Fabbisogni standard dei Comuni per il sociale

Stato dell'arte e questioni aperte


Laura Pelliccia | 7 Gennaio 2020

A cosa servono i modelli di determinazione dei fabbisogni standard dei Comuni?

Sono passati dieci anni dall’approvazione della legge delega sul federalismo fiscale (L.42/2009) che aveva tra gli altri obiettivi la costruzione di un sistema di finanziamento degli enti locali di tipo responsabilizzante, superando la logica della spesa storica con cui veniva tradizionalmente ripartito il fondo di solidarietà comunale, per convergere ad una prospettiva di accountability che favorisse l’efficienza nella produzione dei servizi locali. Questo processo ha coinvolto tutte le funzioni fondamentali dei Comuni, compresa “l’assistenza” (la dicitura con cui i decreti attuativi, in particolare il dlgs 216/2010, hanno etichettato i servizi sociali).

Da diversi anni è stato avviato un percorso attuativo di rilevazione delle informazioni utili alla determinazione del fabbisogno (il questionario Sose) e, parallelamente, una serie di sforzi di affinamento metodologico per individuare il modello tecnico di stima del fabbisogno. Un processo dall’iter particolarmente complesso a livello istituzionale che oggi, nonostante le molteplici revisioni metodologiche,  trova ancora molte resistenze attuative a causa di nodi di fondo irrisolti, con conseguenti ritardi nell’effettivo recepimento ai fini dei processi di allocazione della finanza pubblica.

I servizi sociali sono probabilmente il settore dove si manifestano maggiori contraddizioni operative; occorre premettere che, sin dall’inizio di questo processo, la “funzione sociale” è stata scorporata in due sottoambiti, trattati separatamente dal punto di vista metodologico: la “funzione sociale al netto dei nidi” e il “Servizio di asili nido”. Recentemente grande attenzione mediatica è stata dedicata all’impatto dei fabbisogni standard sul secondo sottoambito, ma anche il primo, merita altrettante riflessioni (peraltro vale oltre 3 volte la spesa per i nidi).

 

Dopo il primo tentativo di rappresentare la questione, cercheremo di fare il punto sullo stato dell’arte complessivo, anche alla luce dei risultati più recenti delle stime. Va premesso che, per esigenze di sintesi, ci focalizzeremo sulla stima del fabbisogno standard, che è solo il primo step del percorso (la base per l’applicazione delle successive regole di perequazione, non affrontate in questo pezzo).

 

Quali difficoltà si incontrano relative alle specificità dei servizi sociali rispetto alle altre funzioni comunali

La misurazione del fabbisogno presuppone l’individuazione di una quantità di servizi che tutti i comuni sono tenuti ad assicurare. Come noto, la mancanza di definizione dei Lep impedisce la possibilità di fare riferimento ad un pacchetto di prestazioni tipo, aprendo la strada ad altre soluzioni, non proprio pacifiche in una situazione di partenza con enormi divari tra i territori.

Solo per citare alcuni dilemmi di fondo: il fabbisogno dipende dai livelli di servizio effettivamente erogati oppure deve essere stimato a prescindere dall’effettiva offerta di ogni territorio? È opportuno riconoscere un fabbisogno ai Comuni che non offrono il servizio? La scelta di un Comune di offrire livelli di servizi sociali oltre lo standard, deve essere incoraggiata? Come responsabilizzare i Comuni con servizi carenti affinchè usino il fabbisogno loro attribuito per sviluppare effettivamente i propri interventi?

 

Una seconda questione cruciale è come misurare il livello di servizi sociali erogati da un Comune: data la complessità in cui si articolano tali servizi e la molteplicità dei target di bisogno a cui rispondono è quanto mai  difficile sintetizzare in pochi indicatori il livello dell’offerta sociale di un Comune.

Ci troviamo inoltre di fronte ad un meccanismo che considera come unità di riferimento a cui attribuire le risorse il singolo Comune, mentre è noto che la dimensione ottimale per la gestione della programmazione dei servizi sociali è quella di ambito/distretto.

