Il Progetto ASU

Un'esperienza locale di intervento sugli aspetti immateriali della povertà


Elisa Noci | 3 Giugno 2025

Introduzione

In letteratura è ampiamente consolidata una descrizione della povertà come fenomeno sociale multidimensionale, caratterizzato non soltanto da una scarsa disponibilità di risorse economiche, ma da molteplici fattori che coinvolgono una pluralità di aspetti di vita: il tessuto relazionale, la struttura familiare, le condizioni psicofisiche dell’individuo. In altre parole, si focalizza l’attenzione anche sugli aspetti immateriali della povertà intesa come esclusione sociale, guardando a quei processi che possono impedire o indebolire i meccanismi di appartenenza a reti sociali significative. In quest’ottica, gli interventi di contrasto alla povertà non possono basarsi esclusivamente sull’integrazione delle risorse economiche, ma devono rivolgersi all’attivazione e al rafforzamento di risorse individuali.

Entro questa cornice, nel territorio del Municipio III – Montesacro (Comune di Roma) è stato sperimentato fin dal 2013 un progetto denominato ASU, Attività socialmente utili. Il progetto è stato elaborato a partire da quanto previsto dalla delibera che regola l’erogazione dei contributi economici nel territorio del Comune di Roma. L’articolo 1 della delibera prevede la redazione di un “progetto di intervento globale di sostegno al nucleo familiare” che includa sia interventi di natura sociale che economica. Più nello specifico, il successivo articolo 7 mette in evidenza la necessità di inserire nel progetto globale interventi “che consentano un reale recupero di capacità e di opportunità al fine di avviare un processo di reinserimento sociale”. Il progetto ASU è stato elaborato al fine di dare attuazione a quanto dettato dalla delibera, attraverso l’inserimento di alcune persone seguite dal Servizio Sociale presso associazioni di volontariato e centri sociali del territorio. A fronte dell’adesione e dell’impegno nelle attività concordate, alle persone viene erogato un contributo economico mensile. La finalità, quindi, è proporre un intervento che non incida solo sulla deprivazione economica, ma anche sugli aspetti immateriali della povertà, offrendo ai beneficiari una esperienza capace di influire positivamente sulle competenze personali e di arricchire la rete sociale di riferimento. La logica di questo progetto anticipa quanto verrà poi previsto a livello nazionale con la normativa del Reddito di Cittadinanza prima, e dell’Assegno di Inclusione poi, attraverso i PUC, Progetti Utili alla Collettività. Infatti, anche in ambito RdC/AdI, il supporto economico può essere associato ad un impegno del beneficiario in progetti – i PUC appunto – attivati dai Comuni (o da enti convenzionati) in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni con lo scopo di offrire al beneficiario un’occasione di crescita e di inclusione.

Questo tipo di impostazione, tuttavia, comporta alcuni rischi.

La visione della povertà come esclusione sociale focalizza l’attenzione sulla situazione del singolo individuo: sulle risorse presenti da potenziare, sulle aree di criticità personali e sociali su cui intervenire. Questa ottica, se da un lato consente progetti di intervento individualizzati particolarmente mirati ed efficaci, dall’altro può oscurare gli aspetti sistemici e strutturali della povertà, dando un peso eccessivo alla responsabilità individuale. Nella dinamica tra individuo in condizione di difficoltà e comunità, l’attivazione può quindi diventare un onere che grava in modo esclusivo proprio sul soggetto più fragile.

Inoltre, nel caso delle ASU, dato che solo con l’adesione a questo progetto si può ottenere un contributo economico continuativo mensile da parte del Municipio, tale proposta potrebbe essere vissuta non come un’opportunità, ma come una richiesta di contropartita alla quale è necessario aderire: una forzatura suscettibile di depotenziare il circolo virtuoso che si intende innescare.

Alla luce di ciò, diventa rilevante comprendere che senso assumono gli interventi sugli aspetti immateriali della povertà per i beneficiari del progetto: sono colti come un’opportunità significativa o come un peso? I progetti individualizzati costituiscono effettivamente un arricchimento per le persone a cui sono destinati?

Sono questi gli interrogativi che hanno guidato le attività di ricerca svolte tra la fine del 2023 e i primi mesi del 2024 sul progetto ASU.

Il progetto ASU: analisi dei dati

Come primo step, sono stati analizzati i dati sociodemografici dei beneficiari e l’andamento dei progetti individuali nel triennio 2021 – 2023.

