L’Assistente Sociale nei Centri di Accoglienza per migranti

Verso un profilo etno


All’interno di un percorso di formazione-accompagnamento per operatori CAS (Centro di Accoglienza Straordinario) e SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), anno 2024-25, promosso dalla Prefettura di Alessandria nell’ambito del Progetto FAMI AGORAL3, ci si è ripetutamente interrogati sulla specificità di ruolo e funzioni che possono essere implementate dagli assistenti sociali (AS) che agiscono in questi servizi di accoglienza.

Considerando che risulta ancora carente, nel panorama della letteratura  sul Servizio Sociale Professionale, un quadro di riferimenti teorico-metodologici declinabili nelle particolarità del lavoro dei CAS, abbiamo tentato di abbozzare alcune possibili tracce che speriamo utili. Utili anche nella prospettiva di avviare su welforum.it un dibattito aperto sia agli AS che a tutte le altre funzioni (direttori, mediatori culturali, educatori professionali, psicologi, operatori sociosanitari) impegnate a favore delle persone migranti.

Tenendo in considerazione le molteplici tematiche che rappresentano ciò che si affronta in questo scritto, si è scelto di suddividere i fuochi principali in tre articoli.

In questo primo articolo il focus riguarda la percezione di una scarsa, per non dire nulla, legittimazione di ruolo e funzioni dell’AS che opera all’interno dei CAS. Si esamineranno le cause percorrendo il crinale di alcuni specifici contrasti che questo professionista si trova ogni giorno ad affrontare. Si osserverà come in questo difficile percorso sia necessario disporre di una bussola, ovvero un dispositivo di orientamento che si genera da esigenze metodologiche e deontologiche interne alla professione sociale.

Nel secondo articolo si affronteranno, in termini analitici, i punti cardinali di tale bussola. Si  concluderà successivamente con un terzo articolo nel quale sarà ipotizzato un utilizzo di tale strumento, al fine di delineare un possibile profilo di etno-assistente sociale.

Questi contributi sono pertanto finalizzati a rispondere a precise domande che rimandano alla qualità del lavoro professionale svolto dall’ AS nei CAS:

  • questi servizi per migranti possono essere definiti in quanto comunità di pratica?
  • come – concretamente – i migranti richiedenti protezione internazionale (vds box) – con le loro storie, i loro sogni e desideri individuali e collettivi, le loro risorse – possono essere accompagnati al condividere uno o più interessi per qualcosa che fanno, o che possono fare?
  • come possono apprendere a farlo meglio mentre interagiscono tra di loro e tramite la presenza dinamica dell’AS (in una accezione “etno”)?
  • come questi interventi professionali dell’AS possono veder declinati in maniera adeguata i principi e i metodi di educazione degli adulti in quanto andragogia ?

Presenza forte, ma identità debole dell’AS all’interno dei CAS

Nella recente esperienza formativa sono emerse strutture di personalità e presenze forti di questi professionisti che ogni giorno mettono in campo competenze, motivazioni, generosi tentativi di declinare nella specifica organizzazione dei CAS il corpus teorico-metodologico interdisciplinare proprio del profilo degli AS. Presenze che sanno intrecciare emozioni e sentimenti in questo lavoro sociale di accoglienza-accompagnamento, che sanno applicare nel rapporto dare-ricevere un approccio di servizio sociale generativo, che sanno stare in un pur precario equilibrio tra ben-essere degli ospiti e loro ben-essere, che continuamente si misurano sui labili confini tra vita professionale e vita personale, che sanno padroneggiare il fattore tempo individuando correttamente le priorità.

Queste presenze forti, contemporaneamente e paradossalmente, risultano ancora delegittimate. Ciò avviene in quanto il riconoscimento, la formalizzazione del loro ruolo e le funzioni da parte delle istituzioni preposte (e a volte dai loro stessi ETS) sono carenti. In sostanza, secondo gli scriventi, si possono definire “identità deboli”,  in quanto l’attuale sistema di accoglienza non riconosce la specificità delle competenze proprie dell’AS. Queste ultime sono necessarie per la definizione e individuazione degli elementi di contesto nei quali inserire l’intervento personalizzato, per l’implementazione costante di lavoro di rete e in rete, per l’applicazione dell’ottica trifocale (i mandati istituzionali, professionali e sociali), per il rispetto del procedimento metodologico (dall’individuazione del problema fino alla valutazione dei risultati), per una corretta scelta tra i modelli teorici di riferimento, per il setting necessario al colloquio professionale e per una efficace mediazione semiotica.

Problematiche sull’etica dell’azione professionale

L’AS che lavora nei CAS è quotidianamente coinvolto nel fronteggiare una presa di decisione/i tra alternative sui tre mandati (professionale, istituzionale e sociale).  Se non propriamente definibili come dilemmi etici, sicuramente si profilano  situazioni di sensibile contrasto tra l’agire professionale e i principi deontologici.

Il mandato professionale impone ai professionisti del sociale, per etica e morale, di ‘’riconoscere la centralità e l’unicità della persona in ogni intervento; considerare ogni individuo anche dal punto di vista biologico, psicologico, sociale, culturale e spirituale, in rapporto al suo contesto di vita e di relazione (Cod. Deont. titolo II art 8). Tuttavia, la procedura utilizzata nei Centri di Accoglienza impone di applicare decreti di allontanamento e revoche dell’accoglienza di persone entro 24h al di là dell’ottenimento del permesso di soggiorno elettronico.

