Famiglie che cambiano, istituzioni che cambiano?


L’articolo riporta alcuni dei risultati di ricerca del progetto sociologico e giuridico “InFaCt, Changing Families, Changing Institutions?”, responsabile scientifico Manuela Naldini, finanziato da Compagnia di San Paolo e Università di Torino. Una trattazione più estesa è disponibile nel numero monografico “«Nuove» famiglie e istituzioni. Barriere, risorse, innovazioni”, 1/2020, La Rivista delle Politiche Sociali.

 

La pluralizzazione dei modi di intendere e “fare” famiglia è una delle più importanti novità del XXI secolo. Da un lato la crescente instabilità coniugale (con l’aumento delle separazioni e dei divorzi), dall’altro le opportunità aperte dalle tecniche di riproduzione assistita e l’introduzione dei test del DNA, cui conseguono nuove possibilità per i figli di conoscere le proprie origini biologiche e maggiori difficoltà per i padri di aggirare le responsabilità genitoriali, hanno ampliato i modi di diventare famiglia. All’interno di un contesto come quello italiano caratterizzato da un declino demografico che sembra inarrestabile (vedi ultimi dati Istat sulla natalità), figli e genitori (biologici, adottivi, sociali e legali) si può diventare in diversi modi. Intanto perché famiglia e coppia non coincidono più. Sul versante del matrimonio, dopo l’introduzione della legge sulle unioni civili (76/2016 – cosiddetta legge Cirinnà) anche due persone dello stesso sesso si vedono riconosciute diritti, in gran parte equiparabili a quelli ottenuti attraverso il matrimonio civile, seppure non si riconoscano a coppie di donne lesbiche e di uomini gay diritti di filiazione e di genitorialità. Inoltre, la crescita di separazioni e divorzi rende sempre meno rari per figli e genitori esperienze di convivenze che prescindono dal legame biologico e di filiazione riconosciuta legalmente (oppure dal legame di parentela).

Oltre a ciò, la globalizzazione e le migrazioni transnazionali rendono visibile non solo l’ampio ventaglio dei modi di intendere e ‘fare’ famiglia e delle diverse ‘culture’ familiari, ma anche le differenti opportunità e le differenze normative tra Paesi, e tra gruppi sociali all’interno dello stesso Paese, in tema di rapporti familiari.

 

Le trasformazioni dei legami di coppia e tra le generazioni hanno investito anche le forme di convivenza in termini del ‘chi vive con chi’. Si assiste nel nuovo millennio ad una diminuzione delle strutture familiari complesse, e ad un aumento generalizzato di quelle che, con un termine in parte ambiguo, sono definite ‘le nuove famiglie’ (convivenze, eterosessuali e omosessuali, famiglie monogenitore, famiglie ricostituite). Si tratta di ‘modi’ nuovi di fare famiglia sia dal punto di vista delle regole e dei valori (convivere senza sposarsi, convivere in relazioni omosessuali), sia per l’emergere di nuove fasi nel ciclo di vita individuale e familiare o per il divenire più comune di fasi della vita un tempo meno diffuse (vivere da soli o sole in età anziana, in seguito ad una separazione, crescere in contesti familiari diversificati, famiglie monogenitore, famiglie ricostituite). Anche sul piano dei valori che guidano le scelte individuali, di coppia e familiari sono avvenuti importanti cambiamenti. La famiglia nelle sue linee di divisione orizzontale (nei rapporti di coppia) e verticale (nei rapporti tra le generazioni) è stata attraversata da un processo di ‘democratizzazione’ per la maggiore importanza attribuita al benessere individuale, all’autonomia e realizzazione personale, alla qualità delle relazioni.

