Dono, solidarietà e volontariato da parte delle persone di origine immigrata
Nuovi protagonisti del sociale
Maurizio Ambrosini | 13 Dicembre 2023
Il volontariato è un fenomeno multiforme e sfaccettato, che coinvolge milioni di persone, in Italia e nel mondo. Siamo soliti tuttavia immaginarlo come un rapporto in cui chi sta meglio, per condizione sociale, salute, mezzi economici, aiuta chi si trova per qualche ragione in una condizione di bisogno o di mancanza. Se pensiamo al rapporto tra volontariato e immigrati, il pensiero va ai cittadini solidali che dedicano tempo, risorse ed energie alle molte necessità dei cittadini stranieri, specialmente i neo-arrivati e i più fragili: scuole d’italiano, ambulatori, mense, dopo-scuola, dormitori e mille altre iniziative1. Talvolta anche contrastate da indirizzi politici di chiusura ed esclusione, come nel caso emblematico dei salvataggi in mare.
Si pensa molto meno invece alle persone di origine immigrata come protagoniste attive della solidarietà, del dono e dell’aiuto verso altri, italiani compresi. A rivolgere lo sguardo verso questo volto pressoché inedito dell’altruismo ha pensato la rete dei Centri di Servizio per il Volontariato, promuovendo una ricerca realizzata in collaborazione con il Centro studi Medì-Migrazioni nel Mediterraneo di Genova2.
Gli immigrati, protagonisti della solidarietà
Lo spunto iniziale dell’indagine è scaturito dalla drammatica esperienza del Covid. Per alcune settimane sono comparse sui vari organi d’informazione delle notizie inusuali: collette, raccolte di materiale sanitario e donazioni da parte di associazioni e comunità immigrate a ospedali, Comuni e protezione civile italiana. I soggetti al margine della società nazionale, etichettati da una parte dell’opinione pubblica come estranei o sfruttatori opportunisti delle risorse del paese, si sono mobilitati per offrire un aiuto al paese che li ha accolti. Molti se ne sono dimenticati, ma uno degli obiettivi della ricerca è stato proprio quello di mantenere viva la memoria di questa esperienza, scandagliarne motivazioni e risvolti, esplorare altre dimensioni del dono da parte delle persone di origine immigrata. Mediante un questionario, e con il supporto della rete dei Centri di Servizio al Volontariato, l’indagine ha raccolto le risposte di 330 persone in vario modo coinvolte in pratiche solidali. Sono gli immigrati che non ci aspettiamo: prevalentemente donne (59%), istruiti (52% laureati), per la maggioranza ormai naturalizzati italiani (52%), accompagnati dalla propria famiglia (64%), con un discreto livello di occupazione stabile (42%). Questa nuova classe media ormai insediata si impegna in diverse forme di aiuto verso altri, materiali e immateriali, informali e organizzate: il 15,7% molto frequentemente, il 32,7% abbastanza spesso, il 33,1% ogni tanto.
La ricerca ha inoltre approfondito sette esperienze di associazioni e comunità guidate da immigrati e impegnate in pratiche solidali: per sostenere l’integrazione dei connazionali, per tramandare identità culturali e religiose, ma anche per partecipare attivamente alla società italiana. Al tempo del Covid e oltre.
Le interviste in profondità hanno consentito poi di conoscere meglio le esperienze e motivazioni dei partecipanti. Risalta anzitutto la ricostruzione delle molteplici attività solidali sviluppate durante la pandemia. In concreto, le attività svolte hanno coinvolto la raccolta e distribuzione di aiuti, come pure la traduzione e diffusione d’informazioni sui comportamenti da adottare, la mediazione con i servizi sanitari, la collaborazione in rete con servizi e organizzazioni italiane per aiutarle a raggiungere i residenti stranieri, cercando di arrivare anche ai più marginali e invisibili.
I volontari di origine immigrata si sono rivelati un tramite prezioso per costruire un ponte tra le istituzioni italiane e i soggiornanti stranieri, non solo per aiutare loro, ma anche -in una situazione pandemica- per tutelare l’igiene pubblica e la salute di tutti. La scoperta che “siamo tutti sulla stessa barca” ha bisogno di attori che traducano la coesistenza in coesione sociale, e i solidali di origine immigrata si sono trovati in una posizione strategica per svolgere questa funzione.
Più in generale, prima e dopo la pandemia, le aggregazioni promosse dagli immigrati, associative o religiose, sono punti di riferimento per i connazionali neoarrivati, svolgendo una funzione di ponte verso l’integrazione nel nuovo contesto. I nuovi arrivati trovano presso di esse aiuti materiali e servizi auto-organizzati di mediazione, in cui i partecipanti con maggiore dimestichezza con le istituzioni italiane si occupano di tradurre documenti, spiegare procedure burocratiche, fornire orientamento per trovare lavoro.
Il contributo degli immigrati socialmente impegnati non si è limitato tuttavia a un’attività di nicchia. Tanto i questionari quanto le interviste in profondità hanno disegnato un panorama variegato di partecipazione sociale: a volte perché già attivi in associazioni italiane, a volte aderendo ad appelli degli attori locali, a volte per il tramite delle proprie associazioni, gli intervistati hanno riportato diverse esperienze di collaborazione con Comuni, ospedali, protezione civile, Croce Rossa. Consegna di cibo, medicinali, trasporto della spesa, diffusione di opuscoli informativi hanno visto la collaborazione di volontari di origine immigrata con volontari nativi e istituzioni italiane. Tra le attività più significative, un aspetto poco noto è l’apertura delle sedi delle associazioni e comunità degli immigrati alle istituzioni italiane per attività connesse alla lotta al Covid: essendo insediate perlopiù in periferie urbane povere, queste associazioni e comunità diventano un elemento di infrastrutturazione sociale dei quartieri che ne sono carenti, un presidio della coesione sociale.
