Il lavoro sociale professionale è anche politico! Sì, ma…


Riccardo Guidi | 4 Gennaio 2021

I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies: questo articolo è la sintesi di un contributo uscito sul numero 2/2020 della rivista, con il titolo “Oltre l’implementazione. L’agire politico dei social workers in Italia e Spagna in tempi di crisi”. 

 

Lo si è ascoltato, detto e scritto molto spesso: il lavoro sociale è per sua natura anche politico. Ma oltre le intenzioni e la retorica, quale legittimazione hanno coloro che lavorano “nel sociale” (social workers) per l’azione politica? Cosa fanno in concreto? Esistono le condizioni e le risorse per farlo? La legittimazione all’“agire politico” delle/dei social workers non manca. La storia delle professioni sociali, i manuali teorico-pratici, i codici deontologici di tutto il mondo confermano chiaramente che opporsi a politiche oppressive, promuovere la giustizia sociale e contribuire al miglioramento dell’offerta dei servizi è parte integrante – non accessoria – del loro mandato professionale. Non si rende un buon servizio all’utente se non si agisce anche per cambiare gli aspetti strutturali che contribuiscono a (ri)generare le sue condizioni di fragilità.

Qui tuttavia finiscono le certezze. Esiste una politicità “minore” del lavoro sociale che si esprime nelle pratiche quotidiane di implementazione delle politiche pubbliche, quando le/i social workers attuano gli indirizzi decisi dai “vertici” nel modo più favorevole possibile all’utente e accumulano conoscenze inedite sull’effettivo funzionamento delle politiche (Lypsky 1980, Guidi 2011). Non è affatto poca cosa. Ma queste pratiche incidono poco sulle cause strutturali di povertà, emarginazione e sofferenza se non trovano modo e forma di “risalire” verso i decisori pubblici e di influenzare la loro azione. Oltre l’implementazione, le/i social workers che utilizzano il loro ruolo e le loro competenze per cercare di cambiare le politiche sembrano poche/i (Gal, Weiss-Gal 2013).

Questa divaricazione tra il dire e il fare non è sorprendente. In Europa (e non solo), dagli anni ottanta l’agire politico delle/dei social workers è stato di fatto ostacolato sia da elementi provenienti dall’interno del lavoro sociale (successo degli orientamenti clinici e neo-manageriali, carenze formative, incompiuto riconoscimento istituzionale…) sia da fattori tipici del più ampio contesto (austerità permanente, crisi della rappresentanza, sentimenti antipolitici, crescente precarietà…).

 

Riattivare il potenziale politico del lavoro sociale, a partire dalle organizzazioni professionali

Eppure, gli eventi degli ultimi dieci anni ci hanno drammaticamente mostrato quanto abbiamo bisogno di riattivare il potenziale politico del lavoro sociale. La crisi economica del 2008, la crisi migratoria e ora l’emergenza sanitaria hanno fatto vacillare i fondamenti della convivenza democratica e hanno avuto un impatto devastante su molte persone. Persone spesso “senza voce” che hanno bussato alla porta dei servizi.

Riattivare e praticare quel potenziale politico è dunque decisivo. Come farlo? Soprattutto in momenti di crisi una strada consiste nel considerare attentamente il ruolo che possono svolgere le organizzazioni professionali del lavoro sociale. Queste organizzazioni possono alimentare sia l’identità professionale sia l’azione collettiva, spesso più efficace e sostenibile di quella individuale. Alcune (ad esempio gli Ordini professionali) hanno un elevato riconoscimento istituzionale, contano migliaia di iscritti/e, hanno ampia autonomia di azione e consistente autonomia finanziaria.

In questo contributo ci focalizziamo sull’evoluzione delle organizzazioni professionali che hanno sostenuto l’agire politico delle/dei social workers in Italia e in Spagna nel periodo tra il 2009 e il 2015. Avere questo fuoco di attenzione non intende affatto depotenziare la rilevanza politica delle pratiche di implementazione. Piuttosto cerca di rilanciare anche in Italia il discorso sull’azione politica delle/dei social workers sull’onda del crescente dibattito internazionale sulle cosiddette “policy practice (Gal, Weiss-Gal 2013; Weiss-Gal 2017).

