Emergenza sanitaria e pediatria

Una raccolta di esperienze (II parte)


Clarissa Vergine | 2 Febbraio 2021

Il nostro paese, e il mondo intero, sta affrontando una crisi sanitaria e socioeconomica senza precedenti, innescata dalla pandemia Covid–19. Se da un lato non è stato possibile prevedere l’andamento dell’emergenza, dall’altro la possibilità che permanesse nel tempo ha richiesto a tutte le professioni, in particolare quelle di aiuto, di adottare nuove modalità di gestione dei servizi e degli interventi.

 

Le restrizioni conseguenti all’emergenza sanitaria hanno reso netto il confine tra il lavoro consueto e programmabile, a cui erano soliti tutti gli operatori dei servizi, e un lavoro costituito da variabilità e incertezza, che ha richiesto flessibilità, innovazione e adattamento. Agli operatori sociali e sanitari sono stati forniti i giusti mezzi di protezione individuale ma anche di comunicazione collettiva, essendo venuto gradualmente a mancare lo strumento della relazione tra il professionista e le persone. La più intensa forma di interazione, il contatto vis – à – vis, è stata sostituita dai supporti informatici, da mesi a sostegno di quel dinamico processo che caratterizza la comunicazione in presenza. E allora, seppur impreparati e impauriti, operatori e cittadini sono entrati a far parte di quello che è stato definito un nuovo “smart welfare”1.

I professionisti, fatta eccezione per la gran parte di medici e infermieri, hanno sperimentato, per la prima volta per un tempo così prolungato, il lavoro agile. Questa nuova modalità ha innanzitutto modificato i rapporti tra gli operatori o con le équipe multiprofessionali, comportando rischi quali un rallentamento del processo di lavoro individuale e in/di équipe e una gestione del lavoro in autonomia. Si pensi agli incontri di rete all’interno delle strutture ospedaliere o nei distretti territoriali che richiedono la compresenza di più professionisti. Cosa è avvenuto durante i primi mesi dell’emergenza sanitaria? Gli incontri in presenza sono sempre stati sostituiti da incontri a distanza?

Quanto alle relazioni tra gli operatori e i soggetti fruitori di servizi e interventi, non è sempre stato possibile garantire il setting più adeguato a facilitare condizioni quali l’ascolto attivo, riflessivo ed empatico, l’accoglienza della domanda di aiuto, lo scambio di informazioni. Le emergenze rendono più complesso l’intero sistema di comunicazione: le persone richiedono informazioni più accurate e se le risposte ufficiali non sono disponibili, occorre contrastare la circolazione di risposte errate.

Queste considerazioni hanno posto numerosi interrogativi e hanno spinto alla conoscenza, seppur limitata, degli interventi attuati e delle relazioni con il pubblico da parte del campione del lavoro di ricerca che ha coinvolto le città di Torino, Genova, Trieste e Firenze2. Stante il perdurare dell’emergenza sanitaria, nel mese di maggio 2020 sono stati così riaperti i contatti – telefonici – con alcuni dei professionisti intervistati nei mesi precedenti. Le testimonianze di seguito condivise riguardano il periodo compreso tra la fine del mese di febbraio e la fine del mese di maggio 2020.

Un primo dato comune emergente (a fine primavera 2020) concerne la variabilità dello spettro di presentazione del Covid – 19: i minori hanno presentato sintomi più lievi o sono apparsi completamente asintomatici e raramente hanno avuto necessità di cure intensive, al contrario di quanto è avvenuto per la fascia adulta e anziana.

I Presidi Ospedalieri nello stato di emergenza

A partire dall’esordio dell’emergenza Coronavirus, tutti i presidi ospedalieri pediatrici hanno avviato i lavori per la salvaguardia e l’interesse dei propri operatori, dei bambini che necessitano di cure e delle loro famiglie.

Le attività ospedaliere sono state ridotte e riorganizzate per rispondere a un livello di sicurezza maggiore con la creazione di percorsi liberi dall’infezione e accessibili a tutti e, parallelamente, di percorsi dedicati e distinti per far fronte a eventuali positività al virus. Nei diversi presidi è stato necessario adottare misure quali la chiusura delle attività non essenziali, la sospensione dei ricoveri programmati non urgenti, delle visite ambulatoriali programmate e delle attività in libera professione, il contenimento degli accessi in Pronto Soccorso e, ancora, il rafforzamento dei controlli degli accessi in ospedale.

È stata altresì necessaria la fornitura dei dispositivi individuali di protezione (DPI) per operatori e pazienti, avvenuta in quantità sufficienti nei presidi di Genova e Trieste e in maniera più ridotta, almeno in un momento iniziale, in quelli di Torino e Firenze. Ma le azioni di sorveglianza sanitaria del personale ospedaliero e di famiglie e pazienti è avvenuta anche grazie alla possibilità di effettuare tamponi faringei o naso – faringei o test sierologici. La rielaborazione dei dati raccolti ha permesso di ravvisare gli elementi di criticità, ovvero le inevitabili conseguenze dello stato d’emergenza e delle misure di sicurezza, e soprattutto i punti di forza posti in risalto dagli operatori.