La multidimensionalità del dono
Accanto a questo versante collaborativo, particolarmente significativo all’epoca del Covid, i solidali di origine immigrata sono spesso impegnati su attività di carattere più rivendicativo, di sostegno ai diritti degli stranieri nei confronti delle istituzioni italiane: persone istruite, da molti anni in Italia, spesso ormai naturalizzate, sono nella posizione giusta per fornire informazioni, assistere i nuovi arrivati nei rapporti con la burocrazia, decodificare ed eventualmente tradurre documenti e richieste, diffondere consapevolezza dei diritti e delle eventuali discriminazioni.
La multidimensionalità delle azioni solidali guarda necessariamente anche al versante della solidarietà verso le comunità del paese di origine, esprimendosi sia in forme individuali, sia mediante l’organizzazione di aiuti in forma collettiva. In questo secondo caso la raccolta e gestione degli aiuti è più complessa, ma diventa anche l’occasione per sviluppare attività comunitarie: riunendosi per aiutare beneficiari lontani i partecipanti rafforzano i legami che li uniscono. Un esempio notevole è stato il noleggio di un aereo per portare aiuti in Burkina Faso.
Di grande ampiezza e varietà è poi l’esperienza d’impegno solidale nella società italiana, andando oltre i confini delle reti etniche.
Tra le motivazioni, è particolarmente significativa l’idea della restituzione in senso simbolico e allargato dell’aiuto ricevuto nei primi difficili tempi dell’insediamento in Italia o in altri frangenti critici. Avendo ricevuto aiuto, i protagonisti della nostra ricerca avvertono l’imperativo morale di impegnarsi a loro volta nell’aiutare altre persone. I solidali smentiscono diffusi luoghi comuni circa l’opportunismo e l’ingratitudine degli immigrati. Più implicito e sottile, ma congruente con uno dei significati del dono, è il suo messaggio di affermazione di uno status sociale raggiunto: la classe media solidale donando comunica probabilmente anche di avere consolidato una posizione nella società ricevente che le consente di essere generosa verso persone meno fortunate o in condizione di bisogno.
Una richiesta di riconoscimento
Nello stesso tempo, l’impegno solidale non si presenta come un’adesione acritica all’ordine sociale vigente. È diffusa tra gli intervistati la spinta al cambiamento sociale anche per il tramite delle diverse attività solidaristiche: per esempio mediante l’organizzazione di attività culturali che sfidano gli stereotipi e propongono una visione diversa dei fenomeni migratori, dei paesi di origine, del patrimonio storico, artistico, musicale di cui si fanno testimoni.
La prevalenza della componente femminile nella popolazione analizzata si riflette in una particolare sollecitudine per le questioni di genere, i diritti e l’empowerment delle donne, la protezione delle vittime di violenze e abusi nell’ambito domestico e nelle relazioni familiari: un problema sociale che durante il confinamento ha raggiunto picchi particolarmente gravi. Qui il punto di rilievo riguarda il ribaltamento di un altro stereotipo: la discussione sulle violenze domestiche colloca gli uomini immigrati sul banco degli imputati, vedendoli come perpetratori di abusi e prevaricazioni patriarcali, mentre le donne sono viste come vittime passive da soccorrere e sensibilizzare. Sebbene una ricerca come questa non si presti a generalizzazioni, è importante rilevare che uno dei campi d’impegno solidale delle donne di origine immigrata riguarda proprio l’aiuto verso altre donne, di qualunque origine, bisognose di aiuto contro la violenza di genere.
L’impegno solidale, specialmente quando si esercita in associazioni storicamente italiane o in rapporto con le istituzioni pubbliche, comporta esplicitamente o implicitamente anche una domanda di riconoscimento sociale. Il dono, nei rapporti con le società locali e le autorità, è anche una forma di comunicazione. Esprime la richiesta, e rivendica il diritto, di diventare visibili, di essere ascoltati, di venire accettati come una componente legittima e paritaria della compagine sociale.
Nello stesso tempo, gli immigrati socialmente impegnati chiedono più spazio anche all’interno del mondo del volontariato, che sta facendo da battistrada dell’evoluzione in senso multietnico e multireligioso della nostra società. Si profila così una nuova sfida per la solidarietà organizzata. Il volontariato vive di tensione etica e di valori democratici, cercando con le sue attività di promuovere un mondo migliore, più aperto, abitabile e dignitoso per tutti. È importante che s’interroghi sempre su come lo fa e insieme a chi.
- Ne parla Paola Bonizzoni in un recente libro: Bonizzoni P. (2023), Impegnati ad accogliere. Volontari e migranti oltre le crisi, Ledizioni, Milano.
- Csvnet-Centro studi Medì (2023). Propensioni, pratiche e percorsi del dono e della solidarietà. Cittadini stranieri in epoca di Covid-19. Rapporto di ricerca. Genova: Centro studi Medì