 

Infine, dovrebbe essere considerata un’ulteriore e non meno rilevante specificità: la responsabilità del livello di servizi sociali erogati è interamente riconducibile alle politiche dei singoli Comuni? Si sa che non c’è ambito, come quello del welfare, dove il livello dei servizi è la combinazione delle scelte di diversi livelli di governo (Stato, Regioni per le politiche sanitarie e sociali, per la gestione dei fondi europei).

 

Come viene misurato il fabbisogno standard di asili e di servizi sociali nell’attuale metodologia?

In origine, nelle prime ipotesi di costruzione del modello, gli asili nido e i servizi sociali erano trattati con due diversi approcci:

  • per i nidi si presupponeva che l’offerta fosse misurabile e si riconosceva un fabbisogno solo ai comuni che erogavano direttamente questo servizio in funzione del livello di utenza servita
  • per gli altri servizi sociali si stimava il fabbisogno con una funzione di spesa, riconoscendo risorse in funzione di indicatori sociodemografici proxy del fabbisogno, a prescindere dall’effettiva offerta comunale

Più di recente, intorno al 2016, si è passati anche per i servizi sociali ad una stima del fabbisogno che tiene conto dei costi standard dei servizi effettivamente erogati dal Comune.

Dal 2016 la stima del fabbisogno è divenuta ibrida, ossia la determinazione avviene in parte tenendo conto di elementi di contesto (fattori socioeconomici e demografici), in parte in base all’offerta effettiva di quei servizi da parte del comune. Si presume che tale correttivo sia stato introdotto per evitare di finanziare comuni senza che questi offrissero effettivamente servizi. Nel caso di Comuni che non erogano una certa tipologia di servizi sociali il fabbisogno non è interamente azzerato, ma viene riconosciuto un livello minimo di risorse sulla base di indicatori socio-demografici proxy del livello di bisogno. Comunque, nella stima del fabbisogno, sembra incidere maggiormente il livello di servizi effettivamente erogati dal comune rispetto a quelli attesi1. Di fatto, si considerano i servizi sociali come servizi a domanda individuale, che vengono o non vengono erogati dai singoli comuni a seconda dall’effettiva richiesta da parte dei cittadini. Sulla possibilità di riuscire a misurare in maniera esaustiva l’offerta di servizi sociali di un comune permangono diverse perplessità2.

Nel caso dei nidi lo storico problema dell’assegnazione di fabbisogno solo ai Comuni che erogano il servizio è stato recentemente corretto con il riconoscimento di una soglia minima a tutti i Comuni in base alla fascia demografica e l’introduzione di una soglia massima, insomma un tentativo di normalizzazione dell’eterogeneità (correttivi che andranno in vigore dal 2020).

È stato inoltre riconosciuto ai Comuni che oggi non erogano il servizio nidi un fabbisogno legato alla possibilità di finanziare gli oneri che le famiglie affrontano per acquistare il servizio dal mercato privato tramite voucher3. Rispetto a questi correttivi, la recente relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (2019) sottolinea che essi avranno comunque una portata redistributiva limitata nel mitigare le sperequazioni  nell’attribuzione dei fabbisogni; peraltro, non è scontato che un comune che si vede attribuito un fabbisogno finanziario senza erogare il servizio, utilizzi quelle risorse per ampliare l’offerta di nidi, in assenza di finalizzazione delle risorse aggiuntive attribuite a titolo di maggior fabbisogno.

 

Quale sarebbe l’impatto nei vari territori dell’applicazione del modello?

Al momento l’aggiornamento più recente dei fabbisogni standard è quello riferito alla rilevazione del 2016. Per ogni Comune, è possibile confrontare la spesa storica e il fabbisogno standard stimato per gli asili nido e per gli altri servizi sociali (quale sarebbe il livello di spesa giustificato dati i bisogni della popolazione e i costi di produzione attesi di quel territorio), evidenziando l’effetto positivo o negativo del processo di standardizzazione.

Ad esempio, tra i Comuni più grandi (quelli oltre i 250.000 abitanti delle Regioni a statuto ordinario, Tab. 1), si osserva che, la spesa standard per i nidi, è quasi ovunque sensibilmente superiore a quella ritenuta necessaria dalla stima del fabbisogno (ad esempio, la standardizzazione riconosce a Milano il 16,4% in meno rispetto alla spesa attuale, con picchi fino al -49,3% di Napoli). Al contrario, a Bari si assegna un fabbisogno del 35,7% più elevato rispetto al valore estremamente ridotto della spesa storica (13,7€); ciò non significa che la standardizzazione agisce in aumento solo nei casi di spesa contenuta, poiché effetti positivi ci sarebbero anche in realtà con livelli di partenza medio alti come Roma.

