La coprogettazione in azione. Riflessioni dell’Assessore al Welfare, Regione Piemonte


Augusto Ferrari | 17 Dicembre 2018

La coprogrammazione e la coprogettazione costituiscono un processo, che coinvolge una pluralità di attori attorno al perseguimento di obiettivi condivisi. È una operazione inevitabilmente faticosa e con tempi non immediati. Per questo la tentazione, che alligna spesso dentro di noi, è quella di
percorrere la strada tecnocratica e neo-centralista. Una tentazione accentuata, soprattutto in questi ultimi anni, dalla necessità di esercitare un controllo più rigoroso sulla spesa e coltivata con la motivazione di dare più efficienza al sistema.

Ma è una scorciatoia, che genera illusione e rischia di confinare il ruolo delle istituzioni pubbliche dentro un ambito autoreferenziale, che crea distanza rispetto alle diverse forme, sempre in evoluzione, di rischio e di vulnerabilità sociale.

 

La coprogrammazione e la coprogettazione sono modalità d’azione che tengono seriamente in considerazione la realtà in tutta la sua complessità. Nel nostro paese, nelle diverse e plurali articolazioni delle comunità e dei territori, è capillarmente diffusa una importante presenza di attori sociali, che esprimono competenze ed esperienze a servizio dell’interesse generale e dimostrano nella concretezza quotidiana che lo spazio pubblico non è riducibile alla sola dimensione istituzionale, ma richiede anche il riconoscimento di una pluralità di saperi e di poteri, dalla cui sinergia e interazione nascono politiche pubbliche davvero adeguate rispetto a quanto si muove dentro la società.

 

Il nostro sistema di Welfare è attraversato dalla ineludibile esigenza di affrontare, in termini programmatici, la sfida della innovazione, nella consapevolezza che la mera gestione dell’esistente non può più garantire i criteri di equità, di universalismo e di sostenibilità, che devono stare alla
base di un sistema di servizi alla persona in grado anche oggi di rispondere efficacemente alla “mission” per cui è nato: quella cioè di ridurre gli squilibri sociali.

L’innovazione è dunque strettamente legata alla necessità di salvaguardare, nella concretezza delle scelte politiche, i valori fondanti dei diritti sociali, sanciti dalla Costituzione.

 

L’innovazione sociale va sperimentata primariamente a livello dei sistemi territoriali. Occorre cioè favorire e promuovere la diffusione, l’organizzazione, l’implementazione di sistemi territoriali plurali, capaci di mobilitare tutte le risorse comunitarie in maniera programmatica e non episodica. Per questo, oltre ai contenuti delle politiche, diventa cruciale, in questa logica, la questione della governance. Faremmo un grave errore a sottovalutare questo tema, perché in realtà è decisivo per ragionare ed operare in termini di sistema. Essa chiama in causa, per un verso, la responsabilità sociale di tutti gli attori che, a vario titolo, sono attivi dentro le comunità; ma, per altro verso, pone la necessità di ripensare la modalità di esercizio del potere politico istituzionale.

L’autorità pubblica infatti svolge un ruolo insostituibile nel favorire l’emersione di quell’humus cooperativo. Ma questo passa necessariamente attraverso forme stabili di riconoscimento della presenza diffusa di “altri” poteri e di “altri” saperi, che devono essere visti come partners indispensabili per la costruzione del benessere delle comunità.

Pertanto la responsabilità politico-istituzionale non può limitarsi ad agire sulle procedure interne, con una esclusiva attenzione alla congruità degli atti amministrativi, ma deve promuovere processi nei territori, finalizzati a produrre decisioni sulle politiche pubbliche utili per l’interesse generale di quelle comunità.

Non solo quindi un lavoro dentro i meccanismi burocratici, ma un lavoro che fa delle istituzioni uno strumento per favorire il protagonismo attivo delle comunità nel perseguimento di obiettivi condivisi.

 

In questi anni abbiamo cercato di lavorare in Piemonte in questa direzione. Lo abbiamo fatto interpretando il significato profondo dell’autonomia regionale non nel senso del distacco rispetto al resto, ma come lo spazio specifico in cui coniugare virtuosamente l’unità e la pluralità: l’unità dell’indirizzo di matrice europea e nazionale con la pluralità e diversità dei sistemi locali.

Abbiamo promosso una riarticolazione territoriale della regione attorno a 30 ambiti omogenei, chiamati Distretti della coesione sociale, per favorire l’integrazione tra i servizi e promuovere la metodologia dei Patti di comunità. Abbiamo investito su una modalità partecipativa per costruire la programmazione regionale delle politiche sociali attraverso il Patto per il sociale (2015-2017), Il Patto di sviluppo di comunità solidali (2017-2019), il Piano regionale di contrasto alla povertà (2018). Infine è stata definita una vera e propria strategia per l’innovazione sociale, chiamata WE.CA.RE. (Welfare Cantiere Regionale), che si fonda sull’utilizzo programmatico di 20 milioni di fondi europei, distribuiti su quattro misure, che intendono sviluppare una logica di sistema attraverso il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti: enti pubblici, enti di terzo settore, aziende.

 

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