L’applicazione del Budget di salute a Bologna. Razionalizzazione o creatività?

Monitoraggio sulla sperimentazione dei primi Progetti personalizzati con Budget di Salute integrato sociosanitario nell’area metropolitana di Bologna


Luca NegrognoBruna Zani | 29 Maggio 2024

Tra il maggio 2021 e il maggio 2022 il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL di Bologna ha discusso 51 progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati secondo i principi del Budget di Salute (BdS), avviando la realizzazione di 40 di essi. La sperimentazione ha coinvolto i servizi per la salute mentale per le persone adulte, per le dipendenze patologiche e per la neuropsichiatria infantile dei 6 Distretti Sanitari compresi nell’area della Città Metropolitana di Bologna.

I 40 progetti, rivolti a coloro per cui è stata individuata una compresenza di bisogni sanitari e sociali, hanno comportato un percorso di coprogettazione tra operatori e operatrici sociali, sanitari e degli Enti del Terzo Settore e sono esitati nella definizione di un Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzato (PTRI) concordato con l’utente ed eventualmente la famiglia, con una frequenza settimanale di interventi educativi commisurata all’intensità del bisogno rilevato, della durata di un anno ed eventualmente rinnovabile.

Obiettivi della ricerca

L’obiettivo della nostra ricerca qualitativa è stato indagare cosa concretamente avviene nei percorsi di progettazione individualizzata con BdS, tenendo presenti le seguenti domande: in che misura il BdS rappresenta uno strumento di razionalizzazione e controllo meramente quantitativo della spesa (attraverso cui si misurano e si definiscono le quote di risorse economiche in corrispondenza con una determinata situazione di gravità) o invece rappresenta uno strumento che favorisce invenzione organizzativa e ibridazione di saperi, per rendere possibili progetti più ampi e partecipati rispetto a quelli tradizionali? Quando e a che condizioni si tende verso la prima o la seconda situazione? Il BdS induce chi lavora nei servizi a razionalizzare le risorse economiche utilizzabili all’interno del paradigma terapeutico-riabilitativo esistente, dominato dal modello medico, oppure induce a modificare le prassi e le culture terapeutico riabilitative introducendo elementi di creatività, demedicalizzazione, autodeterminazione dell’utenza, valorizzazione delle relazioni e dei saperi informali?

Per rispondere a queste domande siamo partiti dalla constatazione che agli attuali metodi di monitoraggio è utile affiancare l’osservazione qualitativa sulle modalità di lavoro di operatori e operatrici, sui contenuti della loro prassi e sulle tematiche da essi contemplate nella lettura dei propri interventi. In questo contesto ci siamo interrogati sulla possibilità che la pratica della progettazione terapeutico-riabilitativa individualizzata potesse far emergere delle letture innovative rispetto al ruolo della cooperazione sociale, della comunità e dell’utente in un approccio partecipativo1.

L’inserimento in un progetto di Budget di Salute

La selezione dell’utenza da inserire in BdS è un tema già individuato come problematico nella letteratura nazionale2: i dati italiani mostrano la limitatezza quantitativa dei BdS rispetto alla totalità della popolazione in carico. Nella sperimentazione di Bologna la scelta dell’utenza da candidare alla progettazione individualizzata è stata affidata alle singole equipe locali, sociali e sanitarie, che hanno selezionato 40 progetti (sui 51 proposti) da avviare dopo una verifica di fattibilità condivisa tra i responsabili sociali e sanitari e con il supporto del gruppo di monitoraggio3. Le discussioni svolte per presentare le proposte e verificarne la fattibilità sono state un’importante fonte di dati qualitativi per indagare in che modo chi lavora nei servizi definisce l’eleggibilità delle situazioni in cui applicare il BdS.

Nonostante la raccomandazione iniziale di concentrarsi su nuovi utenti per inserirli nella sperimentazione BdS, la discussione si è spesso focalizzata su casi già ampiamente conosciuti dai Servizi. La possibilità di realizzare “nuove” progettazioni ha stimolato nel personale la possibilità di re-immaginare progetti di presa in carico relativi a utenti i cui percorsi sembravano, dalle loro descrizioni, “bloccati”: in specifico, si è trattato di casi rispetto ai quali era sembrata inadeguata la classificazione mediante la formulazione diagnostica, esisteva un vissuto di fatica nello stimolare la compliance dell’utente, si era avvertito il bisogno di un intervento più complesso (che tenesse conto della rete relazionale), si era tematizzata la difficoltà dei precedenti interventi rispetto alle dimensioni evolutive dell’utente, ci si era interrogati sulla sostenibilità di lungo periodo di situazioni attualmente stabilizzate, ma condizionate da incognite relative al futuro e agli inevitabili passaggi di vita successivi nella biografia dell’utente (perdita di autonomia o di indipendenza economica, morte dei genitori, allontanamento dei figli e caregiver). In più occasioni era emersa la percezione di frammentarietà e assenza di comunicazione tra diversi interventi rivolti agli stessi utenti e il personale ha cercato di decostruire la compartimentazione delle tradizionali forme di presa in carico attraverso il confronto su un progetto unitario con il BdS.

