I rifugiati nel mondo

Superata quota 100 milioni, il 19% in più in un anno


Maurizio Ambrosini | 3 Luglio 2023

Il 20 giugno è stata celebrata la giornata mondiale dei rifugiati. Il tema è da anni al centro del dibattito politico, ma quest’anno parecchi elementi concorrono ad alzarne il livello di drammaticità: il recente naufragio di fronte al Peloponneso, forse la più grave tragedia del Mediterraneo dopo la seconda guerra mondiale, pochi mesi dopo l’analogo dramma di Cutro; il recente accordo europeo che ha trovato un’intesa su misure che puntano a ridurre gli arrivi delle persone in cerca di asilo; sullo sfondo, l’invasione dell’Ucraina, la fuga di 5,7 milioni di profughi, il nuovo record del numero dei rifugiati nel mondo.

I rifugiati fanno poca strada

In prossimità del 20 giugno, l’UNHCR ha pubblicato il suo rapporto annuale. Da lì ricaviamo le cifre che danno le dimensioni del fenomeno e forse sfatano qualche luogo comune. Un primo dato riguarda il volume del dramma dei profughi: una stima di 108,4 milioni di persone in fuga a fine 2022, con un aumento di 19,1 milioni rispetto al 2021: una crescita senza precedenti. Per di più, a questa umanità dolente altri si sono aggiunti nel 2023, soprattutto a causa del nuovo conflitto esploso in Sudan, portando la stima a 110 milioni.

Come negli anni scorsi, tuttavia, la maggioranza dei profughi sono sfollati interni, ossia si spostano in un’altra regione del proprio paese che reputano un po’ più sicura:  il 58%, vale a dire 62,5 milioni di persone. Le persone in fuga non si sono preparate a partire e in genere dispongono di pochi mezzi. Spesso non sono in grado di fare molta strada, e non di rado neppure lo desiderano: sperano piuttosto di poter rientrare presto alle loro case.

Solo una minoranza dei profughi dunque attraversa un confine, diventando una questione internazionale che coinvolgeva alla fine del 2022  45,9 milioni di persone. In questa composita umanità  si possono distinguere diverse categorie: 35,3 milioni sono tecnicamente “rifugiati internazionali”, inclusi 5,9 milioni di palestinesi, assistiti da un’altra apposita agenzia dell’ONU; 5,2 milioni non hanno una chiara definizione giuridica, essendo in gran parte cittadini venezuelani espatriati o altri profughi bisognosi di protezione; 5,4 milioni infine sono richiedenti asilo che attendono una risposta alla loro istanza.

Sull’incremento dei numeri nel 2022  pesano i circa 8 milioni di ucraini messi in fuga dall’invasione russa, di cui 5,7  milioni (stimati) riparati all’estero, che hanno portato il numero globale dei rifugiati  internazionali oltre la soglia dei 40 milioni prima ricordata. Per i profughi ucraini la stima è tuttavia difficile, perché si sono registrati parecchi movimenti pendolari, di persone che sono fuggite, poi rientrate, poi magari si sono nuovamente spostate, anche per sfuggire ai rigori dell’inverno, come lo stesso presidente Zelensky li ha invitati a fare. All’estero hanno beneficiato della libertà di movimento attraverso le frontiere, spostandosi in parecchi casi fra i paesi dell’UE alla ricerca di migliori condizioni di accoglienza e di inserimento lavorativo. Di conseguenza, a volte non sono registrati né conteggiati, più spesso sono conteggiati più volte, sicché sommando le cifre fornite dalle autorità dei paesi confinanti il totale eccede notevolmente le cifre fornite da UNHCR.

L’accoglienza grava sui paesi intermedi e in via di sviluppo

Ma il dato che più colpisce, e che le opinioni pubbliche occidentali tendono a ignorare, si riferisce al fatto che la grande maggioranza dei rifugiati, esattamente il 76% sono accolti in paesi a basso e medio reddito. Vale anche in questo caso la regola della prossimità: il 70% dei rifugiati internazionali si ferma nei paesi confinanti. I 46 paesi meno sviluppati rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, eppure ospitano più del 20% di tutti i rifugiati. Questa è la chiave con cui leggere la graduatoria dei principali paesi di accoglienza: al primo posto, come da una decina d’anni a questa parte, troviamo la Turchia, con 3,6 milioni di rifugiati,  esposti a un peggioramento delle già precarie condizioni di vita a seguito della profonda crisi economica in cui versa il paese. Segue l’Iran, con 3,4 milioni di profughi, provenienti dall’Afghanistan, poi la Colombia, con 2,5 milioni, quasi tutti provenienti dal Venezuela. Al quarto posto troviamo un paese dell’UE, la Germania, con 2,1 milioni di persone accolte, anche per effetto degli arrivi dall’Ucraina. In quinta posizione figura il Pakistan, con circa 1,7 milioni di rifugiati, anch’essi di origine afghana, seguito da un altro paese a basso reddito come l’Uganda, con 1,5 milioni, in fuga dai vari conflitti dell’Africa centrale. Compare poi la Federazione russa, con 1,3 milioni di profughi, anch’essi provenienti dall’Ucraina; il Sudan, con 1,1 milioni; il Perù con 976.000, la Polonia con 971.000.

