L’Assistente sociale nei Centri di accoglienza per migranti (Parte II)

Il modello A.T.E.N.A.


Nel nostro precedente articolo intitolato, pubblicato su welforum.it, L’Assistente Sociale nei Centri di Accoglienza per migranti (CAS): verso un profilo etno”, abbiamo evidenziato la scarsa legittimazione di ruolo e delle funzioni dell’assistente sociale (AS) che opera all’interno dei CAS. Abbiamo inoltre esaminato possibili cause, rilevando l’esigenza di disporre di una “bussola”, ovvero un dispositivo orientativo utile all’implementazione delle metodologie e deontologie proprie della professione sociale. In questo secondo articolo ne forniamo, in termini analitici, i punti cardinali costruiti su un modello che abbiamo denominato A.T.E.N.A.

Il territorio italiano è da diverso tempo caratterizzato da una dinamicità migratoria che, a vari livelli, sviluppa nella popolazione complessità definitorie, identitarie, politiche e sociali. La professione del servizio sociale, da sempre orientata all’integrazione e al supporto dei vulnerabili, nei CAS (istituti con Circolare del Ministero dell’Interno n.104 del 8/1/2014), è messa duramente alla prova. Infatti, in queste strutture l’AS opera privo di linee guida che orientino l’utilizzo di metodi e strumenti propri della professione. Considerando tale carenza il professionista AS può tentare anche presso i CAS,

di mettere in atto interventi utili all’implementazione e al sostegno di percorsi di integrazione a favore dei singoli, delle famiglie e dei gruppi vulnerabili” come indicato dalla legge 23 marzo 1993, n.84 Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’albo professionale.”

Ma sorge spontanea la domanda: cosa si intende per “interventi utili”?

Una risposta ovvia potrebbe riferirsi genericamente al praticare interventi volti all’integrazione. Si, ma quale integrazione ? Sicuramente appare necessario sviluppare una ampia e articolata riflessione critica sul concetto di integrazione al fine di evitare che integrazione si riduca ad una mera pratica di assimilazione; quindi orientarsi verso quei concetti fondamentali che considerano l’“altro”, lo “straniero migrante” una risorsa preziosa che arricchisce i colori delle nostre comunità.

Un AS che in un CAS si occupi di integrazione con un orientamento interculturale, capace di mettere in discussione l’approccio assimilazionista, deve quindi agire nelle logiche ben esplicitate nel Nuovo Dizionario ai lemmi “servizio sociale e cooperazione allo sviluppo” (Roberta T. Di Rosa) ed in particolare “servizio sociale e (im)migrazione” (Elena Spinelli) ove, richiamando anche vari altri autori, si afferma chiaramente che

la competenza del servizio sociale con la popolazione immigrata è fondata sull’abilità di sostenere l’ambiguità di dare spazio alle differenze sapendo che esiste un problema di mutua comprensione che va affrontato. Differenti sono anche le singole persone, perché ognuna costruisce i propri riferimenti di senso in modo originale, ha una storia “la” e poi “qui”. Non riconoscere le differenze è come preparare la strada al razzismo.”

Per applicare concretamente questi indirizzi nel lavoro professionale presso i CAS, abbiamo provato a costruire un rifermento che denominiamo MODELLO A.T.E.N.A.

Atena, come la dea greca. E come questa ci piacerebbe che tale modello fosse “bussola” e generatore di saggezza. Lo raffiguriamo graficamente su di una rosa dei venti rivisitata riposizionando i quattro punti essenziali che un professionista del sociale deve porre nell’operato quotidiano per ottenere un’integrazione, un’accoglienza-accompagnamento (De Gregori, Gui, 2012) che sia quanto più rispettosa dei diritti e doveri delle persone, della professione e della società.

A come Accoglienza – Accompagnamento

’’Ma quando stava per entrare nella bella città gli venne incontro Atena, la Dea glaucopide [..] Il divino Odisseo si fermò di fronte a lei e le chiese – Figlia, puoi guidarmi alla casa del famoso Alcinoo, che regna su questa gente? Io arrivo qui come uno straniero sventurato; vengo da una terra molto lontana e perciò non conosco nessuno degli uomini che abitano questa città e questi campi”. (Odissea, Omero, Libro VII)1

Il concetto di accoglienza è stato posto al centro della metaforica rosa dei venti, in quanto non va considerato come uno dei punti cardine con cui orientarsi, ma come il noumeno2 pulsante che deve muovere l’azione sociale stessa.

Come abbiamo visto, la realtà dei CAS prevede, nella maggioranza dei casi, un’attesa di due-tre anni per la Convocazione in Commissione; un diniego alla richiesta di asilo apre a un ricorso in Tribunale a distanza di ulteriori due anni ed infine un possibile riconoscimento di protezione (internazionale/ sussidiaria/speciale). In tale contesto, agire l’accoglienza significa riempire quello spazio bianco che esiste tra l’arrivo in un CAS e l’esito di un ricorso. Per un migrante che abbia presentato domanda di asilo ciò significa tre, quattro, cinque anni caratterizzati da dubbi, domande, ritardi, non detti, occasione lavorative perse a causa di permessi di soggiorno temporanei a breve scadenza, interminabili attese davanti alla questura, ritardi nelle iscrizioni al SSR, ecc.