 

Gli ostacoli

  • Episodi di Burn out in capo al personale ospedaliero sanitario, che ha garantito quotidianamente la propria presenza in struttura;
  • Una progressiva necessità di aumento delle attività di segretariato sociale per soddisfare i bisogni di orientamento e informazione e quelli di tipo abitativo, economico e sociale non supportata dalla costante presenza degli operatori sociali. Gli assistenti sociali hanno alternato il lavoro in presenza, limitando gli accessi nei reparti ospedalieri, e il lavoro agile, incrementando l’utilizzo del contatto telefonico. Tutti gli assistenti sociali, in particolare, hanno riportato come una professione di aiuto possa perdere alcune delle sue peculiarità in assenza di una comunicazione efficace e del contatto diretto con pazienti, famiglie e operatori;
  • Le riunioni in équipe multiprofessionale interne all’ospedale e tra ospedale e territorio sono avvenute telematicamente; le attività in presenza sono gradualmente state garantite a partire dal mese di maggio. I principali elementi di criticità percepiti riguardano un lavoro conseguentemente più lento, frazionato e incompleto e fraintendimenti tra operatori;
  • Le attività ospedaliere di volontariato in presenza sono state sospese;
  • Con riferimento ai percorsi di continuità assistenziale post-ospedaliera, a subire maggiormente l’impatto della pandemia è stata l’assistenza domiciliare territoriale. In alcuni casi, per i minori già dimessi è stata disposta la sospensione di servizi domiciliari quali quelli di fisioterapia o logopedia (Trieste) o una riduzione delle visite al domicilio da parte del personale infermieristico dell’Assistenza Domiciliare Integrata (Torino) o, ancora, una riduzione degli accessi al domicilio nel territorio ligure. Solo l’Usl Toscana Centro, qualora necessario, ha garantito alcuni degli interventi al domicilio anche nei giorni festivi.

 

I punti di forza

  • Con l’obiettivo di garantire tempestivamente le prestazioni di previdenza sociale, nel presidio ospedaliero torinese è stato possibile inviare telematicamente ai Medici di Medicina Legale la documentazione necessaria al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap;
  • la pianificazione delle dimissioni protette è stata garantita ovunque regolarmente. Il nucleo di continuità assistenziale genovese, in attesa di un’organizzazione territoriale più robusta, ha inoltre prolungato la degenza ospedaliera per alcuni dei suoi pazienti;
  • alcuni dei servizi ospedalieri rivolti ai minori con patologie complesse sono stati potenziati. L’équipe del servizio ospedaliero di continuità dell’Irccs genovese ha incrementato il numero di pazienti a cui destinare il servizio di ospedalizzazione domiciliare, dotandosi temporaneamente di un’ulteriore unità infermieristica. Il Servizio Cure Palliative del presidio triestino ha invece erogato al domicilio alcune delle prestazioni prima erogate in ospedale (chemioterapia, trasfusioni, ecc.); tale estensione delle prestazioni del servizio è stata accelerata dall’emergenza sanitaria;
  • l’Irccs Gaslini ha garantito in modalità a distanza sia la scuola ospedaliera sia le attività di volontariato;
  • gli strumenti telematici hanno superato le resistenze e gli scetticismi da parte degli operatori che non hanno mai avuto confidenza con la tecnologia.

 

I cambiamenti nelle attività dei Pediatri di libera scelta

 La Federazione Italiana Medici Pediatri (Fimp), nella prima fase dell’emergenza sanitaria, ha disposto specifiche linee guida3, prevedendo che la pandemia potesse condizionare per lungo tempo l’organizzazione e le modalità di erogazione dell’assistenza del sistema sanitario nel suo complesso.

I pediatri di libera scelta coinvolti nella seconda parte dell’indagine esplorativa, al fine di contenere la diffusione dei contagi, hanno così intrapreso delle azioni comuni:

  • disponibilità di mascherine e distributori di soluzioni disinfettanti per i pazienti e di DPI per il personale di studio;
  • organizzazione dell’attività assistenziale prevedendo l’esecuzione delle visite e dell’accesso in studio solo su appuntamento e solo su triage telefonico;
  • consulenze telefoniche, telemedicina, visite ambulatoriali, ricette e prescrizioni di accertamenti senza necessità di una visita.