Per le nuove richieste di asilo sono invece gli Stati Uniti a emergere, con 730.400 persone che attendono una risposta alla loro domanda di protezione umanitaria. Segue la Germania con 217.800.

Alla fine del 2022 dieci paesi erano invece luoghi di provenienza  dell’87% dei rifugiati internazionali: la Siria da una decina d’anni figura al primo posto, con 6,55 milioni di cittadini fuggiti all’estero. Al secondo posto si è inserita l’Ucraina, con 5,68 milioni di profughi, seguita dall’Afghanistan, anch’esso in forte crescita, con cifre simili (5,66 milioni). Al quarto posto troviamo  l’anomalo e misconosciuto caso venezuelano, con 5,45 milioni di espatriati. Al quinto posto compare il Sud Sudan, sconvolto da un conflitto dimenticato, con 2,29 milioni di rifugiati all’estero. In sesta posizione si colloca il Myanmar, in cui la persecuzione della minoranza musulmana rohingya si è sommata con la repressione seguita al colpo di stato militare, producendo 1,25 milioni di rifugiati. Seguono Repubblica Democratica del Congo (932.000), Sudan (837.00, destinati ad aumentare per il conflitto in corso), Somalia (790.000), Repubblica Centrafricana (748.000).

 

Tab.1. I cinque principali paesi di provenienza dei rifugiati internazionali (2022)

Paese

Numero rifugiati all’estero (in milioni)

Siria

6,55

Ucraina

5,68

Afghanistan

5,66

Venezuela

5,45

Sud Sudan

2,29

Fonte: UNHCR 2023

 

Tab.2. I cinque paesi che accolgono il maggior numero di rifugiati internazionali (2022)

Paese

Numero rifugiati accolti (in milioni)

Turchia

3,6

Iran

3,4

Colombia

2,5

Germania

2,1

Pakistan

1,7

Fonte: UNHCR 2023

 

L’Unione Europea accoglie poco, ma si è aperta ai profughi ucraini

Nel complesso  l’Unione europea a fine 2021 accoglieva soltanto, secondo la stessa Eurostat, meno del 10% dei rifugiati del mondo e solo una piccola quota di sfollati interni. L’invasione dell’Ucraina ha di certo provocato un innalzamento di questi valori, ma non li ha stravolti.  La nostra regione è in realtà marginale nella mappa mondiale del diritto di asilo. A spiegare il dato concorrono in maniera  determinante le politiche di esternalizzazione delle frontiere attuate dai paesi sviluppati, che puntano a mantenere i rifugiati lontano dai loro territori: gli accordi con i paesi di transito, come Turchia, Niger, Libia, Marocco, che consentono ai governi dell’UE di mantenere le mani più o meno pulite, mentre il lavoro deprecabile di contenimento dei passaggi di profughi viene in gran parte delegato a governi molto meno preoccupati del rispetto dei diritti umani, soprattutto quando si tratta di cittadini di paesi terzi. La costruzione di barriere fisiche, come in Ungheria, in Polonia o nelle exclaves spagnole di Ceuta e Melilla e gli interventi dell’agenzia Frontex, diventata la più potente e finanziata agenzia dell’UE, completano la strategia di chiusura dei confini: una materia su cui l’UE riesce di fatto a convergere efficacemente.

Con l’afflusso dall’Ucraina la percentuale di rifugiati in Europa  è salita, ma rimane ancora lontana dal carico che grava su regioni delle mondo assai meno dotate di risorse, con il rischio correlato -praticamente una certezza- che i rifugiati non ricevano un’assistenza adeguata. In un puzzle senza apparente soluzione, l’eventuale fornitura di maggiori aiuti dall’esterno in paesi in via di sviluppo è frenata anche dalla comparazione con i servizi, i redditi e le opportunità di lavoro a cui può accedere la popolazione locale: se i rifugiati ricevessero più soccorsi e migliori servizi dei cittadini residenti, si scatenerebbe il risentimento e forse anche di peggio.

