L’attivazione nelle politiche abitative locali per i giovani

Due esperienze a confronto tra Milano e Torino


Maria Chiara Cela | 5 Agosto 2025

Nell’articolo che segue condivido alcune riflessioni della mia ricerca di dottorato, nata dall’urgenza di mettere in discussione le pratiche quotidiane della mia professione in un momento di profonda trasformazione del contesto e dell’approccio ai temi abitativi. Alcune di queste riflessioni sono anche contenute nel capitolo XI del volume “Quale welfare dopo la pandemia? Processi e politiche” curato da Lavinia Bifulco e Maria Dodaro e pubblicato da Il Mulino nel 2024.

 

Negli ultimi venti anni circa, le politiche abitative hanno subito rilevanti cambiamenti coerentemente con il ridisegno dei sistemi europei di protezione sociale avviato negli anni ’80. Nei nuovi assetti di welfare, l’offerta dei servizi è stata aperta alle organizzazioni private e l’attivazione dei cittadini è diventata fondamentale per accedere ad alcune opportunità di welfare. Ai cittadini viene sempre più affidata la responsabilità di occuparsi attivamente della propria protezione sociale. La richiesta di una maggiore auto-responsabilizzazione è intesa anche come impegno attivo per il benessere delle comunità locali, in particolare nei quartieri più vulnerabili.

La diffusione del concetto di attivazione nelle politiche di welfare è coerente con la centralità che la dimensione locale ricopre nel design e nell’implementazione delle politiche pubbliche. Da un lato le politiche guardano ai contesti locali in quanto scala in cui i problemi si manifestano più intensamente; dall’altro, assumono che le risorse locali siano le migliori leve da attivare per risolvere tali problemi. Tra queste, sono annoverati anche i cittadini di un determinato territorio.

Il welfare abitativo per i giovani è un ambito in cui l’attivazione è più spesso promossa.

Le giovani generazioni affrontano una maggiore precarietà lavorativa con impieghi più instabili e poco remunerati. L’instabilità del lavoro influisce sull’accesso alla proprietà della casa, mentre i sistemi di protezione sociale sono poco attenti ai bisogni abitativi delle giovani generazioni, soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale. Pertanto, i giovani, soprattutto quelli con risorse economiche scarse e volatili, sono costretti a rivolgersi al mercato privato dell’affitto, che è spesso più costoso, selettivo e di bassa qualità, sperimentando condizioni abitative precarie e spesso indesiderate. In questo contesto, molte organizzazioni stanno sperimentando soluzioni innovative per offrire alloggi più convenienti ai giovani. Queste sperimentazioni riguardano diversi aspetti della definizione e dell’attuazione delle politiche (governance, finanziamento, definizione degli obiettivi, caratteristiche dell’offerta, definizione del target, ecc.). In particolare, la ridefinizione dei tradizionali criteri di assegnazione e delle condizioni della locazione è una delle strategie utilizzate per aumentare le opportunità per i giovani di accedere ad alloggi pubblici e sociali. È il caso, ad esempio, di alcuni nuovi progetti ispirati alla figura del residente attivo. In questi casi, gli interventi abitativi forniscono soluzioni abitative temporanee a giovani che si impegnano in lavori di comunità in quartieri vulnerabili. I giovani residenti attivi possono accedere ad alloggi a condizioni di prezzo vantaggiose se soddisfano requisiti specifici e se si impegnano formalmente a contribuire al benessere delle comunità (condizionalità).

Il “residente attivo” come nuova figura di policy

La figura del “residente attivo”1 è costruita socialmente facendo riferimento ad un insieme sfaccettato di caratteristiche personali:

  • è intraprendente: ha sviluppato capacità collaborative e relazionali che possono essere utili per svolgere attività di comunità e promuovere attività di mutuo sostegno nei quartieri vulnerabili;
  • ha un atteggiamento prosociale: i tratti distintivi della sua personalità sono la socievolezza, l’apertura e la capacità di adattarsi a situazioni complesse e diversificate;
  • è impegnato: desidera essere coinvolto e contribuire al benessere della sua comunità e dei suoi vicini.

Questi tratti personali sono solitamente combinati con criteri oggettivi che definiscono il bisogno abitativo (ad es. condizione economica, età, tipologia familiare) per identificare le condizioni di accesso al patrimonio abitativo sociale. Pertanto, i criteri di assegnazione tradizionali devono essere adattati per poter considerare tratti soggettivi nel processo di selezione. Spesso gli operatori sociali utilizzano le precedenti esperienze di attivazione (ad es. affiliazione a organizzazioni di volontariato, coinvolgimento informale con i precedenti vicini) come indicatori delle caratteristiche personali che ricercano e valorizzano nella scelta dei futuri residenti. La rilevazione e valutazione di questi tratti personali viene effettuata tramite questionari o interviste condotte dai gestori degli alloggi.