I beneficiari delle ASU, fin dagli esordi e a tutt’oggi, sono per la maggior parte individui adulti soli, con alle spalle storie familiari difficili e complesse, separazioni, percorsi di vita caratterizzati dalla marginalità, da carenze formative, da un inserimento sempre provvisorio e difficile nel mondo del lavoro, da problemi di salute mentale, di tossicodipendenza, di carcerazione; o ancora immigrati che non sono riusciti ad integrarsi pienamente nell’ambiente sociale e lavorativo italiano. Si tratta, quindi, di persone difficili da inserire nel mercato del lavoro, spesso con l’aggravante dell’età, che in molti casi supera i 50 anni.

In particolare, nel corso del triennio 2021 – 2023 sono stati coinvolti nel progetto 82 beneficiari. Il profilo tipico del beneficiario ASU è maschio, italiano, over 50: su 82 beneficiari, 65 hanno più di 50 anni, gli under 40 sono solo 7. Le caratteristiche sociodemografiche sono riassunte nel dettaglio nei grafici seguenti (vedi Figure 1, 2 e 3).

 

Gli enti ospitanti coinvolti nel triennio sono tutte realtà attive nel territorio del Municipio III; in particolare, si cerca tendenzialmente di inserire ogni persona nel proprio quartiere di appartenenza, cercando un’attività il più possibile rispondente alle caratteristiche e agli interessi del singolo. Agli enti ospitanti coinvolti viene richiesto di individuare un referente che possa interloquire con l’assistente sociale e fare da punto di riferimento per il beneficiario. Viene richiesto, inoltre, che il beneficiario – al pari di qualsiasi altro volontario – possa godere di una assicurazione in caso di infortunio. Gli enti ospitanti attivi nel triennio 2021 – 2023 sono stati 36; come riportato nel grafico seguente (Figura 4), nel dettaglio, la metà degli enti ospitanti sono parrocchie. Sono presenti, inoltre, centri sociali anziani, associazioni di volontariato, cooperative sociali e associazioni di protezione civile.

I progetti individuali vengono concordati tra assistente sociale di riferimento, beneficiario e rappresentante dell’ente ospitante. Si concordano le attività effettivamente svolte e un orario settimanale di massima, con un impegno orario che va da un minimo di 9 ad un massimo di 15 ore settimanali. Una volta avviato il progetto, il monitoraggio è svolto in modo congiunto da referente dell’ente ospitante e assistente sociale. Ogni mese il referente dell’ente ospitante invia al Servizio Sociale un foglio firme dal quale deve risultare l’effettivo svolgimento di quanto previsto con continuità, salvo assenze per motivi di salute o concordate per consentire momenti di pausa e riposo. Il contributo economico che viene erogato mensilmente dal Servizio Sociale non è un pagamento orario, ma un riconoscimento per l’impegno preso. L’ammontare del contributo varia da un minimo di 200 ad un massimo di 300 euro mensili.

I dati rilevati dimostrano che la stragrande maggioranza dei progetti attivati proseguono nel tempo. Nel corso del triennio, sono stati attivati 51 nuovi progetti. Tra questi, 41 erano ancora attivi nell’anno successivo a quello iniziale, solo 10 sono stati interrotti pochi mesi dopo l’avvio. In totale, i progetti cessati nel corso del triennio sono stati 42 ma, come si può vedere dal grafico seguente (Figura 5), solo 12 cessazioni sono state motivate da una mancanza di adesione al progetto. Il motivo di cessazione che raccoglie più casi è il raggiungimento dei limiti di età: al passaggio all’età anziana, infatti, i progetti sono chiusi d’ufficio. Ci sono anche 12 casi in cui il progetto è cessato per passaggio a una opportunità più favorevole (ad esempio un tirocinio di inclusione sociale) o perché il beneficiario ha trovato un’occupazione.

La voce dei protagonisti

I beneficiari delle ASU sono stati ascoltati attraverso due diversi strumenti: un’indagine telefonica rivolta a tutti i beneficiari attivi a dicembre 2023; un’intervista semistrutturata di approfondimento che ha coinvolto sette beneficiari. I beneficiari attivi a dicembre 2023 erano 41; le interviste valide raccolte sono state 35, perché tre persone hanno rifiutato l’intervista e tre sono risultate irreperibili per intervenuti trasferimenti.

Da entrambe le fonti è emerso un generalizzato apprezzamento rivolto in modo particolare agli aspetti immateriali dell’esperienza. Ciò non significa che l’aspetto economico non sia ritenuto significativo: tutti coloro che hanno partecipato alle interviste semistrutturate e 14 persone su 35 nell’indagine telefonica citano tra gli aspetti positivi del progetto la possibilità di arrotondare le entrate. Tuttavia, questo aspetto è anche criticato molto frequentemente: il contributo economico erogato a fronte delle attività svolta viene ritenuto troppo basso da 12 persone su 35; nelle interviste semistrutturate è ripetuto in modo ricorrente che l’entrata garantita dal progetto è esigua, che può aiutare ma certo non è sufficiente per vivere. In definitiva, per i beneficiari la spinta fondamentale per portare avanti l’adesione al progetto non viene dal contributo economico, che, anzi, è ritenuto talmente esiguo da costituire una criticità.