 

I pediatri hanno continuato a garantire la loro presenza in ambulatorio, dotandosi di DPI adeguati. Nella gran parte dei casi, la fornitura dei dispositivi da parte delle ASL di competenza è stata ritenuta insufficiente, con una conseguente necessità di riutilizzo di quelli in dotazione o di un reperimento degli stessi in autonomia (talvolta non esente da difficoltà). Ma nonostante le azioni attuate a protezione di famiglie, pazienti e operatori, l’attività ambulatoriale è stata esigua, se non del tutto assente: da un lato, è stato ravvisato un atteggiamento di timore da parte delle famiglie a recarsi presso gli studi medici, evitando situazioni di sovraffollamento nelle sale d’attesa; dall’altro, i pediatri hanno gestito le situazioni meno urgenti e complesse a distanza, dotandosi di strumenti propri quali computer, tablet o smartphone. L’utilizzo di questi dispositivi è stato perlopiù funzionale alla gestione dei casi dermatologici e neurologici, grazie alla visione di file multimediali come foto e video. Ha inoltre permesso di osservare il bambino muoversi nel suo contesto di vita e a proprio agio con l’ambiente che lo circonda, data la sospensione delle visite al domicilio. Tuttavia, questa modalità organizzativa non è sempre sufficiente quando professionisti e/o pazienti non possiedono adeguati dispositivi di supporto o non li possiedono affatto.

 

Uno strumento più strutturato menzionato dai pediatri è quello della telemedicina, sebbene non sia in atto ancora un uso massiccio e per molti sarebbe necessaria un’azione di implementazione. Le nuove tecnologie innovative, per alcuni, hanno consentito la trasmissione sicura di informazioni e dati di carattere medico nella forma di testi, registrazioni di suoni, immagini, video, parametrici clinici, ecc.

Le modalità organizzative sperimentate hanno quindi richiesto un utilizzo ingente, inedito ma giudicato positivamente, della tecnologia. I pediatri hanno principalmente apprezzato l’introduzione di una nuova modalità di erogazione dell’assistenza a cui da sempre auspicavano: l’implementazione dell’utilizzo degli strumenti legali e tecnici disponibili di invio <<dematerializzato>>, che ha consentito di inviare telematicamente le prescrizioni mediche di farmaci e visite. Questa azione ha messo in luce la necessità di differenziare le procedure di assistenza, scegliendole in funzione delle loro caratteristiche e peculiarità e riconoscendo che non tutte le consulenze e le cure necessitano di un esame fisico con la presenza del paziente in ambulatorio.

Nei casi più urgenti, i pazienti si sono recati direttamente presso le strutture ospedaliere per gli opportuni accertamenti oppure, come nel caso del contesto fiorentino, sono stati programmati interventi in collaborazione con le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca).

In un’ottica di lavoro integrato, i PdLS hanno altresì continuato a operare in sinergia con gli operatori ospedalieri e territoriali, prevedendo contatti telefonici con i primi e la modalità di videoconferenza con gli ultimi. Un lavoro multidisciplinare, questo, che è stato perlopiù necessario per la gestione dell’emergenza sanitaria e meno dei percorsi di continuità assistenziale. Nel periodo compreso tra la fine di febbraio e la fine di maggio 2020 non sono stati registrati dai PdLS nuovi ricoveri di pazienti con bisogni complessi e nuove dimissioni protette.

I pediatri, compatibilmente con il progressivo calo dei contagi, nel mese di maggio hanno gradualmente ripreso l’attività ambulatoriale, garantendo regolarmente le vaccinazioni previste dal Calendario Nazionale e riprendendo a pieno regime il Progetto Salute Infanzia con l’esecuzione di tutti i bilanci di salute e gli screening previsti.

 

In conclusione, un momento di crisi ed emergenza come quello attuale, sebbene abbia diffuso difficoltà quali la preoccupazione per le aperture al pubblico, per la riduzione dei contatti vis-à-vis e per la corretta ricezione della documentazione indispensabile per non interrompere i procedimenti amministrativi, ha permesso di cogliere nuove opportunità e percorrere strade inesplorate. Gli atteggiamenti proattivi da parte di tutti gli attori coinvolti rispetto alla situazione emergenziale possono e potranno essere d’aiuto per una ricostruzione complessiva dei servizi e degli interventi, conservando nel tempo le nuove prassi ritenute più utili, anche quando si sarà giunti a una fase di ripresa.

  1. Si consiglia la lettura dell’articolo di Paola Milani “È nato un nuovo smart welfare?”, in Animazione Sociale, n. 02/2020, 334, p. 31.
  2. L’articolo rappresenta una prosecuzione di una precedente pubblicazione intitolata “La continuità assistenziale post – ospedaliera in pediatria: quattro esperienze italiane (I Parte)”.
  3. Per un approfondimento si rimanda al Vademecum del pediatra di famiglia a cura del Gruppo di lavoro Covid-19 della Federazione Italiana Medici Pediatri (Fimp), 8 maggio 2020.