La riflessione sull’identificazione dei casi “eleggibili” per il BdS ha permesso di approfondire le forme di categorizzazione dell’utenza e quanto queste possano essere limitanti rispetto ad una visione comprensiva della interazione circolare tra bisogni sanitari, sociali e comunitari. La distinzione tra casi “complessi” e “non complessi” (introdotta dai precedenti protocolli locali di integrazione sociosanitaira) è stata più volte messa in discussione durante le equipe multiprofessionali, aprendo alla riflessione sul rischio che la sovrapposizione di diverse tipologie di bisogni (sociale, sanitario, dipendenze patologiche) porti a deleghe e conflitti di attribuzione tra segmenti del servizio piuttosto che a una integrazione tra i loro sguardi. È emersa dal personale la richiesta di “strumenti per la valutazione oggettiva dei bisogni, clinici e sociali”, che consentissero di capire chi fosse “eleggibile per il BdS”. Tale richiesta, comprensibile in un contesto di sempre più stringente formalizzazione e razionalizzazione delle metodologie per l’integrazione sociosanitaria, va vista come una polarità in un continuum di cui all’altro estremo ci sono la possibilità di spazi di partecipazione per l’utente e di rappresentazione dei suoi bisogni in modo processuale.

Bisogni e obiettivi

Nei progetti esaminati l’area della “socialità” compare maggiormente nella descrizione dei bisogni e degli obiettivi, sia in co-occorrenza con le altre due aree “lavoro” e “abitare” sia come unica area di intervento (nella maggioranza dei casi). Leggendo le specifiche derivanti dalle schede di progetto e analizzando le discussioni in equipe, essa risulta un contenitore abbastanza ampio e opaco che sintetizza varie richieste dell’utenza e del servizio: si va dal bisogno di inserimento in contesti sociali accoglienti o protetti laddove l’utenza è caratterizzata dal riferimento alla fragilità delle reti sociali esistenti e da reti familiari sature di relazioni conflittuali, alla difficoltà di vivere dentro contesti assistenziali (esempio i Rifugi Notturni, nelle schede di progetto significativamente definiti “asili”). In alcuni casi viene espresso il bisogno di supporti educativi che sostengano la relazione con i Servizi di salute mentale o in generale sanitari, in particolare con il Medico di Medicina Generale, che risulta spesso una figura assente nella rete di chi manifesta bisogni nell’area socialità. In quest’area rientrano anche descrizioni dell’utenza con difficoltà economiche,  disoccupati, in condizioni di fragilità relative a problematiche fisiche e a problemi nella gestione della quotidianità; è inoltre descritto il bisogno di “supportare il paziente nell’assunzione di terapia farmacologica” in presenza di utenti con scarsa compliance.

Come viene redatto il progetto di Bds e le sue caratteristiche

È emersa l’abitudine dei Servizi ad arrivare al momento della valutazione di fattibilità con un progetto già pronto, cioè senza considerare che la definizione del bisogno è anch’essa una fase da condividere con gli altri soggetti, tra cui anche l’utente e la sua rete. Di conseguenza si è discusso della possibilità che il BdS venga utilizzato come dispositivo di razionalizzazione e riduzione della spesa da parte dei servizi pubblici, per l’attivazione di interventi assistenziali aggiuntivi finalizzati a “tamponare” la scarsità di risorse istituzionali, senza valorizzare la capacità progettuale né dell’utente e della sua rete né degli Enti di Terzo Settore.

È emerso il bisogno di formazione sugli aspetti operativi, anche quando sono stati considerati acquisiti gli aspetti teorici. È evidente che nei territori esistono diverse procedure operative e diverse tradizioni di integrazione sociosanitaria: questo influenza i modi con cui si immaginano le metodologie e i criteri di eleggibilità dell’utenza.

Un elemento ricorrente in tutti i Distretti è stato la richiesta da parte dei servizi che il BdS fosse una forma per estendere la presa in carico al sistema familiare dell’utente; solo in presenza di altri utenti della rete familiare già presi in carico si è potuto andare in questa direzione, altrimenti la personalizzazione si declina come stretta individualizzazione, rendendo quindi impossibile allargare gli interventi alla rete familiare.

Il tema della “occupabilità” e di come essa possa essere ripensata e supportata oltre gli strumenti disponibili è emerso spesso nelle discussioni focalizzate sull’area “lavoro”. In particolare, sono state affrontate varie situazioni di persone che hanno già svolto senza successo percorsi di inserimento lavorativo.