 

L’azione politica delle organizzazioni professionali del lavoro sociale in Italia e Spagna

Tra il 2009 e il 2015 Italia e Spagna hanno sperimentato recessione economica, crisi del debito sovrano e riforme improntate all’austerità che hanno generato le conseguenze sociali che conosciamo.

In entrambi i paesi le organizzazioni professionali delle/dei social workers si sono rafforzate e hanno incrementato le loro attività̀ politiche. Lo hanno però fatto seguendo percorsi diversi. In Italia, dal 2013, le attività politiche della più grande organizzazione professionale, l’Ordine degli Assistenti Sociali, sono cresciute lungo due direttrici: la comunicazione pubblica su temi sociali e politici e la partecipazione dei rappresentanti dell’Ordine al policy-making istituzionale. A partire dal 2011, l’equivalente organizzazione spagnola ha invece connotato la sua azione politica promuovendo campagne di mobilitazione, la più nota delle quali è la Marea Naranja (Marea Arancione) che ha protestato contro i tagli ai servizi sociali nelle piazze, nei luoghi di lavoro e on-line.

In Spagna sono stati rivendicati maggiori diritti sociali e servizi pubblici. In Italia invece è stato espresso prioritariamente il bisogno di rafforzare le professioni sociali. La mobilitazione spagnola ha coinvolto massicciamente le/i social workers in attività di protesta di bassa intensità e ha cercato di implicare direttamente le/gli utenti dei servizi sociali. Anche l’Ordine italiano ha intensificato il rapporto con i/le propri-e iscritti/e ma le azioni politiche intraprese non hanno, per loro natura, inciso molto sulla partecipazione individuale delle/degli assistenti sociali né si sono proposte di coinvolgere le/gli utenti. In Spagna le organizzazioni professionali (si veda anche l’opera di “data activism” dell’Asociación Estatal de Directores y Gerentes de Servicios Sociales) sono a volte riuscite a influenzare l’agenda di partiti e governi nazionali e locali. In Italia, nel periodo dell’austerità, invece non è stato possibile farlo.

In buona parte queste differenze si spiegano con elementi specifici del contesto. Le organizzazioni spagnole sono state facilitate dalla storica connessione tra social workers e sistema delle politiche sociali nata ai tempi della transizione democratica. La loro mobilitazione inoltre si è inserita nel solco di uno speciale ciclo di protesta, quello dei cosiddetti Indignados. Le organizzazioni italiane invece hanno sperimentato presupposti meno favorevoli, quali un riconoscimento istituzionale del lavoro sociale professionale tardivo e incompiuto, nonché una fase di non particolare attivazione dei movimenti sociali.

 

Organizzazioni professionali e azione collettiva delle/dei social workers

Possiamo ricavarne qualche lezione per il presente e il futuro. Le organizzazioni professionali del lavoro sociale sono più forti di dieci anni fa e oggi hanno maggiori opportunità di essere un’infrastruttura decisiva per l’agire politico delle/dei social workers.

Il caso spagnolo – seppur specifico – mostra che in congiunture sociali drammatiche svolgere funzioni di rappresentanza in modo convenzionale non basta. Occorre piuttosto supportare direttamente l’agire politico delle/dei professioniste/i sui luoghi di lavoro, a livello locale e nazionale, mutuando logiche e metodi di azione dai movimenti sociali. In tempi di crisi, l’offerta di risorse materiali e cognitive (bandiere, linee-guida, rapporti con i media…) per l’azione politica può alimentare un canale di espressione collettiva delle difficoltà e dell’indignazione individuale delle/dei social workers e può tutelare i valori professionali forse meglio di una posizione “sulla difensiva”.

Nei momenti di crisi, l’agire politico delle/dei social workers è tanto difficile quanto fondamentale per loro stessi e per i loro utenti effettivi o potenziali. Le organizzazioni professionali possono essere “imprenditori” di una rinnovata azione collettiva. Ne abbiamo bisogno.


Commenti

condivido la preoccupazione perché la sensibilità politica sia presente nelle attività professionali impegnate nel sociale

Condivido assolutamente la riflessione. Proprio la consapevolezza dell’importanza del nodo politico distingue la nostra professione da tutte le professioni d’aiuto. Se gli Assistenti Sociali, partendo dai principi ispiratori e dalla lettura della realtà, non riescono ad esprimere una visione all’opinione pubblica quantomento perdono la propria originalità. Rischiamo di essere affidabili erogatori di quello che arriva all’utenza o poco più.