 

All’interno di questo contesto, il progetto di ricerca “Changing families, changing institutions?” si è concentrato su forme familiari in aumento anche nel contesto italiano: famiglie con genitori separati e ricostituite, famiglie con genitori dello stesso sesso, famiglie in cui i padri rivestono un ruolo “innovativo” dal punto di vista del coinvolgimento nella cura dei figli e famiglie immigrate. Questi “nuovi” tipi di famiglie sono il risultato di cambiamenti raramente esplorati insieme. Tuttavia, sono ambiti delicati in cui si ‘gioca la partita’ della genitorialità e delle sue trasformazioni, in particolare rispetto alle relazioni tra genitori e figli, e le istituzioni pubbliche che si interfacciano quotidianamente con i diversi modi di fare famiglia (nidi, scuole dell’infanzia e scuola primaria, centri per le famiglie e servizi sociali). Concentrarsi sui processi di mutamento delle forme familiari attraverso interviste sia con i componenti di queste famiglie sia con i funzionari delle istituzioni pubbliche loro rivolte, ha consentito di far luce da un lato sulle difficoltà che incontrano genitori e figli che vivono entro tali contesti nella costruzione delle loro famiglie e nella loro vita familiare.

 

Quali barriere legali, culturali e sociali genitori e figli in queste forme familiari incontrano nelle interazioni quotidiane con le istituzioni, in particolare, nei rapporti con le scuole e con i servizi educativi e sociali?

In quale modo gli educatori, insegnanti, assistenti sociali, attraverso aspettative, norme formali e informali, più o meno esplicite valutazioni, contribuiscono alla definizione nonché al sostegno della ‘genitorialità? E quanto tali costrutti culturali danno forma alle pratiche e ai discorsi istituzionali?

Com’è possibile accrescere la consapevolezza delle istituzioni sul significato e sull’esperienza con queste famiglie, selezionare best practices e collaborazioni e fornire strumenti che consentano a educatori, insegnanti e assistenti sociali di formarsi e di sviluppare anche nuove competenze e una miglior comunicazione con queste famiglie?

 

Genitori e figli dopo la separazione: il ruolo dei servizi

Sul tema della genitorialità dopo la separazione e della sua ‘condivisione’, è stato possibile osservare come servizi e professionisti (anche diversi, non solo assistenti sociali e insegnanti, ma educatrici, psicologhe, mediatrici familiari, avvocati e personale giudiziario) contribuiscono, seppur in modo non sempre consapevole, non sempre coordinato, e raramente univoco, a consolidare un discorso sul “good divorce” nel quale il conflitto è fortemente stigmatizzato, il benessere dei figli – definito da una pluralità di criteri, attori e arene decisionali/negoziali – è posto al centro e i bisogni degli adulti sottaciuti.

Seppure la pluralizzazione delle esperienze, la complessità dei bisogni e dei vissuti familiari, di individui, coppie, genitori e figli, prima, durante e dopo la separazione vengono ormai riconosciuti nelle parole dei professionisti incontrati in questa ricerca, il discorso ‘dominante’ comunicato dagli street level bureaucrats intorno alla ‘buona separazione’ tende ad appiattirsi intorno al best interest dei figli/dei bambini, sotto il diktat di risorse sempre più scarse. Ciò se da un lato spinge all’innovazione (come nelle esperienze ad esempio dei Gruppi di parola che coinvolgono i bambini in gruppi dei pari), dall’altro manca di centrare i bisogni e il benessere dei padri e delle madri, che in ultima analisi significa anche il benessere dei figli.

Omogenitorialità e istituzioni per le famiglie

In Italia le famiglie omogenitoriali sono riconosciute solo in parte nell’ordinamento giuridico. Sia la procreazione medicalmente assistita sia l’adozione sono precluse legislativamente alle coppie dello stesso sesso e la L. 76/2016 non riconosce la stepchild adoption. Tuttavia giurisprudenza e prassi amministrativa hanno progressivamente riconosciuto progetti procreativi omogenitoriali realizzati all’estero, secondo il principio del superiore interesse del minore.

Rispetto alle esperienze delle famiglie omogenitoriali nei nidi e nelle scuole per l’infanzia e primarie, i risultati del progetto di ricerca mostrano come modelli prevalenti di famiglia, genitorialità e infanzia nelle istituzioni educative influenzino la relazione tra famiglie e servizi e l’inclusione dei bambini. Emergono inoltre alcune delle condizioni che favoriscono il riconoscimento delle diversità famigliari. Tra queste, l’elevato capitale socio-economico e culturale dei genitori può favorire negoziazioni servizi-famiglie e condivisione di esperienze e conoscenze con il personale delle istituzioni per ridurre esclusione sociale e stigmatizzazione.