Sul rapporto con la cooperazione, è stato più volte sottolineato come uno degli obiettivi del BdS sia quello di rendere equo l’accesso alle varie prestazioni su tutto il territorio della ASL, superando la precedente differenziazione per territori degli interventi attuati dalle cooperative.

Le situazioni inappropriate

Undici richieste di attivazione del Budget di Salute sono state definite inappropriate durante la sperimentazione. Si trattava di utenti “difficili” (‘‘è sfuggente“, ‘‘usa i Servizi solo in modo strumentale”, “senza consapevolezza di malattia”, “non compliante” come veniva detto nelle equipe). Anche se nessuna di queste proposte è esitata in un PTRI (“la progettazione del BdS con l’utente presuppone l’esistenza di una pregressa alleanza terapeutica” si è detto spesso in questi casi), le discussioni svoltesi durante la valutazione di fattibilità hanno dato modo di riflettere su quanto spesso i comportamenti problematici dell’utenza – che nel personale provocano vissuti di malessere – segnalino contraddizioni tra domanda ed offerta di servizi.

Infatti, di fronte a utenti non perfettamente coincidenti con la tipologia standard del target preso in carico dal Servizio, esistono difficoltà di aggancio che da una parte possono essere lette come derivanti da caratteristiche proprie dell’utente stesso (i comportamenti problematici sottolineati nelle equipe), ma, d’altra parte, la discussione aperta da una possibilità progettuale nuova permette di leggere come legate ai limiti dell’offerta o delle modalità di accoglienza e incontro del Servizio stesso.

Il gruppo di monitoraggio ha cercato di limitare le situazioni in cui i PTRI venivano ipotizzati come sostitutivi di interventi che potrebbero essere già svolti da ciascun Servizio, ma non vengono svolti per carenza di personale. Il caso tipico è la richiesta di BdS per attivare un intervento educativo domiciliare “senza prospettive evolutive”, rivolto solo al mantenimento o alla stabilizzazione, per un affiancamento individuale necessario a sostenere il routinario accesso al Servizio in assenza di altre ipotesi inclusive o emancipatorie.

Il budget di salute con utenti minorenni

Nell’elaborazione dei BdS da parte della Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’età evolutiva è emerso il tema del carattere mutevole dell’utenza, della sintomatologia fluida, del disagio relazionale e familiare. Il personale sanitario ha parlato del “timore di definire l’identità di disabile con una certificazione precoce”, dei “rischi dell’etichettamento” in situazioni caratterizzate da “quadri diagnostici instabili, molto influenzati dalle situazioni di contesto”. Uno dei principali stimoli alla richiesta di attivazione di BdS su minori è determinato dal bisogno di costruire progetti di continuità con i Servizi per adulti. Interessanti riflessioni sulle caratteristiche dell’ambiente e le possibilità di incidere su di esso sono emerse in occasione di nuclei familiari con più soggetti presi in carico e di soggetti in rapporto con la scuola.

Coinvolgimento e partecipazione dell’utente, della famiglia e della comunità

In occasione delle discussioni in equipe gli operatori hanno riconosciuto: “i passaggi con l’utente e la famiglia di solito sono vissuti solo come una formalità”, “non siamo preparati ad interagire con utente e famiglia nella progettazione”, “soprattutto con l’utente che non vuole interventi intrusivi nella sua privacy”. La partecipazione delle associazioni di utenti e familiari potrebbe costituire un elemento qualificante nello sviluppo di progettazioni terapeutico-riabilitative personalizzate, ma è ad ora inesistente perché tra gli Enti di Terzo Settore coinvolti nelle progettazioni individuali vengono considerati solo gli Enti Gestori individuati dall’appalto. Rispetto alla difficoltà di coinvolgimento molti operatori sentono il bisogno di “discutere di risorse e confrontarsi tra Servizi prima di incontrare l’utente”; si teme che mostrare all’utente e alla famiglia una fase di discussione, quando non di aperto contrasto, tra sociale e sanitario o con le cooperative, possa essere fonte di sfiducia e indebolire l’alleanza terapeutica.

Anche quando la richiesta di intervenire sulla comunità di riferimento è stata esplicitamente formulata da operatori di uno o più Servizi proponenti, non si è mai giunti a prefigurare, tanto meno a definire, che tipo di operatività potesse avere un intervento pratico di comunità. Anche in caso di utenti le cui caratteristiche sembravano esplicitamente richiedere un’attenzione in questa direzione (frequentazione di compagnie probabilmente abusanti, vita sociale limitata a contatti di quartiere caratterizzati da comportamenti problematici/abuso di sostanze/creazione di allarme sociale presso gli altri abitanti), non si è mai esplicitamente ipotizzato un intervento di mediazione pratica tra l‘utente e la comunità. Il gruppo di monitoraggio ha ribadito che la definizione di progetti con le risorse comunitarie può anche attivare relazioni con soggetti che non agiscono dietro compenso economico, ma questo non è mai avvenuto nella sperimentazione.

