Il Reddito di Inclusione. Un bilancio utile per l’attuale RdC

Il monitoraggio della prima misura nazionale di contrasto alla povertà


Cristiano Gori | 19 Marzo 2020

Questo articolo è stato pubblicato anche su LombardiaSociale.it

 

Recentemente sono stati pubblicati i risultati del monitoraggio sull’attuazione del Reddito d’Inclusione (ReI), che l’Alleanza contro la Povertà in Italia ha realizzato nel corso del 2018-2019. Il lavoro di ricerca si pone in continuità con quello già realizzato sul Sostegno all’Inclusione Attiva (SIA) nel 2016-2017 e costituisce di fatto l’unico monitoraggio svolto sul tema a livello nazionale1.

Due sono le finalità della ricerca: osservare i processi di attuazione della misura nei territori facendone emergere le logiche, le dinamiche, le implicazioni sui beneficiari e sui soggetti territoriali coinvolti; contribuire a fornire elementi utili al dibattito sulle politiche di contrasto alla povertà in Italia, basati sull’esperienza degli operatori locali sul campo. Dunque, quale bilancio complessivo dell’attuazione del Reddito di Inclusione si può stilare a confronto anche con l’introduzione del RdC nei primi mesi di attuazione? Di seguito le principali evidenze emerse dal monitoraggio2.

 

Le evidenze del monitoraggio

 

Gli utenti

Hanno ricevuto il ReI complessivamente 507 mila famiglie, equivalenti al 28% degli 1,8 milioni di nuclei in povertà assoluta (stima Istat). Rispetto alla popolazione in condizione di povertà presente in Italia, questi numeri sono evidentemente bassi. Tuttavia, per molti sistemi di welfare locale si sono tradotti in una mole di casi troppo ampia da gestire e alla quale offrire risposte idonee in termini di percorsi d’inclusione.

Il monitoraggio nello specifico, rileva che viene sfavorito il Centro-Nord (il 46% dei nuclei risiedono nelle isole, il 39% nel sud, il 22% al centro, l’11% nel Nord-Est e il 16% nel Nord-Ovest) e che sono penalizzati gli stranieri (le famiglie con stranieri equivalgono al 31% di quelle in povertà assoluta ma solo all’11% dei beneficiari ReI).

Non è ancora possibile analizzare in modo puntuale il numero di coloro che lo ricevono oggi il RdC, utilizzando però i dati a disposizione, ad es. confrontando il mese con il maggior numero di utenti ReI (dicembre 2018) e di utenti RdC (agosto 2019) si osserva che nel primo caso ne fruivano 358 mila nuclei, mentre nel secondo 843 mila per RdC e 117 mila per la Pensione di Cittadinanza. Il sostanziale incremento dei beneficiari permette di rispondere meglio alle necessità di sussistenza materiale della popolazione raggiunta. Rimane comunque da verificare nei prossimi mesi, invece, la capacità del sistema di welfare locale di rispondere adeguatamente a questa crescita in tempi assai rapidi.

 

Nella composizione dell’utenza invece il RdC conferma gli elementi di iniquità presenti nel ReI e ve ne aggiunge altri. Per quanto riguarda la geografia, sono di nuovo penalizzati i poveri che vivono nel Centro-Nord. Di fatto, si mantiene la determinazione di soglie economiche di accesso uguali nell’intero Paese in presenza di marcate differenze territoriali nel costo della vita. In merito alla cittadinanza, inoltre, la possibilità per gli stranieri di ricevere la misura viene ridotta ulteriormente attraverso vari dispositivi, a partire dall’innalzamento da cinque a dieci degli anni di residenza necessari. Infine, s’introduce la novità di svantaggiare le famiglie più numerose: si assegnano maggiori possibilità di accesso ai nuclei più piccoli (soprattutto di uno o due componenti) rispetto a quelli più grandi (in particolare di quattro persone o più).

 

Gli importi

L’ammontare mensile medio del ReI è stato di € 292. Questa cifra, nonostante consenta di incrementare il reddito famigliare disponibile mediamente di circa il 75%, tuttavia è indubbiamente risultata insufficiente rispetto alle esigenze dei destinatari, le cui risorse economiche disponibili sono rimaste assai lontane dalla soglia di povertà assoluta.

