Il Budget di Salute in Friuli Venezia Giulia
Un’analisi nel quadro della legge di riforma in materia di disabilità
Ranieri Zuttion | 13 Giugno 2023
Dopo un lungo e articolato percorso di confronto e condivisione con i differenti portatori di interesse, a partire dalla Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità, la Regione Friuli Venezia Giulia si è dotata di una nuova legge in materia di disabilità: la Legge regionale 16/2022 “Interventi a favore delle persone con disabilità e riordino dei servizi sociosanitari in materia”1.
A distanza di 26 anni dalla precedente normativa in materia, è stato approvato un intervento legislativo organico, che declina i principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità nelle singole politiche di settore, con l’intento dichiarato di promuovere lo sviluppo di una comunità regionale ancor più inclusiva, dove alle persone con disabilità venga garantito il diritto a una vita dignitosa e indipendente e la piena partecipazione nella società.
La legge 16 non si limita però alla pur importante riaffermazione a livello regionale dei principi sanciti dalla Convenzione ONU: da un lato, infatti, prova a individuare provvedimenti in grado di riorientare effettivamente le politiche relative agli aspetti centrali della vita di qualsiasi persona, che vanno dai bisogni sanitari e assistenziali, a quelli ricreativi e culturali, legati al trasporto, al lavoro o all’istruzione. Previsioni normative che favoriscano una reale modifica dei contesti nei quali si organizza la risposta a questi bisogni, per renderli più accessibili e più accoglienti. Dall’altro lato persegue, ai diversi livelli della governance del sistema, una effettiva integrazione tra i vari attori e nei diversi processi pianificatori e gestionali che concorrono alla realizzazione di un compiuto welfare comunitario. Ed è questo lo sfondo strategico dichiarato su cui collocare il ruolo dell’Osservatorio, la previsione del Piano Regionale della disabilità, i momenti, i luoghi e le forme di una rinnovata pianificazione e programmazione locale integrata.
Il welfare di comunità dovrà rappresentare anche l’orizzonte di riferimenti per la riconfigurazione delle competenze istituzionali e degli assetti organizzativi che la norma prevede per una maggior garanzia di accesso ai diritti di cittadinanza per le persone con disabilità. Qui diventa fondamentale un’adeguata strutturazione dei servizi pubblici della presa in carico, sia sanitari che sociali, così come lo sviluppo di strumenti amministrativi innovativi di regolazione delle interdipendenze tra i diversi nodi/soggetti che partecipano, a vario titolo, alla realizzazione degli interventi.
Perché il welfare di comunità non rimanga una prospettiva vaga e indeterminata, è infatti importante che vengano superati quegli impianti gestionali dei servizi che ancora troppo spesso sono conformati a modelli prestazionali e regolati secondo schemi prevalentemente mercantili. Un cambiamento che dovrà prendere la direzione di approcci guidati da logiche di governance partecipativa e collaborativa in grado di attivare responsabilità condivise ai diversi livelli del sistema regionale.
In quest’ottica, la legge riserva un ruolo fondamentale agli Enti del Terzo Settore che vengono considerati soggetti chiave per una effettiva affermazione del principio di sussidiarietà; realtà da valorizzare e sostenere attraverso adeguate forme di regolazione che la Pubblica Amministrazione è tenuta ad assumere. Al riguardo si fa esplicito riferimento a “meccanismi di regolazione dei rapporti che assicurino il coinvolgimento attivo anche degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento, in coerenza con il decreto legislativo 117/2017 [Codice del terzo settore]. Questo approccio regolativo è visto anche come la modalità più adeguata a estendere o rafforzare la costruzione di un sistema di opportunità di salute, abitative, lavorative e di socializzazione per l’inclusione delle persone con disabilità.” Per operare cioè quel cambiamento dei contesti che renda effettivo l’accesso ai diritti per tutti e in tutte le aree importanti della vita.