È il caso di Aziz, 25 anni del Burkina Faso, giunge in Italia nel 2023 e ottiene la protezione sussidiaria nell’aprile del 2025. Non rientrando più, ufficialmente, nella fattispecie del “richiedente asilo” e, secondo quanto stabilito a livello normativo, Aziz deve abbandonare il progetto di accoglienza. Tuttavia, le lunghe attese che intercorrono fra l’esito della Commissione Territoriale e il rilascio del permesso del soggiorno elettronico (che formalmente fornisce l’accesso al mondo del lavoro e dell’abitare) non sono congruenti con il progetto di vita e di autonomia di Aziz. Oggi, in attesa dei documenti e di un contratto a tempo indeterminato che gli permetta di affittare una casa, Aziz dorme su una panchina della stazione e svolge lavori saltuari.

Qui l’AS si trova dinnanzi ad una sostanziale inapplicabilità dei principi sopra enunciati e dei valori cardine della professione. L’unicità, la centralità e il rispetto della dignità della persona vengono disposti in uno stato di secondarietà a vantaggio della rigida normativa e dell’impersonale pratica procedurale.

Il mandato sociale degli AS che si occupano di persone immigrate è di complessa attuazione se il contesto sul quale si opera è scarsamente informato e poco flessibile al cambiamento. Ciò è riscontrabile in casistiche in cui il principio dell’autodeterminazione, prodromo del percorso di integrazione sociale, non ha i presupposti che gli permettano di manifestarsi. È il caso di situazioni in cui lo straniero si presenta agli sportelli del territorio e si trova in difficoltà a causa di un sistema burocratico-amministrativo non predisposto ad accogliere differenti lingue e culture. Così ci sentiamo dire “…non mandare il ragazzo da solo perché non capisce e io perdo tempo”.

In questo contesto ci si domanda: siamo veramente pronti ad accogliere? Noi professionisti abbiamo gli strumenti necessari?

È il caso di Fatima, 40 anni della Costa d’Avorio, giunta in Italia alla fine del 2024. Fatima comprende l’italiano, ma fatica ad esprimersi. Nel corso dei colloqui con le AS esprime il desiderio di frequentare un corso di cucina. L’AS prende contatti con il centro per l’impiego territoriale al fine di ottenere un appuntamento per la profilazione necessaria all’accesso dei corsi formativi. Inoltre, la professionista, nello svolgimento del suo mandato, incoraggia la persona a prendere contatti con l’agenzia formativa interessata, fornendone i recapiti. Nella settimana successiva, Fatima, entusiasta per questo nuovo inizio, si presenta all’ente formativo in autonomia per chiedere informazioni. L’AS sociale riceve una telefonata da parte delle operatrici dell’ente formativo tramite il cellulare di Fatima. Queste riferiscono complessità nel colloquiare con persone straniere a causa della barriera linguistica e che, per tali motivi, è necessario che non vi facciano accesso se non accompagnate. Fatima assiste alla telefonata. Fatima oggi si vergogna ad esprimersi e teme il giudizio altrui.

Anche in questo caso l’AS si trova dinnanzi ad una scelta. Deve decidere se ottimizzare i tempi assecondando richieste dell’ente formativo poco attente all’empowerment della persona;  oppure continuare a favorire il percorso di autodeterminazione tenendo in considerazione le tempistiche del singolo.

Per ciò che concerne il mandato istituzionale si osserva come, da un lato, le Prefetture – nelle procedure di affidamento di incarico agli Enti del Terzo Settore – riconoscono punteggi di merito alle organizzazioni che hanno in forza AS. Ma,  dall’altro lato, a livello formale, nei capitolati di appalto,  non identificano questi professionisti come tali, individuando solamente una figura generica definita “operatore sociale laureato”.

Nei primi mesi del 2025 è stato indetto un nuovo bando che non prevede la figura dell’AS come necessaria presenza all’interno di un Centro di Accoglienza. Questo bando non prevede, inoltre, orientamento al lavoro e alla formazione, riducendo anche l’operatore sociale a mero controllore del rispetto della conformità delle regole sancite dalla Prefettura territorialmente competente. È il caso delle scriventi che, ad oggi, non si sentono riconosciute professionalmente.

In un sistema operativo che si caratterizza secondo i traccianti ora sinteticamente descritti risulta evidente  la contraddizione tra complessità del bisogno sociale espresso dagli ospiti dei CAS (affrontare i loro traumi e le loro vulnerabilità multidimensionali, avere occasioni  di inserimento e di inclusione utilizzando il loro  potenziale di risorse e di entusiasmi) e sostanziale declassamento della figura dell’AS, ritenuta professionalità non necessaria.

Per affrontare tali complessità operative proveremo a stabilire “punti cardinali” e un ipotizzare un modello che possa fungere da bussola, da chiave operativa ed orientativa per l’AS sociale che agisce nel mondo dell’accoglienza.

Con questa intenzionalità, nel successivo articolo presenteremo ed approfondiremo un modello che abbiamo denominato A.T.E.N.A.