Per i restanti servizi sociali si stima un fabbisogno sensibilmente più alto rispetto alla spesa storica a Napoli (+51,5%) e a Genova (+29,3%). Al contrario Venezia e Milano si vedono riconosciute un fabbisogno decisamente inferiore alla spesa attuale (-39,2% e -23,9%), come dire che l’attuale spesa non è giustificata in termini di quantità di servizi rispetto alle esigenze oppure in termini di livello di costi unitari per la produzione degli output.

 

Tab. 1 – Spesa storica e spesa standard dei comuni più popolosi, anno 2016, valori pro-capite

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Ns eleborazione su Opendata Opencivitas.it, risultati su questionari 2016

 

Come è cambiata nel tempo l’importanza dei servizi sociali rispetto al totale delle funzioni dei Comuni?

Da cosa dipende la valutazione dell’importanza dei servizi sociali rispetto alle altre funzioni fondamentali che i comuni sono tenuti ad erogare? A livello nazionale il peso delle varie funzioni, definito come “coefficiente di riparto” è determinato dall’incidenza del fabbisogno stimato per quella specifica funzione rispetto al fabbisogno stimato per il totale delle funzioni dei comuni; i pesi vengono aggiornati sulla base dell’andamento storico della spesa per i singoli servizi, opportunamente standardizzata. Se per qualche motivo risulta un generale arretramento nell’erogazione dei servizi sociali, quella funzione perde peso rispetto al totale. Si pensi, ad esempio, ai fenomeni in atto di arretramento nell’erogazione di alcuni servizi, come il SAD per gli anziani, che vengono interpretati dal modello come riduzione del fabbisogno.

Sarebbe invece necessario che il modello riuscisse a considerare l’andamento dei bisogni dei diversi servizi in base all’evoluzione del quadro demografico-epidemiologico-sociale e ad assegnare pesi alle varie funzioni in base alle dinamiche di importanza relativa dei bisogni.

 

Si riporta l’evoluzione del peso del sociale e dei nidi risultante dalle varie versioni delle note metodologiche sui fabbisogni standard. Si precisa in particolare che per i nidi la riduzione annunciata per il 2018 non ha trovato effettiva applicazione, grazie ai correttivi introdotti per normalizzare il fabbisogno standard4.

Dopo tali aggiustamenti per i nidi si registra una tenuta, mentre sembrerebbe che l’importanza del resto dei servizi sociali si stia ridimensionando nel tempo rispetto alle altre funzioni erogate dai comuni (funzioni generali, polizia locale, istruzione pubblica, viabilità, trasporti, rifiuti). In particolare, tra il 2016 e il 2017 il coefficiente è passato dal 16,4 al 13,6%. Potrebbero avere contributo, anche in questo caso, le modifiche metodologiche, ossia il passaggio da una funzione di spesa pura ad una funzione di spesa aumentata. In ogni caso, il peso dei servizi sociali calcolato sui dati 2016 è inferiore a quello stimato sui dati 2015,

 

Tab. 2 – Peso della funzione rispetto al totale funzioni dei Comuni, evoluzione storica

Riferimento temporale note metodologiche SOSE
21/03/2016

2017

(13/9/2016)

 2019

(12/9/2018 su dati 2016*)

2020

(24/7/2019)

Asili 3,08% 4,23% 3,92% 3,99%
Sociale (al netto nidi) 16,44% 13,62% 13,72% 13,71%

*la stessa nota individuava come pesi sui dati rilevati al 2015 il 4% per i nidi e il 13,83% per il sociale

 

Le questioni ancora aperte

Per quanto siano stati compiuti affinamenti, si ritiene che sia impossibile arrivare a misurare in maniera esaustiva l’offerta di servizi sociali di un comune e, conseguentemente, prendere a riferimento l’output (offerta effettiva) come elemento fondamentale per individuare il livello di fabbisogno finanziario.