Un altro dato illustra in maniera eloquente le disparità internazionali nell’impegno di accoglienza dei migranti forzati: il rapporto tra abitanti e rifugiati ospitati sul territorio. A parte il caso atipico delle isole caraibiche di Aruba e Curaçao, che accolgono numerosi profughi venezuelani in rapporto alla loro ridotta popolazione, i livelli più alti di carico sociale sono raggiunti da tre paesi del Medio Oriente: il Libano, coinvolto suo malgrado nelle varie guerre della regione, ha un’incidenza dei rifugiati pari al 12,5% della popolazione (un rifugiato ogni 8 abitanti, nonostante la grave crisi in cui si dibatte); la Giordania segue con il 6,3% (uno su 14); la Turchia qui occupa la terza posizione, con un’incidenza del 4,4% (uno su 23). In graduatoria troviamo poi l’Uganda con il 3,6% e il Sudan con il 2,5%. Per fornire un termine di confronto, l’incidenza dei rifugiati nell’UE è in media dello 0,6% (dati Eurostat). Ma all’interno dell’UE le differenze sono rilevanti, giacché la Svezia (senza tenere conto degli ingressi dall’Ucraina nel 2022) accoglie a sua volta circa 25 rifugiati ogni 1.000 abitanti, Malta, pur con molti problemi, raggiunge quota 18 su 1.000, l’Austria è terza con 15 su 1.000, la Germania si colloca intorno ai 14 su 1.000, la Francia intorno ai 6 su 1.000, l’Italia si situa in realtà al di sotto della media dell’UE con 3,5 rifugiati su 1.000 abitanti (ante arrivi dall’Ucraina, come già ricordato). In altri termini, se andasse in porto il disegno di una redistribuzione più equilibrata dei rifugiati all’interno dell’UE, il nostro paese rischierebbe di accoglierne di più e non di meno.

Va poi ricordato un altro dato. L’immagine più diffusa dei rifugiati è quella di giovani maschi africani, e questa connotazione alimenta un immaginario post-coloniale, che mescola paura e inferiorizzazione. A livello mondiale, si stima che il 41% dei rifugiati siano in realtà minorenni, che 1,9 milioni di bambini siano nati nella condizione di rifugiati tra il 2018 e il 2022, che il 51%, dunque la maggioranza, siano donne o ragazze. Entrambe le popolazioni, minori e donne, sono cresciute in modo significativo a causa degli spostamenti provocati dall’invasione dell’Ucraina.

Due notizie (forse) positive

In questo quadro a tinte fosche, il rapporto 2022 dell’UNHCR riporta anche un paio di dati potenzialmente positivi che meritano di essere ricordati. Dopo la brusca fermata dei rientri durante la pandemia da COVID-19, circa sei milioni di rifugiati, in massima parte sfollati interni (5,7 milioni), sono ritornati nei luoghi di provenienza, riportando la cifra al livello pre-COVID. Secondo le stime fornite dall’UNHCR, 7 su 10 l’hanno fatto di propria volontà. Parlare di scelta volontaria quando si tratta di persone spesso confinate nei campi profughi e alla mercè dei loro governi suscita qualche dubbio, ma in ogni caso il fatto che per un 30% questa “volontarietà” non si riscontri getta una luce inquietante sulle politiche per il ritorno.

L’altra notizia potenzialmente positiva riguarda i reinsediamenti di rifugiati in paesi terzi, solitamente sviluppati, rispetto ai paesi di primo asilo, solitamente, come abbiamo notato, meno dotati di risorse e opportunità. Nel 2022 si è verificato un ritorno verso le cifre pre-pandemia, con 114.300 rifugiati reinsediati in altri paesi. Le domande raccolta dall’UNHCR sono però dieci volte superiori.

Va infine ricordato un ultimo dato, che conferma la distanza rispetto alle percezioni diffuse e al discorso pubblico circa la posizione dell’Italia nella mappa mondiale ed europea dell’accoglienza: il nostro paese a fine 2022 accoglieva 354.414 persone, tra richiedenti asilo e rifugiati, di cui il 41% proveniva dall’Ucraina. Si tratta di poco più del 5% del totale degli immigrati in Italia (circa 6 milioni, compresi gli irregolari) e di una modesta percentuale rispetto ai profughi accolti nell’UE.  Va ricordato che nel 2022 l’Italia ha ricevuto 77.200 richieste di asilo, contro le oltre 200.000 della Germania, le 137.500 della Francia, le 116.100 della Spagna. Accoglienti verso i profughi ucraini (oltre 150.000), molti italiani sono invece convinti che coloro che arrivano via mare dal Sud del mondo (poco più di 100.000 nel 2022) rappresentino una minaccia esiziale per il nostro paese. È un inquietante doppiopesismo della mente e del cuore.