su tematiche che solitamente generano resistenze o difficoltà ad essere esplicitate per timore del giudizio altrui.

 

Outcome a livello di processo e di sistema

L’uso dello strumento produce risultati sia a livello di processo (A) che a livello di sistema (B):

A) I processi attivati riverberano effetti a livello organizzativo interno del servizio socio-sanitario interessato (ad es. Consultorio Familiare), mettendo in connessione l’area medico-ginecologica con l’area psicosociale, favorendo un approccio olistico e unitario nei confronti delle gestanti. Ma questo strumento, sopratutto, favorisce la capacità di rilevazione di sintomi e condizioni di disagio e di vulnerabilità che spesso viene frenata dai “meccanismi di difesa” che si attivano dinanzi al fenomeno dell’abuso e maltrattamento.

L’abnormità di una azione violenta nei confronti di esseri indifesi da parte di uno dei genitori, infatti, attiva negli operatori meccanismi di negazione e rimozione con i quali si tende a “non vedere” i fattori di rischio e ad escludere la probabilità che possa accadere un abuso.

Così come sovente lo stereotipo della “maternità gioiosa ed idilliaca”, uno “stato di grazia”, offusca ogni ipotesi e valutazione di possibile “dannoso maternage”, pur sapendo teoricamente che l’insorgenza di una sindrome depressiva post partum o lo stress dell’accudimento nei primi mesi (soprattutto in assenza di supporti familiari) può amplificare l’affaticamento e determinare reazioni sconsiderate. Lo strumento proposto sistematizza in modo oggettivo e graduato le informazioni, offrendo all’operatore una base documentale su cui riflettere, by-passando i “meccanismi di difesa”.

 

B) Lo strumento di screening agevola la costruzione una mappa territoriale del fenomeno rispetto alle variabili ambientali, sociali e relazionali, e può offrire agli operatori i dati/elementi utili ad una pianificazione mirata di interventi di prevenzione, sensibilizzazione e sostegno (home visiting, gruppi di sostegno, raccordo con la pediatria di libera scelta per un monitoraggio finalizzato).

Altresì, è possibile connettere e rendere coerenti le azioni dell’Ambito territoriale (progettazione esecutiva del Piano di Zona), nell’area della prevenzione del fenomeno abuso e maltrattamento infantile.

 

Conclusioni

Lo strumento proposto, ad uso del personale medico-sanitario del Consultorio Familiare (o altro servizio che intercetti una donna in stato di gravidanza), consente uno screening mirato in grado di offrire evidenze utili alla valutazione precoce di famiglie fragili o con presupposti di “genitorialità vulnerabile” riducendo il rischio di minimizzazione e negazione degli operatori.

L’inquadramento anamnestico psicosociale per la valutazione preliminare del rischio di maltrattamento da parte del caregiver, senza sostituire altri tipi di approcci o valutazioni di cui un professionista può avvalersi, configura una sorta di triage in grado di orientare con maggiore efficacia le azioni di prevenzione dei traumi infantili, di analisi empirica di tipo statistico/fenomenologico per la promozione e tutela della salute dei bambini.

Grazie alla oggettivazione delle informazioni e ai report dello screening si possono implementare programmi e percorsi di sostegno alla genitorialità così come previsto dai più recenti orientamenti di politica sanitaria relativi ai “primi 1000 giorni di vita del bambino”.

 

È il caso di Clara, primipara 30enne che durante il “percorso di preparazione al parto” partecipa allo screening.

Il report evidenzia una condizione di gestante in codice rosso (score=10) con i seguenti fattori di rischio: assenza di una rete di supporto familiare per il post partum, discordia con il partner e i familiari, preoccupazioni economiche, evidenti alterazioni dello stato emotivo/psichico, presenza di pianto reiterato e tono dell’umore lievemente depresso.

Al colloquio psicologico clinico di assessment emergono problematiche relazionali con le famiglie di origine, con interruzione dei rapporti in seguito a contese familiari su questioni patrimoniali. Lo stato di gravidanza ha amplificato il suo senso di solitudine e la preoccupazione sulla propria capacità di occuparsi del figlio in arrivo, che si innesta su una storia familiare caratterizzata da lutti sin dalla tenera eta. Orfana di padre dai 6 anni, perde anche la mamma poco prima del matrimonio.

Il suo unico referente affettivo è il giovane coniuge che, a sua volta, in passato ha sofferto di attacchi di panico e crisi d’ansia, con problematiche di svincolo dalla propria famiglia. Il progetto matrimoniale non è ben accetto da entrambe le famiglie di origine, per motivazioni diverse, e si sviluppa in un contesto di relazioni non supportive che in breve tempo alimentano disarmonia coniugale.

In prossimità del parto viene suggerito un servizio di “home visiting”, da attivare di concerto col servizio sociale d’ambito, con l’obiettivo di «accompagnare e sostenere la genitorialità fragile attraverso la costruzione di una relazione di aiuto».

Come stabilito nelle Linee guida del Cismai, l’home visiting prevede l’intervento di un educatore o operatore sanitario a casa della famiglia, stabilendo un monte ore settimanale, una durata minima e massima e un codice condiviso di comportamento, previo contratto sottoscritto dalle parti.

Al primo colloquio con l’assistente sociale del Comune manifestano riserve sulla proposta: lui per questioni economiche connesse alla compartecipazione alla spesa prevista dal regolamento di servizio, lei per una questione di diffidenza verso gli estranei e per il timore di subire l’intromissione nella privacy domestica. Inoltre, aleggia anche la fantasia che “gli assistenti sociali portano via i bambini”. Rifiutano la proposta. Tuttavia prosegue il percorso psicoterapeutico ambulatoriale con la coppia presso il Consultorio familiare, con colloqui a cadenza quindicinale.

Dopo due mesi circa dal parto, si sviluppa nella donna un quadro clinico compatibile con una “depressione post partum”. Si acuiscono i problemi relazionali nella coppia e con la famiglia di origine di lui e si manifestano episodi di insofferenza con acting out verbali. Grazie alla consolidata alleanza psicoterapeutica, con la coppia si analizzano le preoccupazioni e le difficoltà oggettive, nonché i possibili interventi di aiuto. Entrambi, vincendo le resistenze mostrate prima del parto, maturano la decisione di accettare la proposta dei servizi di attivazione dell’home visiting.

Al follow up, dopo 3 mesi, si rileva un miglioramento del quadro clinico della madre e del sé genitoriale, un aumento dell’autostima, una riduzione dello stress coniugale, con ricadute positive sulle attività di accudimento e maternage.

  1. Lo Strumento “Di madre in meglio” è stato ideato da Biacchi e De Robertis, poi discusso e condiviso nell’ambito dell’Equipe Multidisciplinare integrata specialistica su abuso, maltrattamento e violenza di genere (ambito sociale di Andria), in data 26.12.2018.
  2. “Di madre … in meglio” è implementato su una piattaforma on-line riservata.