 

Famiglie migranti e cambiamento istituzionale

A differenza che altre forme famigliari considerate nella ricerca, quelle coinvolte in processi transnazionali e migratori costituiscono una presenza visibile, stabile e riconosciuta come fenomeno strutturale a cui i servizi pubblici per le famiglie e l’infanzia devono rispondere in modo inclusivo, ad esempio nelle direttive del Ministero dell’Istruzione, a partire già dalla fine degli anni Ottanta, anche più precocemente che in altri Paesi europei.

L’importanza di misure pubbliche, e in particolare di servizi in kind, per l’inclusione di bambini e genitori migranti è stata evidenziata anche nella letteratura scientifica. Tuttavia, in un contesto di carenza di investimenti sociali, i genitori immigrati continuano a incontrare numerosi ostacoli nell’usufruire e rapportarsi con i servizi considerati, non solo a causa della posizione e condizione socio-economica e nel mercato del lavoro mediamente svantaggiata rispetto ai genitori di origine italiana, che riduce anche il potere e le risorse negoziali di questi genitori, ma anche a causa del confronto con rappresentazioni stereotipiche, e di (non) adeguatezza genitoriale da parte dei servizi. Malgrado nel contesto indagato si siano attivati progetti innovativi e interculturali, le operatrici evidenziano altresì diverse aree di criticità legate alla complessità dei bisogni di queste famiglie che cambiano nel corso del tempo e tra contesti, al lavoro di rete con altri enti pubblici o privati, e alle proprie esigenze formative.

 

Diversità familiari e qualità dei servizi

Il confronto tra forme familiari e servizi diversi ha evidenziato processi di innovazione istituzionale che hanno coinvolto in modo difforme ambiti e soggetti con risorse diverse, come conseguenza del disallineamento tra diritto positivo, prassi amministrative, esigenze e bisogni delle famiglie e dei professionisti dei servizi.

In alcuni casi, innovazioni introdotte a livello formale non sono sempre attuate nelle relazioni quotidiane tra servizi e famiglie. È il caso per esempio dell’approccio interculturale nelle valutazioni dell’idoneità genitoriale dei migranti, oppure del principio della bigenitorialità nelle comunicazioni scuola-famiglia nel contesto delle famiglie con genitori separati, come ammesso dallo stesso Ministero dell’Istruzione (cfr. nota Miur del 02.09.2015, prot. n. 5336, secondo cui “nei fatti, ad otto anni dall’approvazione della legge sull’affido condiviso, questa non ha mai trovato una totale e concreta applicazione anche nella quotidiana ordinarietà della vita scolastica dei minori”). Dall’altra parte, come emerso nel caso delle famiglie omogenitoriali, nella pratica possono venire introdotte innovazioni sostanziali, anche senza o prima del riconoscimento da parte del diritto positivo.

Le difficoltà di adeguamento derivano dall’esigenza di modificare un quadro di leggi, procedure burocratiche, pratiche quotidiane in gran parte implicite che si sono consolidate nel tempo intorno a modelli “convenzionali” di famiglia, in mancanza di formazione del personale e/o di dotazioni infrastrutturali dei servizi.

L’affermarsi del tema della necessità di “investire” sui bambini come futuro capitale umano e economico, se non accompagnato da un sostanziale investimento in servizi pubblici di qualità, volti a rispondere alle concrete esigenze e prospettive dei bambini stessi, nella loro pluralità di famiglie, rischia di manifestarsi più come problematizzazione dei genitori e delle loro capacità di adeguarsi ai modelli normativi prevalenti, che come effettivo supporto alla genitorialità, alle pari opportunità tra bambini, alla conciliazione famiglia-lavoro e alla natalità, come è emerso anche dalla scarsa attenzione in termini di policies per la scuola e per i servizi educativi in Italia durante l’emergenza sanitaria per il Covid-19 in corso mentre scriviamo.

Una prospettiva volta invece a implementare la qualità dei servizi e delle relazioni servizi-famiglie, oltre a indicatori quantitativi come il tasso di copertura, sembra favorire sia il benessere e la soddisfazione per il proprio lavoro percepita dalle operatrici, sia un effettivo supporto alla genitorialità, nella prospettiva dei diritti dei bambini e delle bambine.