L’ammontare medio del RdC oggi è pari oggi a € 518 mensili: gli importi sono aumentati nettamente rispetto al ReI per qualunque tipologia di famiglie. Tuttavia, a differenza del ReI, la graduazione degli importi del RdC premia eccessivamente i più piccoli a discapito di quelli numerosi. Il connubio tra questa distorsione e la crescita di tutti gli importi fa sì che l’ammontare del RdC consenta addirittura di superare la soglia di povertà assoluta per molte famiglie sino a due componenti e per alcune di tre; ciò non accade mai, invece, per i nuclei con almeno quattro componenti.

Diversi operatori intervistati ritengono che l’inadeguatezza degli importi del ReI abbia indebolito l’efficacia dei percorsi d’inclusione. Viene segnalata, infatti, la difficoltà incontrata nel richiedere significativi impegni d’inserimento sociale o lavorativo a fronte di somme limitate come quelle corrisposte. Con il Rdc il rischio è quello di essere scivolati nella situazione opposta con una varietà d’implicazioni che riguardano sia l’azione della rete dei servizi locali, in generale, che le conseguenze sui meccanismi d’inclusione lavorativa previsti dal RdC.

 

Il contesto politico-istituzionale

Uno degli aspetti innovativi del ReI è consistito nel percorso d’inclusione sociale per le famiglie beneficiarie, reso possibile dal forte investimento sui servizi del welfare locale avvenuto in discontinuità con la priorità storicamente attribuita nel nostro Paese ai contributi economici. La definizione di Livelli Essenziali dei servizi sociali di titolarità comunale, i primi mai introdotti in Italia; un finanziamento strutturale per alimentarli; il sostegno dello Stato ai territori attraverso strumenti programmatori, Linee guida e l’azione di accompagnamento realizzata dal Ministero del welfare in collaborazione con la Banca Mondiale, la valorizzazione delle funzioni di governance delle amministrazioni regionali, per affiancare le proprie realtà locali adattando le indicazioni nazionali alle loro specificità. Tuttavia, le ricadute concrete per i contesti locali, sono state limitate. Basti pensare che i fondi statali per i servizi sociali previsti dal ReI sono entrati nella disponibilità degli Ambiti Territoriali mediamente quasi un anno dopo l’avvio della misura. Di fatto, il loro utilizzo è divenuto possibile perlopiù con il RdC, mentre in epoca di ReI sono state impiegate esclusivamente le risorse previste dal PON Inclusione. Lo stesso per gli strumenti di sostegno ai territori elaborati da Ministero e Banca Mondiale. Anche il ruolo di rilievo immaginato per le Regioni spesso è rimasto ad uno stadio iniziale.

L’incertezza sul futuro non ha di certo aiutato la sforzo riformatore. Gran parte del periodo di attuazione del ReI ha coinciso con la presenza al Governo – in seguito alle elezioni della primavera 2018 – di forze politiche diverse da quelle che l’avevano introdotto, le quali hanno subito esplicitato la volontà di sostituirlo con il RdC. Da qui si comprendono alcuni ritardi del livello nazionale e il contenimento dell’investimento, a livello regionale e locale, sull’attuazione del ReI, misura candidata al “fine corsa” già pochi mesi dopo la sua nascita.

Sicuramente la scelta del RdC di confermare l’intera infrastruttura nazionale per il welfare locale prevista dal ReI e di mantenere invariata la normativa riguardante i percorsi d’inclusione sociale di titolarità comunale, consente di dare continuità al percorso cominciato con il ReI. Negli anni recenti, l’inedita priorità politica assegnata al contrasto della povertà è stata affiancata da una costante fibrillazione politico-istituzionale. L’assenza di punti di riferimento per il futuro e la necessità di un continuo sforzo di adattamento all’evoluzione normativa hanno rappresentato un forte ostacolo all’elaborazione di adeguate risposte a livello territoriale. Ora il welfare locale ha bisogno di uno scenario politico-istituzionale più stabile.

 

La rete del welfare locale

Il ReI si è dovuto confrontare con una radicata eredità storica del nostro stato sociale. Il disegno del ReI ha infatti inteso scardinare le coordinate storicamente dominanti del welfare locale italiano nel contrasto alla povertà: complessivamente pochi servizi e distribuiti in modo geograficamente assai eterogeneo. Dar vita ad un inedito sviluppo dei servizi, comune a tutto il Paese, non avrebbe mai potuto risultare un’operazione rapida. Questa è la vera eredità del periodo di attuazione del ReI: un apprezzabile cambiamento di marcia, rispetto al passato, nella realizzazione degli interventi contro la povertà da parte dei sistemi di welfare locale. Tanto la sua entità quanto le sue caratteristiche sono risultate assai variabili: si spazia dall’attivazione di nuove collaborazioni tra gli attori del welfare locale al miglioramento nell’organizzazione dei servizi, dal lavoro sulla progettazione personalizzata allo sforzo per dotare sistemi già efficaci della capacità di rispondere ad un numero maggiore di richieste, e altro ancora.