Così facendo, infatti, si perpetua il rischio di sottostimare la domanda inevasa e quella inespressa: non è detto che i servizi non vengano offerti perché la popolazione di quel Comune non li richiede, ovvero che la mancata erogazione sia il risultato di diverse preferenze locali.

Resta dunque ineludibile, per poter applicare simili modelli, definire il livello di servizi da assicurare in tutto il Paese, anche attraverso interventi finanziari mirati alla riduzione dei divari a supporto dei territori con copertura più carente dei servizi (senza aspettarsi che lo sviluppo delle zone carenti sia finanziato con riduzione dei servizi nei territori più evoluti).

 

Alcuni recenti interventi nazionali hanno avuto una portata limitata rispetto a questi obiettivi: si pensi ai finanziamenti della “buona scuola” (Fondo nazionale per il Sistema integrato di educazione e di istruzione): il decreto di riparto del 2018 (Decreto Miur 26 ottobre 2018, n. 687), rispetto ai 244 milioni stanziati, ne assegna solo 15 per il riequilibrio a favore delle zone con scarsa copertura di nidi, lasciando che le restanti risorse al consolidamento degli squilibri storici.

Questo genere di operazioni non può prefigurarsi come una pura manovra di allocazione delle risorse ma dovrebbe essere accompagnata da un solido sistema di monitoraggio per verificare l’effettiva finalizzazione delle risorse aggiuntive; dovrebbe essere altresì accompagnata da meccanismi premiali, per evitare comportamenti passivi da parte dei beneficiari.

Altri nodi ancora poco considerati nei modelli sinora sviluppati sono:

  • la necessità di considerare tutte le fonti che concorrono all’erogazione dei servizi (ad esempio, al momento i modelli non sembrano tener conto, a parità di servizi erogati, dei diversi livelli di compartecipazione ai costi da parte delle famiglie oppure del sostegno assicurato ai comuni dalle relative regioni);
  • la necessità di considerare l’evoluzione del fabbisogno di servizi sociali rispetto alle caratteristiche socio-demografiche della popolazione, riuscendo a relativizzare questo fabbisogno rispetto alle altre funzioni comunali;
  • la necessità di promuovere non tanto il finanziamento del singolo comune ma quello degli ambiti.
  1. “A seguito dell’utilizzo di una funzione di spesa aumentata si nota come la presenza del servizio porti ad un incremento della spesa standard procapite base di 1, 22 euro per ogni target assistito, invece, la presenza di utenti nella macro-area di intervento che prevede la presenza di strutture sul territorio, porta ad un incremento della spesa standard procapite base di 4, 26 euro”.
  2. La misurazione si fa sulla base del numero di utenti e delle ore di assistenza erogate ai principali target di utenza utilizzate dall’Indagine Istat sui servizi sociali(Famiglia e minori, disabili, dipendenze e salute mentale, anziani, immigrati e nomadi, povertà-disagio e adulti senza dimora): tuttavia non c’è una effettiva integrazione con questa rilevazione, ma i dati vengono raccolti nuovamente con gli appositi questionari Sose utilizzando un set informativo ridotto, difficilmente capace di cogliere tutte le necessarie sfumature, Ad esempio, nei questionari Sose non si fa distinzione tra i vari setting assistenziali (residenziale, domiciliare, diurno) ma l’intensità è misurata indistintamente in ore. Ci sia domanda quanto ad esempio sia equiparabile un’ora di assistenza residenziale a quella domiciliare o nei centri diurni oppure se il sistema sia in grado di riconoscere l’impegno dei Comuni per l’assistenza nelle comunità per minori, attività quanto mai onerosa. La metodologia riconosce un maggior fabbisogno ai comuni che gestiscono strutture comunitarie e residenziali. In ogni caso, i comuni potrebbero dover sostenere elevati oneri anche in assenza di strutture gestite direttamente, nel momento in cui sostengono, attraverso contributi, i costi degli inserimenti in strutture non direttamente gestire dai municipi.
  3. A tale scopo i Comuni sono stati divisi in cluster geografici, in base alla dimensione del Comune, il grado di sviluppo economico, la dimensione media delle famiglie, presenza di anziani.
  4. Nei casi di Comuni che non erogano il servizio o che avevano un livello particolarmente altro, oltre la soglia di normalità