La supervisione del personale


I LEPS servono a garantire a tutti i cittadini una base minima e uguale dei servizi. Il LEPS della supervisione non è un servizio propriamente diretto ai cittadini, ma un servizio diretto agli assistenti sociali e ad altri professionisti del sociale. È importante riprendere gli aspetti definitori perché, a partire dalla definizione di questo LEPS, si sono create aspettative e fraintendimenti. Sinteticamente, questo LEPS viene definito dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023, ripreso dal nuovo relativo al triennio 2024-2026, come supervisione professionale e sostegno per migliorare la qualità delle prassi degli operatori e contrastare il burn-out. È considerato un obbligo per l’organizzazione in cui il professionista svolge la propria attività, una responsabilità deontologica per tutte le professioni ordinate e finalizzato a potenziare servizi di qualità. Il tema della qualità dei servizi rivolti al cittadino è ciò che consente di attivare questo LEPS, che è una prestazione rivolta agli operatori: servizi di qualità, competenze teoriche e metodologiche, capacità riflessive degli operatori a tutela delle persone e delle comunità. Rappresenta, inoltre, un’opportunità per il professionista di fornire un servizio pubblico maggiormente rispondente ai bisogni della popolazione.

In questa direzione si colloca il fatto che la supervisione professionale è uno strumento di riflessione per il professionista, che va a recuperare aspetti metodologici, valoriali, relazionali e deontologici. Tutto questo può ridurre le condizioni di stress professionale da cui derivano fenomeni di burn-out. Sappiamo però che le condizioni che favoriscono malessere o benessere professionale sono varie e che i fenomeni di burn-out si strutturano su diverse questioni che i professionisti intercettano. Il binomio supervisione-benessere dell’assistente sociale rischia, quindi, di compromettere questo LEPS.

Nella nostra esperienza abbiamo visto che si sono create delle aspettative di benessere nei professionisti, quindi di partecipare agli incontri di supervisione e di stare meglio. In realtà, la supervisione porta a riflettere su di sé, sul proprio modo di lavorare, e questo talvolta è faticoso. Da un lato è quello spazio di interruzione del lavoro diretto con le persone, che può dare sollievo, ma dall’altro può portare a contatto con errori, questioni spinose da affrontare e quindi non necessariamente indurre benessere ma anche qualche momento di malessere.

C’è voluto un po’ di tempo perché la supervisione entrasse davvero nell’esperienza professionale degli assistenti sociali: molti avevano già fatto esperienze di supervisione, ma un’esperienza così vasta rivolta agli assistenti sociali non si era mai vista. Il LEPS è costruito su tre aspetti:

  1. una supervisione metodologica, rivolta agli assistenti sociali del servizio sociale professionale e svolta da supervisori assistenti sociali;
  2. una supervisione organizzativa, che intercetta anche gli altri professionisti che lavorano insieme agli assistenti sociali (es. educatori, psicologi, personale amministrativo);
  3. una supervisione individuale, rivolta ad ogni singolo assistente sociale che lo richiede.

La supervisione metodologica è andata avanti molto speditamente, la supervisione organizzativa ha avuto una lunga gestazione rispetto alla sua organizzazione (es. quali gruppi formare, chi inserire), la supervisione individuale è, invece, rimasta un pochino sottoutilizzata, come se in questo sovrabbondare di aspetti e possibilità di supervisione, la parte individuale fosse rimasta un po’ indietro. Dal nostro punto di vista, invece, potrebbe essere un’importante risorsa.

Questo LEPS è stato prevalentemente finanziato con progetti PNRR. La supervisione è esplosa su tutto il territorio nazionale con progettazioni diverse, ogni territorio l’ha costruita a suo modo e secondo le sue esigenze. C’è stato un forte supporto della Fondazione degli assistenti sociali e un supporto organizzativo e di consulenza agli ATS da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Questo ha di fatto agevolato le progettazioni e il rodaggio della catena organizzativa ad ampio raggio.

La supervisione organizzativa è stata molto ricca, ha consentito scambi di saperi, ha migliorato funzionamenti di sistemi, ha costruito alleanze operative laddove chi ha progettato la supervisione ha pensato in grande, e quindi inserito nei gruppi professionisti diversi. Si sono anche costruite alleanze con servizi sanitari, attraverso gruppi misti sociale-sanitario, e questo è stato un grande successo.

Una questione critica riguarda la condizione stringente secondo la quale i supervisori della supervisione metodologica dovessero essere assistenti sociali. Questa era una figura piuttosto carente, non c’erano tanti assistenti sociali che fossero anche supervisori perché non è sufficiente lavorare da tanto tempo come assistenti sociali per assumere ruolo di supervisore. A causa di ciò c’è stata una grande improvvisazione che, unita alle aspettative di benessere, ha portato alla messa in campo di attività che spesso avevano poco a che vedere con una supervisione metodologica e professionale. Legato a questo, il tema del benessere ha preso il sopravvento e a volte si è percepito un rischio di svalutazione dello strumento, inteso come strumento di crescita e di sostegno.

Relativamente al futuro, sappiamo che ci saranno minori risorse economiche rispetto a quelle avute con il PNRR, quindi si ridurrà il numero di ore di supervisione. Il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2024-2026 prevede un minimo di ore dedicate alla supervisione metodologica, a quella organizzativa e a quella individuale attraverso modalità piuttosto confuse. Si comincia solo ora a percepire il beneficio di avere spazi di pensiero che stavano rischiando di essere svalutati perché troppi, abbiamo sentito in diversi territori, da parte degli assistenti sociali, una sorta di sovraffaticamento rispetto al dover partecipare agli incontri di supervisione, come se fosse più un obbligo che un’opportunità. Questo livello essenziale delle prestazioni non è rivolto al cittadino, quindi non sarà certo il cittadino a chiederne l’esigibilità, ma saranno gli assistenti sociali che dovranno chiedere l’impegno delle organizzazioni a mantenere questo LEPS.

Come Scuola IRS per il sociale abbiamo aperto contesti formativi per supervisori, formato i nostri supervisori per avere una squadra che potesse lavorare al meglio, anche garantendo una supervisione al loro lavoro, con un effetto a cascata. Si sono aperti contesti formativi per supervisori anche nelle università e questo sicuramente migliorerà la qualità del servizio svolto. Il tema della supervisione organizzativa è un punto da potenziare e da tenere in alta considerazione perché tutto il lavoro del servizio sociale professionale sta andando in questa direzione, strutturandosi in équipe multiprofessionali. Questo sarà un tema su cui ragionare e costruire pensiero, alleanze e linguaggi. La nostra speranza è rivolta alle giovani assistenti sociali, che entrano in un contesto di lavoro in cui la supervisione professionale è garantita, e sentano quanto questo strumento possa essere importante per loro per garantire la qualità dei loro interventi e quindi siano propulsori rispetto all’esigibilità di questo LEPS perché non si torni più indietro.