Per quanto riguarda i rapporti tra i diversi soggetti del welfare territoriale, l’obiettivo del ReI è consistito nella strutturazione di una rete unitaria di risposte contro la povertà, da realizzare attraverso la promozione della collaborazione tra tutte le realtà coinvolte e l’assegnazione della funzione di regia ad un unico attore, i Comuni (coordinati nell’Ambito Sociale Territoriale), i soli a detenere le competenze necessarie ad affrontare la multidimensionalità della povertà.

Il riferimento è, innanzitutto, ai Punti unici di accesso (Pua) comunali, deputati a ricevere le domande ed a svolgere una funzione d’informazione ed orientamento della popolazione interessata.

Ma a questo si aggiunge il lavoro di rete. L’87% degli Ambiti sociali ha sviluppato accordi di collaborazione, formali o informali, con i Centri per l’Impiego, nati quasi sempre con l’introduzione del Sia o del ReI. Questo dato rappresenta una novità assoluta per il nostro Paese, cioè l’inizio di una collaborazione – non priva di ostacoli, come riportato dagli operatori intervistati – a livello locale tra servizi sociali e politiche del lavoro, fino a ieri due mondi completamente separati3.

Una rete unitaria del welfare locale rappresenta un obiettivo ampiamente condiviso tra gli esperti così come tra gli operatori. Il punto è riuscire a costruirla in modo adeguato. L’analisi della casistica locale mette in luce quello che si è dimostrato un limite del ReI in proposito: la mancanza di indicazioni più puntuali e più cogenti che spingessero gli attori del territorio a lavorare insieme. Ad es. la necessità di una maggiore strutturazione dei rapporti tra Comuni e Centri per l’Impiego, o della collaborazione, prevista dalla normativa, tra i diversi Comuni di uno stesso Ambito Territoriale per la programmazione e gestione del ReI.

Certo il disegno del RdC per la rete dei servizi territoriali differisce sostanzialmente da quello del ReI. L’obiettivo della costruzione di un modello unitario di welfare locale a titolarità comunale perseguito dalla precedente misura, infatti, viene superato poiché s’introduce, invece, un modello articolato in tre universi autonomi: quello dei Comuni, quello dei Centri per l’Impiego e quello della prestazione economica senza alcun coinvolgimento dei servizi locali (opzione non prevista dal ReI). Seppur siano previste disposizioni per favorire la collaborazione tra i diversi servizi, e in primo luogo tra Comuni e Cpi, la normativa del RdC è concepita in modo da renderla piuttosto complessa. Infine, viene meno l’obiettivo di avvicinare il più possibile la rete dei servizi alle persone che vivono nel territorio: i Pua sono aboliti e non è più prevista la funzione di informazione ed orientamento da parte dei Comuni.

 

La presa in carico

Grazie al Rei, la presa in carico ha conosciuto una diffusione senza precedenti nella lotta alla povertà. Questo è il dato da cui partire e sulla base del quale leggere tanto i passi in avanti quanto le difficoltà riscontrate. Riguardo la funzione progettuale, emergono spesso miglioramenti rispetto all’esperienza del Sia, in misura variabile secondo i contesti. I più segnalati consistono in un graduale rafforzamento delle procedure, in uno svolgimento più strutturato di tutte le fasi previste, nel maggiore coinvolgimento di diverse professionalità e in un allargamento dello sguardo dei servizi (spostato sempre più dal singolo beneficiario all’intero nucleo familiare).

Si è verificata tuttavia una tensione tra gli ambiziosi obiettivi per la presa in carico e l’effettiva possibilità di perseguirli. Il monitoraggio restituisce un quadro di servizi sottoposti ad una notevole pressione e impossibilitati a rispondere a tutti i beneficiari in coerenza con le indicazioni della riforma sulla presa in carico. Questa difficoltà si è registrata in gran parte del Paese, ma è risultata più significativa dove più alto era il numero di beneficiari e minore la forza del welfare locale ereditata dal passato, a partire dalla dotazione di personale. Si tratta di un’evidenza da leggere insieme al menzionato ritardo nella “messa a terra” dell’infrastruttura nazionale per il welfare locale, che ha reso disponibili solo in misura ridotta gli strumenti previsti per i territori per raggiungere gli obiettivi della riforma.