L’accoglienza nei CAS si delinea pertanto come una fase determinante per la presentazione e l’inserimento delle persone nel tessuto sociale e territoriale di riferimento, di apprendimento di norme e consuetudini che saranno poi consolidate nel futuro. Accoglienza-accompagnamento significherà creatività, saper presentare alla persona un ventaglio di possibilità e azioni in attesa della Commissione Territoriale. Così, l’accoglienza in un CAS impegna il professionista sociale ad accompagnare la persona ad individuare le proprie risorse al fine di potenziarle e identificare quelle residue per poter costruire, congiuntamente, un percorso che favorisca integrazione e inclusione nella società ospitante. Dunque, in un CAS il professionista competente è colui che sa accogliere storie, vissuti e necessità, al fine di delineare un percorso sostenibile, a prescindere dall’esito della Commissione, e senza pregiudizio.

….come fecero i Feaci quando Odisseo naufragò, accogliendo ed ascoltando la storia di uno sconosciuto, senza sapere ancora che si trattasse del re di Itaca

“(…) poiché alla nostra città, alla nostra terra sei giunto, non ti mancheranno le vesti né nessun’altra cosa di ciò che è giusto che riceva un supplice infelice’’. (Odissea,Omero, libro VI)

T come Tempo

Il tempo rappresenta un fattore prezioso e predominante nella concettualizzazione occidentale di lavoro ed operatività, ma non sempre ciò depone a nostro favore. Nella nostra “bussola’’ il tempo va inteso come rispetto dell’altro. Una persona giunta in Italia dopo un travagliato viaggio, composito di traumi, violenze, povertà ed incidenti, ha bisogno di un “suo” tempo per curare le proprie ferite, per elaborare e tornare a guardare avanti. Accogliere significa “ospitare” il tempo dell’altro, conciliando le necessità più “tecniche” dell’operatività quotidiana con i tempi della persona. Gran parte del lavoro del professionista richiede infatti di imparare a mediare tra le imposizioni burocratiche, scandite dal tempo e le tempistiche di persone non abituate a farsi dominare dall’orologio.

Il percorso stesso che porterà operatore e beneficiario a comprendere e mediare le rispettive conoscenze e concezioni temporali, richiederà… tempo, poiché parlare di tempo significa parlare di rispetto e difesa di un lavoro di qualità che spesso viene a mancare, soffocato dalla frenesia di coprire molti ruoli e svolgere molteplici incarichi, in nome di maggior efficienza e produttività.

L’AS competente deve saper difendere il valore del tempo dedicato in quanto tempo ad alto significato. Solo in questo modo diviene realistico che

L’assistente sociale si adopera affinché l’azione professionale si realizzi in condizioni e in tempi idonei a garantire la dignità, la tutela e i diritti della persona, anche in funzione del livello di responsabilità che egli ricopre. Non accetta condizioni di lavoro che comportino azioni incompatibili con i principi e i valori del Codice, che siano in contrasto con il mandato sociale e professionale o che possano compromettere la qualità e gli obiettivi degli interventi”. (Cod. deont. Tit. III art. 19).

E come Empowerment

È determinante lo sviluppo dell’empowerment della persona – soggetto attivo, portatore di interessi e arricchimenti, in grado di agire il proprio cambiamento. Il lavoro dell’AS è delicato, costantemente in bilico tra il supporto/il sostegno e l’autodeterminazione della persona. Proprio per questo riteniamo che lo strumento di una bussola possa essere esplicativo in quanto rimanda al dispositivo di navigazione che fornisce risposte predeterminate in relazione alla direzione da raggiungere, sostituendo la possibilità della persona di indirizzarsi autonomamente. L’AS fornisce i punti cardinali verso cui orientarsi, senza sostituirsi alla volontà e al ragionamento del beneficiario, ponendo nelle mani di ognuno gli strumenti per giungere alla propria meta, dando al singolo le capacità di personalizzare il proprio percorso.   

L’empowerment, nell’accoglienza-accompagnamento, è quindi declinabile come un processo attraverso il quale una persona o un gruppo disempowered può recuperare l’hopefulness. Obiettivo dell’AS nel CAS, e nell’operato con i richiedenti asilo, diviene quello di produrre un cambiamento nell’empowerment stesso: da processo a prodotto, quest’ultimo come esito di un andamento evolutivo di apprendimento dell’hopefulness.

Nell’accoglienza l’empowerment maggiormente promosso è quello individuale, nell’ottica di favorire un controllo sul senso e il significato proprio delle azioni, autoefficacia, positività etc. Non di meno è la promozione dell’empowerment di comunità che nel CAS ha l’obiettivo di favorire l’acquisizione delle loro vite, la partecipazione democratica della comunità ospitante e comprensione critica del loro ambiente (Perkin, 2010).