Conclusioni

Rispetto alle domande iniziali, la nostra analisi ha fornito una prima serie di risposte: la comunità, l’utenza e la rete informale risultano ancora molto lontane dalle forme di coinvolgimento auspicate; la coprogettazione non riesce ancora a svincolarsi dalla logica prestazionale che si limita a quantificare gli interventi educativi, mentre i soggetti del territorio diversi dagli enti erogatori individuati per appalto non vengono ancora considerati partner utili alla coprogettazione terapeutico-riabilitativa. Il ruolo della cooperazione sociale in questo processo di cambiamento andrebbe ulteriormente approfondito. Le forme di integrazione sociosanitaria sono molto contesto-dipendenti: nei territori in cui ci sono forme consolidate di dialogo tra personale sociale e sanitario si approfondisce anche la capacità di lettura dei bisogni complessi, calano i conflitti di attribuzione e si flessibilizzano le forme di incontro con l’utenza.

Complessivamente, abbiamo tratto da questa prima fase della ricerca utili indicazioni per monitorare una possibile deriva a cui va incontro lo strumento del Budget di Salute: venire identificato come mero indice quantitativo delle risorse economiche utilizzabili, senza una adeguata attenzione al miglioramento dei processi istituzionali, al rapporto con la comunità e ai desideri dell’utenza, in una traiettoria orientata solo alla razionalizzazione e alla riduzione dei costi.

Si tratterebbe allora di uno strumento meramente tecnico per la gestione della “stabilizzazione”, destinato a categorie di utenza con bisogni “complessi”, ma non nel senso che per essi viene sviluppato un nuovo livello di integrazione e intelligenza collettiva per immaginare forme di cura ed emancipazione, ma nel senso che i servizi non producono per essi reali forme di emancipazione e si limitano a giustapporre prestazioni territoriali, senza modificare l’orientamento assistenziale dei percorsi, accontentandosi di una loro “gestione” fino a che non arrechino allarme sociale.

Tuttavia, se la sperimentazione è accompagnata da forme di ricerca e intervento partecipative ed emancipatorie, il BdS rappresenta per ciascuno dei Servizi coinvolti un’opportunità per guardare a se stesso, alla propria offerta e alle proprie dinamiche di selezione dell’utenza, una ‘‘lente” che permette di vedere con maggiore chiarezza la relazione esistente tra caratteristiche dell’offerta e comportamenti dell’utenza. Questa relazione, se attentamente analizzata, può essere un’occasione importante di riflessione e miglioramento per tutta la rete.

  1. Dal punto di vista metodologico abbiamo osservato le schede di progetto e le discussioni svolte in equipe durante le riunioni congiunte di professionisti sociali, sanitari e del terzo settore per indagare come è stata realizzata nella pratica l’integrazione sociosanitaria, come si è svolta la progettazione di interventi riabilitativi, se sono emersi contenuti orientati al coinvolgimento e all’autonomia dell’utenza e al confronto con le reti sociali. Per l’analisi delle discussioni di equipe ci siamo ispirati alla griglia degli elementi qualificanti, dei valori orientativi e degli aspetti attuativi del BdS, formalizzati dalle Linee Guida Nazionali prodotte nel 2021 dalla Conferenza Stato-Regioni. Il gruppo di ricerca composto da chi scrive ha partecipato a tutti gli incontri di progettazione per ciascun distretto, 8 incontri del Gruppo di Lavoro Interistituzionale e 4 incontri di supervisione. In ogni equipe multidisciplinare hanno partecipato operatori e operatrici del Servizio Sociale Territoriale e delle locali articolazioni del DSM nelle fasi preliminari, per poi coinvolgere l’utenza e la cooperazione sociali nelle fasi successive di ciascuna progettazione. Sul corpus delle discussioni svolte nelle equipe è stata condotta un’analisi tematica (Braun & Clarke, 2006) estrapolando 4 nuclei: 1. Processo, 2 Cultura organizzativa del servizio, 3. Coinvolgimento e  partecipazione dell’utente e della famiglia, 4. Lavorare nella e con la comunità.
  2. Per una sintesi dei temi attualmente dibattuti sul Budget di Salute si veda “Budget di Salute (o di Progetto)” a cura di Osservatorio Nazionale Politiche Sociali, su Welforum.it
  3. Oltre a chi scrive, il gruppo di monitoraggio è composto da rappresentanti del Dipartimento di Salute Mentale e della Direzione delle Attività Socio Sanitarie della AUSL di Bologna e da rappresentanti dell’Area Welfare del Comune di Bologna.