House rich. La lunga strada della condivisione abitativa


Giuliana Costa | 8 Settembre 2017

In Italia la formula della coabitazione sotto lo stesso tetto, qui assunta nella sua declinazione tra generazioni diverse, è abbastanza acerba nel senso che vi sono ancora poche esperienze rispetto ai Paesi nordici, dove ha preso piede a partire dagli anni 80/90’.

 

Tra le forme di condivisione abitativa, la coabitazione o convivenza in senso stretto consiste nel vivere insieme entro gli stessi spazi domestici. Il home-sharing, nella dizione inglese, è una pratica diffusa in alcuni momenti della vita e soprattutto negli spazi urbani. In diversi Paesi si sono, infatti, sviluppati progetti di condivisione abitativa di varia natura, tra anziani e studenti o giovani lavoratori, tra adulti, e così via. In genere si tratta di progetti che prevedono lo scambio di ospitalità per una piccola somma di denaro e di aiuti modesti come ad esempio trascorrere alcune ore a settimana con la persona che ospita, in genere anziana. Alcuni progetti elidono invece lo scambio monetario.

Per i home-sharers, ossia coloro che condividono la propria casa, si tratta di una scelta contraddistinta perlopiù da esigenze di economicità ma anche dalla ricerca di relazioni significative. A differenza del co-housing che presuppone scelte di lungo periodo e richiedono una progettualità complessa, la condivisione abitativa non implica grandi investimenti in questo senso.

La coabitazione è dunque una forma di abitare condiviso in cui potenzialmente si aggregano persone di diversa età, tra cui anziani. Ed è su questi che ora ci concentriamo.

 

 

Cum-Vivere: i risultati di un focus-group

Nell’ambito della ricerca promossa da IRS sul Welfare collaborativo (il cui rapporto di ricerca è scaricabile qui) è stato realizzato, nel gennaio 2017, un focus group con un insieme di “giovani anziani” impegnati in attività di sindacato, e di patronato in servizi di carattere territoriale (per esempio attraverso gli sportelli sociali). Essi hanno portato un loro punto di vista rispetto alla propria esperienza. Sono stati discussi i seguenti argomenti: una fotografia “sociale” dei territori di competenza (tutti in Lombardia: Legnano, Milano zona Gallaratese, Rozzano); la mobilità abitativa; la propensione o le necessità connesse al downsizing (cambiare casa e trovarne una più piccola ma più funzionale alle proprie esigenze); i costi dell’abitazione  come spinta a modificare la situazione abitativa; i problemi della solitudine in età anziana; la propensione e a quali condizioni alla condivisione abitativa; il co-housing; la propensione a fare progetti per il futuro, quando non si sarà forse più totalmente autonomi, con un focus sulla dimensione abitativa.

Sono emerse le seguenti considerazioni:

  1. la proprietà della casa in Italia costituisce un fattore di freno a forme di cambiamento nella situazione residenziale dei singoli, quand’anche possano essere anche funzionali all’invecchiamento e alle difficoltà che l’andare avanti con gli anni porta con sé;
  2. Esiste non solo una grande diffidenza nell’aprire la propria dimora a persone non appartenenti alla cerchia parentale, ma una grande resistenza a condividerla con qualcuno in pianta stabile, “una resistenza quasi antropologica”;
  3. l’instabilità familiare fa sì che molte persone in età anziana riaccolgano in casa propria figli adulti, a seguito di separazione e divorzio, “saturando” la possibilità di fare progetti abitativi alternativi;
  4. non esiste una cultura della condivisione, soprattutto dove si è proprietari, mentre esiste una forte resistenza a cambiare casa anche tra chi è in affitto in alloggi popolari;
  5. la solitudine e il bisogno economico non appaiono elementi sufficientemente forti a spingere a cambiare casa o a condividerla tra gli anziani; la vicinanza ad altri si traduce al massimo in “che bello vivere vicino agli amici”;
  6. c’è molto interesse per “prendi in casa uno studente”, il programma milanese di coabitazione e convivenza gestito dalla associazione “MeglioMilano” (sulla cui esperienza si rinvia al citato Rapporto di ricerca sul welfare collaborativo).

 

 

La condivisione abitativa temporanea

Dalla ricognizione effettuata nella ricerca “WELCO”, dal focus group realizzato e dall’esperienza di MeglioMilano che è stata assunta come caso studio, emerge un campo ancora poco esplorato, sia in termini di ricerca, sia per quello che riguarda la messa in campo di iniziative nella direzione della condivisione abitativa.

Relativamente alle esperienze che riguardano la terza età, va tenuto presente che la condizione anziana non è monolitica e che qualunque azione deve fare i conti con una pluralità di condizioni socio-economiche, di stati di salute, di inserimento nella vita sociale e familiare e via dicendo. Qualunque iniziativa si voglia intraprendere deve dunque calibrarsi su questa diversità.

L’alto tasso di proprietà dell’alloggio da parte degli over 65enni, assieme alla mancanza di una cultura della condivisione delle generazioni che non hanno mai sperimentato questa forma di abitare e alla pervasività dei legami familiari, rendono particolarmente difficile lavorare in questa direzione.

La condivisione abitativa anche temporanea potrebbe comunque svilupparsi in due direzioni:

  1. Quella di carattere intergenerazionale attraverso programmi quali “Prendi in casa uno studente”. Qui occorrono nuovi soggetti promotori. I sindacati confederali in particolare già svolgono sull’Housing sociale un notevole ruolo di promozione all’interno della contrattazione territoriale. Nella contrattazione sociale dei territori (si veda www.negoziazionelombardia.it) la contrattazione sociale promuove la progettazione partecipata. Questa potrebbe avere un ruolo forte di diffusione anche in tema di coabitazione, superando le resistenze che ancora esistono nel dare risposta al bisogno di non stare da soli e ampliando il target della domanda (non solo studenti ma anche giovani precari che vivono condizioni lavorative instabili). E’ comunque sul lato dell’offerta che occorre soprattutto lavorare. Nel programma “Prendi in casa uno studente” e in quelli europei dello stesso tipo le domande di coabitazione sono, infatti, di molto superiori a quelle di chi offre una stanza o porzione del proprio alloggio.
  2. Quella di carattere intragenerazionale, attraverso la creazione di spazi di incontro e di mediazione di domande che fanno fatica a uscire da uno stato latente. Le esperienze di convivenza programmata tra persone anziane sono piuttosto scarse, se non quelle in co-housing, in cui però i tempi di realizzazione sono molto lunghi e, come affermato da chi ha portato avanti questa progettualità, “ci vuole una volontà ferrea” e un gruppo coeso. Una iniziativa interessante sarebbe quella di provare ad aggregare persone che dispongono di risorse relazionali in comune attorno a un progetto di questa natura, sia di possibile convivenza che di co-housing. Occorre una promozione culturale presso la popolazione anziana verso i temi della condivisione.

 

Tavola 1 – Condivisione abitativa in sintesi

Punti di forza

Possibilità di scambio e razionalizzazione delle risorse abitative e di altra natura

Contrasto della solitudine

Rischi

Non corretto matching nelle convivenze

Assenza di tutele e garanzie o vice versa lungaggini procedurali

 

Difficoltà

Mancanza di politiche pubbliche che sostengono e intercettano progettualità private

Resistenza alla condivisione degli spazi domestici con estranee

Diffidenza e barriere culturali

Opportunità

Intercettare bisogni latenti di condivisione

Coinvolgere non solo studenti ma anche giovani lavoratori

Aggancio con una pluralità di servizi e aiuti