Sono proprio gli aspetti immateriali ad essere richiamati come il vero valore del progetto. In particolare, gli elementi citati tanto nelle interviste telefoniche, quanto in quelle semistrutturate sono i seguenti:

  • Antidoto al senso di vuoto e alla noia: per persone escluse dal mercato del lavoro e che vivono situazioni di isolamento sociale, l’ASU consente di spezzare la monotonia delle giornate, di tenersi impegnati. Come dichiarato in una delle interviste: “Vado lì così non sto in mezzo alla strada tutto il giorno”.
  • Gratificazione personale: i partecipanti al progetto hanno un importante ritorno in termini di autostima. Lo svolgimento delle attività li fa sentire utili e importanti: “ho ritrovato la mia dignità”, racconta una persona.
  • Soddisfazione nell’aiutare altre persone: soprattutto per chi svolge attività in contesti di volontariato a contatto diretto con gli altri, emerge il piacere nell’essere di supporto, nel fare qualcosa di buono per il prossimo.
  • Socializzazione e creazione di positive relazioni: la partecipazione al progetto ASU dà ai beneficiari una possibilità molto importante di superare la loro condizione di isolamento sociale, ritrovando il piacere di stare in mezzo agli altri e di creare nuove relazioni. Questo aspetto appare assolutamente centrale; nell’indagine telefonica viene citato da 21 persone su 35 e viene ampiamente narrato nelle interviste semistrutturate. Con le parole dei protagonisti: “io lì ho una famiglia”; “si fanno amicizie nuove, inaspettate”.

Sono questi aspetti a fornire la motivazione decisiva per la partecipazione al progetto, nonostante l’esiguità del compenso economico. E’ per gli aspetti immateriali che le persone, in molti casi, svolgono le attività per un monte orario maggiore rispetto a quanto previsto dal progetto individuale.

È da notare anche il fatto che, nelle interviste telefoniche, solo due persone su 35 hanno dato un giudizio complessivamente negativo sul progetto, adducendo anche in questo caso motivazioni legate proprio agli aspetti immateriali: si tratta di due persone che hanno avuto esperienze negative dal punto di vista delle relazioni nel contesto in cui erano state inserite.

Attivazione per tutti

A completare le attività di ricerca, sono state svolte interviste semistrutturate anche con gli altri soggetti coinvolti, assistenti sociali (3 interviste) e rappresentanti degli enti ospitanti (5 interviste). Tutti gli intervistati riconoscono l’utilità e la positività del progetto.

Dalle parole dei rappresentanti degli enti ospitanti, emerge come le ASU diventino anche un’occasione per superare lo stigma e il pregiudizio nei confronti delle persone accolte. Tutti gli intervistati hanno narrato come la loro adesione al progetto sia stata motivata inizialmente soprattutto da scopi caritativi; salvo poi scoprire la persona al di là del “caso di servizio sociale” e rendersi conto che i beneficiari possono essere realmente una risorsa. Con le parole degli intervistati: “noi aiutiamo loro, e loro aiutano noi”; “sono persone con le loro difficoltà, ma fanno più di quanto richiesto”, “si instaura un rapporto di fiducia”. Per gli assistenti sociali ascoltati, il valore aggiunto delle ASU risiede soprattutto nella possibilità di impegnarsi in un lavoro progettuale, ritenuto molto più stimolante rispetto alla mera erogazione di un contributo economico. Si sottolinea, inoltre, come le ASU consentano di conoscere meglio la persona accompagnata, con un ritorno positivo sulla relazione e sulla costruzione di fiducia.

Nel momento in cui viene loro richiesta una riflessione sulle criticità, sia gli assistenti sociali, sia i rappresentanti degli enti ospitanti rilevano la stessa cosa: le ASU richiedono un impegno costante, sia in avvio, sia per il monitoraggio. Per far funzionare i progetti è necessario un investimento da parte di tutti gli attori, deve essere presente un contatto diretto tra enti ospitanti e assistenti sociali che consenta di accompagnare il percorso e di affrontare le eventuali criticità, ridefinendo gli accordi se necessario.

In conclusione: le ASU non richiedono l’attivazione solo dei beneficiari, ma di tutti i soggetti coinvolti – degli assistenti sociali, chiamati a uscire dai loro uffici per cercare e coltivare relazioni dirette con le realtà del proprio territorio; dei soggetti attivi nella comunità. Si tratta, a detta di tutti, di un lavoro impegnativo, ma sul quale vale la pena investire.