Accanto a questa prima fondamentale dimensione della riforma, quella dello sviluppo di una comunità responsabile, coesa e inclusiva, la norma identifica un coestensivo secondo asse strategico per il ripensamento del sistema: quello della personalizzazione. Il perno operativo di questa strategia è naturalmente il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, interpretato secondo logiche di effettiva capacitazione nell’ambito di un processo di presa in carico integrata che la norma caratterizza in tutte le sue fasi. La concreta possibilità di garantire alle persone con disabilità un reale potere nella scelta degli obiettivi e delle azioni per il miglioramento della propria qualità di vita, richiede di essere sostenuta con un impianto organizzativo e gestionale dove, tra le altre cose, risulta centrale un utilizzo flessibile delle risorse.
A questo riguardo la norma regionale riafferma quanto già previsto nella legge di riforma del sistema sanitario – Legge regionale 22 del 2019 – vale a dire l’importanza di promuovere l’utilizzo del Budget di Salute (BdS) “per favorire la massima personalizzazione degli interventi, prevenire forme di istituzionalizzazione non appropriata e avviare processi di deistituzionalizzazione, …. anche quale dispositivo atto alla riconversione delle risorse attualmente destinate alla residenzialità.”
Nelle pratiche ormai pluridecennali del Friuli Venezia Giulia, il BdS si è connotato fin da subito come un dispositivo2 di de-istituzionalizzazione e di contestuale costruzione del welfare di comunità.
Più che una semplice modalità di “ricomposizione delle risorse” disponibili per un progetto personalizzato, magari intese come servizi o interventi rigidamente predefiniti, il BdS che emerge dalle esperienze regionali si connota come un complesso di elementi costitutivi che assumono differenti configurazioni in relazione al contesto territoriale e ai diversi settori di intervento (salute mentale, anziani non autosufficienti, disabili…).
Budget di Salute: elementi caratterizzanti
Gli elementi caratterizzanti questo dispositivo sono almeno tre.
Il primo è senz’altro riferibile alla disponibilità di una dotazione finanziaria “sciolta” da vincoli rigidi e preordinati di utilizzo. La legge 16 afferma al riguardo che “Il budget di salute prevede una dotazione finanziaria composta da risorse sia sanitarie che sociali – nonché integrabile con altre, di diversa natura – modulabile in base all’entità dell’investimento necessario alla realizzazione dei sostegni di cui la persona abbisogna.” Il problema della disponibilità di risorse finanziarie svincolate da limiti prestabiliti di utilizzo riguarda soprattutto gli interventi del Sistema Sanitario. Ci si riferisce in particolare all’impostazione dei Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria, laddove il diritto a vedersi garantire il sostegno attraverso risorse del Fondo Sanitario è chiaro ed esplicito solo per determinati trattamenti: quelli erogati in regime residenziale e semiresidenziale. La normativa regionale afferma il principio che, per una reale personalizzazione, le risorse pubbliche del Sistema sanitario non sono vincolate a determinati setting assistenziali (residenziali o semiresidenziali), ma alla persona, ai suoi bisogni e al suo progetto di vita. Si stabilisce infatti che “la quota di finanziamento relativa ai trattamenti così come individuata all’articolo 34, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 può essere utilizzata, quale componente della dotazione finanziaria di cui al comma 2 e in coerenza con quanto previsto nel progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato della persona, anche per sostenere interventi alternativi a quelli residenziali purché erogati da soggetti accreditati, anche ai sensi di quanto previsto dall’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 117/2017, ovvero inseriti all’interno di un percorso di sperimentazione, così come disciplinato dall’articolo 25.” Va sottolineato come con questa previsione il BdS si configuri come fondamentale meccanismo di riconversione di risorse nell’ambito di processi di de-istituzionalizzazione orientati alla promozione della vita indipendente.
Un secondo elemento costitutivo che caratterizza le pratiche del BdS – e che la norma ha riconosciuto – si riferisce al fatto che il BdS presuppone, ma al contempo promuove e incentiva, l’integrazione sociosanitaria a tutti i livelli: professionale, gestionale e istituzionale. In particolare, come già accennato, riconfigura sia dal punto di vista concettuale, sia da quello operativo, tutte le fasi del processo di presa in carico integrata secondo logiche realmente capacitanti, cioè davvero contrassegnate da una ristrutturazione di poteri tra i professionisti e gli utenti con le loro famiglie. Una scomposizione del potere che vede la sua reale consistenza nella possibilità concreta, da parte degli utenti stessi e delle loro famiglie, di un controllo effettivo sulle risorse messe in gioco sul proprio progetto. Una “colorazione capacitante” del processo di presa in carico integrata sociosanitaria che deve informare tutte le regole e gli strumenti che vi entrano in gioco.