Alcune criticità riguardanti la progettazione sul caso e la presa in carico registrate in vari territori sono le seguenti, che segnalano utili attenzioni per il futuro sono:

  • il gap temporale tra attivazione del contributo economico e sottoscrizione del progetto personalizzato (quanto più l’erogazione monetaria e la stipula del patto sono tra loro distanziate e poco collegate, tanto meno è agevole per gli operatori legare gli impegni previsti nell’accordo alla fruizione del beneficio);
  • la sottoscrizione del progetto intesa solo come adempimento formale, progetti privi di effettivi contenuti;
  • l’offerta che condiziona la risposta (la definizione di progetti personalizzati o di patti di servizio non in base al bisogno rilevato, ma in base all’offerta di servizi e risorse per farvi fronte presenti sul territorio);
  • la difficoltà a formare équipes multidimensionali;

 

I punti di attenzioni per il futuro

Gli operatori condividono il disegno del Rei ma temono che non produca i risultati auspicati. Da una parte, infatti, viene espresso un diffuso favore rispetto alla progettazione personalizzata ed ai percorsi d’inclusione previsti, dall’altra emergono rilevanti timori sul rischio che questo disegno non riesca a trovare un’efficace traduzione pratica, paventando il pericolo di una “deriva assistenzialistica”. Inoltre, la maggior parte degli operatori si esprime negativamente sugli esiti ottenuti grazie al Rei in materia d’inclusione sociale. Tuttavia, il periodo d’implementazione della misura è stato troppo breve per valutare l’efficacia dei percorsi, che necessitano di tempi lunghi per produrre effetti, anche quando la progettazione personalizzata viene elaborata nel modo migliore.

Il resoconto dell’esperienza del ReI svolto nel monitoraggio mette in luce numerosi specifici punti di attenzione per l’attuazione del RdC, riassumibili in tre aspetti da verificare quando saranno disponibili evidenze empiriche.  Primo, la qualità della progettazione personalizzata e dei percorsi d’inclusione. Nel caso dell’inclusione lavorativa, si tratterà di verificare alla prova dei fatti la nuova ed articolata strategia messa in campo. Per quanto riguarda quella sociale, invece, la sfida consisterà nella capacità di sviluppare quanto già fatto con il Rei, migliorandolo ed aggiustandolo dove opportuno sulla base della precedente esperienza. Secondo, l’utilizzo delle maggiori risorse per i servizi. Il RdC introduce un robusto finanziamento per i CpI e conferma, incrementandolo, il fondo servizi sociali del Rei, i cui stanziamenti sono ora nella piena disponibilità degli Ambiti Territoriali. Si è, dunque, in presenza di un’occasione storica, da valorizzare appieno. Terzo, la capacità di affrontare il rapido incremento dell’utenza. Il monitoraggio del ReI ha sottolineato la difficoltà del sistema del welfare locale nel rispondere opportunamente alla platea di beneficiari prevista all’epoca. Il RdC ha determinato un aumento notevole del loro numero, che ha avuto luogo con estrema rapidità; d’altra parte, anche la dotazione di personale è in crescita grazie alle maggiori risorse a disposizione dei servizi. Bisognerà verificare sia la capacità del nuovo sistema di rispondere all’incremento dell’utenza, sia i tempi nei quali ciò sarà possibile.

  1. Il monitoraggio ha previsto la definizione di un disegno di ricerca basato su una metodologia quanti qualitativa e uno sviluppo lungo tre filoni distinti: una survey nazionale, dodici studi di caso e l’analisi dei piani regionali di lotta alla povertà.
  2. Per una lettura approfondita sul tema si rimanda al volume Il Reddito di Inclusione. Un bilancio, a cura dell’Alleanza contro la Povertà (ed. Maggioli, 2019). Il presente articolo rappresenta una sintesi delle conclusioni riportate in modo più esteso all’interno della pubblicazione.
  3. Riguardo le collaborazioni tra servizi sociali dei Comuni, Terzo Settore, sanità e scuola, attori di tradizionale interfaccia, si è rilevata, seppur con una forte differenza territoriale, la prevalenza e la riproposizione di legami/intese già esistenti. Si è rilevato un consolidamento nella collaborazione con la Scuola, soprattutto per monitorare la frequenza dei minori e prevenire l’abbandono scolastico, un esito coerente con la particolare attenzione rivolta a questa fascia di età nella progettazione personalizzata. La centralità della questione della casa nella lotta alla povertà ha trovato, invece, poca rispondenza nelle strategie di contrasto locali.