N come Network

Frequentemente l’AS assume una funzione di controllo nella fornitura delle prestazioni di welfare, in un contesto in cui i diritti non sono autoevidenti o assoluti, ma sono associati strettamente agli status giuridici e si localizzano su un terreno sdrucciolevole, soggetto a negoziazioni politiche (Spinelli, 2005). Dunque, spesso gli AS si trovano a dover operare in un contesto in cui i diritti sono continuamente negoziati con, in alcune circostanze, la soppressione o la negazione dei diritti e con l’uso di determinate misure come meri mezzi di controllo sociale, nonché barriere concrete opposte nei confronti delle rivendicazioni di diritti.

Condividere le conoscenze e costruire quindi una rete funzionale sul territorio – tra terzo settore, istituzioni pubbliche e private – risulta pregnante e parte del lavoro degli AS al fine di poter collaborare in maniera funzionale, ampliando i saperi del servizio sociale declinato nell’ambito dell’immigrazione, orientato ad una corretta integrazione delle persone.

Evidentemente suddette skill sono multiformi e multidisciplinari3, predisposte alla comunità di pratica e alla costruzione di buone prassi di educazione e sensibilizzazione delle comunità stesse. Predisposte, inoltre, ad informare funzionari pubblici che, non di rado, posseggono un insufficiente conoscenza dei dettagli della complessa materia immigrazione.

A come Advocacy

L’AS è una figura utile per la definizione/individuazione degli elementi di contesto, nei quali inserire l’intervento di accoglienza. Per competenze professionali, infatti, l’AS è in grado di porre il beneficiario nella condizione di poter esprimere i propri bisogni, di facilitare la presa in carico da parte dei servizi del territorio, di fornire adeguati interventi di orientamento. Il professionista AS che opera nell’attuale sistema di accoglienza dei migranti implementa la metodologia che ne caratterizza la professione stessa in un’”ottica trifocale” (Dal Pra – Ponticelli, 1987) con un “saper agire” che mantiene in equilibrio il proprio triplice mandato: istituzionale, professionale e sociale.

Ma l’implementazione di questo triplice mandato nella specifica realtà dei CAS si rileva altamente complesso, sia rispetto ai bisogni dei beneficiari, sovente lontani da quanto normato dai bandi prefettizi, sia rispetto ai territori che presentano cornici politiche e sociali spesso confuse e contraddittorie. Così il sapere e il saper fare dell’AS si colloca all’intersezione tra le situazioni reali e le estese complessità che le politiche sociali non sembrano capaci di governare.

Advocacy deve quindi significare visione “politica” degli operatori CAS (Mormiroli, Scancarello, 2025) ed in particolare dell’AS in quanto interprete, ogni giorno, di

esperienza umana appagante, conforme alle tue aspirazioni e desideri più veri” e “impegno di elevate e costantemente aggiornate competenze volto a migliorare la vita delle persone e delle comunità” (CNCA, 2023)

L’Accoglienza-Accompagnamento come fuoco centrale essenziale, il Tempo, l’Empowerment, il Network e l’Advocacy sono dunque stati individuati come i punti cardinali di una bussola che dovrebbero orientare l’agire dell’AS. Una bussola, da donare alle persone per le quali e con le quali si lavora, da aggiungere alla loro cassetta degli attrezzi per quando non saranno più in accoglienza. Una bussola che li aiuti a governare il vento e le onde delle incertezze del futuro, nella speranza che in quel mare, da cui sono giunti, non debbano tornarci più.

In base a questa proposta di modello operativo, nel successivo terzo articolo individueremo alcune possibili cornici per delineare un ipotetico profilo di etno-assistente sociale.

  1. Atena, dea della saggezza, è la protettrice del celebre migrante, Odisseo. Esule da una lunga guerra, fuggito da una città in fiamme, costretto a vagare per dieci lunghi anni per mare, venendo ‘’accolto’’ innumerevoli volte e innumerevoli volte tornando in mare rinnegato, naufragando ancora ed infine, proprio dal mare, giungendo a casa. Nonostante i numerosi naufragi Odisseo molte volte viene accolto con sospetto e violenza, conambiguità, se non addirittura rifiutato, ma altrettante viene ‘’accolto’’, ascoltato, accettato, curato, nutrito, amato.
  2. Nell’accezione kantiana di accoglienza è concetto dai caratteri problematici riferita a una realtà inconoscibile e indescrivibile che, in qualche modo, si trova “al fondo” dei fenomeni che osserviamo, sullo sfondo, al di là dell’apparenza (di come cioè le cose ci appaiono).
  3. Oltre ai quadri disciplinari propri del professionista AS, specifiche riguardanti aspetti amministrativi e legali dell’immigrazione, funzionamento dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), diritto del lavoro, i minori soli non accompagnati (MSNA), la formazione professionale, le locazioni immobiliari, ecc.