Il terzo elemento costitutivo ha a che fare con l’infrastruttura organizzativa per la gestione dei progetti personalizzati. Anche qui si è già fatto cenno alla necessità di superare la “prescrizione della competizione” che i dogmi del new public management hanno imposto alle pratiche di contrattualizzazione degli ultimi decenni e che hanno pesantemente contaminato e snaturato anche l’impostazione dei rapporti con gli Enti del Terzo settore. Il dispositivo del BdS prevede forme di relazione nelle quali il sistema pubblico non abdica al proprio ruolo di garante dell’universalismo in tutto il processo di cura, non assume posture deleganti, ma partecipa, con proprie competenze e risorse professionali, in ogni fase di realizzazione del progetto personalizzato, secondo logiche di co-gestione. Al contempo, nelle pratiche del BdS anche le espressioni di cittadinanza attiva delle comunità locali vengono riconosciute e sostenute in un approccio di partenariato, che già nella sua fase di costruzione assume una intenzionalità specifica: ai partner del privato sociale viene richiesto espressamente di partecipare ad un processo trasformativo dei contesti per espandere il sistema delle opportunità di casa, lavoro e socialità nonché di fornire i sostegni competenti necessari per facilitare la fruizione di queste opportunità da parte degli utenti. Nella legge si afferma infatti che la “dotazione finanziaria viene utilizzata, in via privilegiata, all’interno di un rapporto di cogestione tra i soggetti pubblici e gli enti del Terzo settore, improntato ai principi contenuti all’articolo 21, comma 1, e comunque nell’ambito di un sistema di presa in carico integrata, concepito secondo quanto previsto dall’articolo 23, comma 2, lettera a).”
Una visione allargata del welfare
Più in generale, le esperienze regionali rimandano a una visione “allargata” del welfare dove diviene centrale la capacità di allestire connessioni e rapporti collaborativi anche con enti, organizzazioni, imprese, professioni e persone al di fuori del consueto perimetro dei servizi, sempre nella prospettiva di voler realizzare un effettivo welfare di comunità.
Il riorientamento dei sistemi verso questo orizzonte, come indicato anche dal PNRR, richiede il superamento dei modelli guidati dalla “logica dell’offerta” – necessariamente rigida e standardizzata oltre che esposta al rischio di esclusione se non di segregazione – che assuma una visione d’insieme della governance di questi sistemi. È necessario soprattutto cogliere dove si annidano gli snodi critici che, se adeguatamente presidiati, sono in grado di operare la ristrutturazione di questo “campo di forze”. Oltre che sul piano normativo, infatti, è necessario intervenire in maniera coerente anche negli atti pianificatori regionali e locali, nei sistemi di finanziamento, nelle forme di accreditamento, nei sistemi informativi e di valutazione. I principi ispiratori di questo approccio dovranno informare altresì le politiche di formazione e aggiornamento dei professionisti, le pratiche di costruzione di apprendimento e di culture condivise, le modalità professionali di assessment e progettazione personalizzata, e così via. La legge 16 ha senz’altro indicato una direzione e tracciato un percorso, ma il prosieguo del cammino della riforma appare ancora lungo.
- Si veda la segnalazione pubblicata su Welforum.it il 21 marzo 2023.
- Con una accezione del termine che si avvicina molto a quella proposta da Michel Foucault “…un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, … Il dispositivo esso stesso è la rete che si stabilisce fra questi elementi… si tratta di una certa manipolazione di rapporti di forze, … sia per svilupparle in una tal certa direzione, sia per bloccarle, oppure per stabilizzarle, utilizzarle. Il dispositivo è sempre quindi iscritto in un gioco di potere …” cit. in G. Agamben, Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Roma 2006., pag. 6.