Da questo quadro emergono due preoccupazioni. In primo luogo, il processo di valutazione rischia di validare l’immagine predefinita del residente attivo che i policy makers e i gestori degli alloggi hanno in mente, lasciando poco spazio alla ridefinizione di questa categoria sociale in corso d’opera. Le condizioni contestuali in cui l’attivazione viene praticata possono essere molto diverse dalle precedenti esperienze dei richiedenti. Il rischio è quello di considerare le loro caratteristiche personali come tratti personali fissi che possono essere praticati e portare agli stessi risultati indipendentemente dagli ambiti in cui si sviluppano.

In secondo luogo, queste modalità di valutazione implicano un certo grado di discrezionalità da parte degli operatori responsabili della selezione dei residenti attivi. Meccanismi di condizionalità e richieste di attivazione interagiscono con la discrezionalità nei processi di assegnazione, rischiando di generare nuove linee di esclusione nell’accesso all’edilizia abitativa a prezzi sostenibili.

Ci sono, poi, punti di attenzione di portata più ampia. Soprattutto in quei contesti in cui lo stock di edilizia popolare e sociale è scarso, queste modalità di gestione possono contribuire a ridurre ulteriormente lo stock disponibile per i più poveri, attraverso la sottrazione di appartamenti dalle normali graduatorie per assegnarli a specifiche categorie di beneficiari o la valorizzazione, nel processo di selezione, di determinati tipi di abilità e risorse personali ritenute più efficaci per l’inclusione sociale. Inoltre, l’utilizzo di criteri di ammissibilità come la motivazione, le attitudini e capacità personali nella selezione dei potenziali residenti traccia nuove linee di demarcazione e rende le politiche abitative più selettive nella distribuzione dei diritti assistenziali sulla base di criteri soggetti ad elevata discrezionalità. I tratti della personalità non sono più neutri nell’accesso al welfare, ma acquisiscono così uno statuto sociale e politico che contribuisce a definire le condizioni nelle quali la cittadinanza può e deve essere esercitata.

La ricerca sul campo: i casi studio a Milano e Torino

Nella mia ricerca ho studiato due casi simili sviluppati a Milano e Torino e sono andata a guardare come le diversità nel policy design e nelle condizioni del contesto socioeconomico, storico e politico hanno generato differenze nelle pratiche di attivazione. In questo articolo non potrò riportare gli esiti in maniera esaustiva per motivi di spazio, ma proverò ad accennare ad alcuni elementi caratterizzanti i due casi, che fanno emergere tensioni e domande in linea con quanto introdotto nei paragrafi precedenti.
Prima di entrare nel merito dell’analisi, riporto qui di seguito le caratteristiche principali dei due casi studio, il progetto Ospitalità Solidale a Milano e il programma Coabitazioni Giovanili Solidali a Torino. Entrambi hanno un duplice scopo. Affrontare la mancanza di alloggi a prezzi accessibili per i giovani da un lato e promuovere la coesione sociale nei quartieri popolari, facilitando lo sviluppo di relazioni di sostegno tra i residenti attraverso l’attivazione di abitanti giovani, dall’altro. La strategia utilizzata per raggiungere gli obiettivi di policy è l’assegnazione di alloggi a prezzi accessibili a giovani a fronte del loro coinvolgimento attivo nel lavoro di comunità nei contesti di edilizia pubblica dove gli appartamenti sono localizzati.
Ospitalità Solidale è un progetto pilota che offre un’abitazione a basso costo (380€ al mese) in due quartieri di edilizia popolare di Milano a giovani tra i 18 e i 30 anni per un periodo di tempo limitato (da 6 mesi a 4 anni). In cambio, i giovani si impegnano a dedicare parte del proprio tempo (quantificato in 10 ore al mese) alla realizzazione di attività di vicinato solidale nel proprio caseggiato e nel quartiere. Ai 24 appartamenti, si aggiungono 2 spazi ad uso diverso al piano terra con l’obiettivo di aprire luoghi di incontro con il quartiere. Questi spazi rappresentano una risorsa essenziale per promuovere l’interazione sociale sia tra i giovani, che tra loro e gli altri abitanti del quartiere. In questi anni negli spazi comuni e nei cortili delle case sono state organizzate diverse attività, più o meno strutturate: pasti condivisi, cineforum, aiuto compiti, corsi di italiano per donne straniere, mercatini di seconda mano.
Le Coabitazioni Giovanili Solidali sono una delle linee di azione che compongono il multiforme programma del Comune di Torino per promuovere il mix sociale. Il progetto pilota risale al 2006 ed è stato promosso dall’associazione giovanile Acmos. Volontari sotto i 30 anni beneficiano di un affitto ridotto e, in cambio, sono tenuti a dedicare 10 ore settimanali al potenziamento delle interazioni tra gli inquilini, supportandoli nell’accesso ai servizi sociosanitari e nello sviluppo di comunità. La permanenza può durare da un minimo di 1 anno ad un massimo di 3.
Progressivamente dal 2008 sono state avviate altre sei Coabitazioni. Nel 2020 i primi sette progetti sono stati ri-autorizzati da Comune e Regione fino al 2026 e altri due sono stati approvati per la prima volta. Le attività che i giovani volontari hanno svolto nel corso del tempo spaziano da modalità informali di entrare in contatto con le persone (ad es. aiutando gli anziani con le pratiche burocratiche) ad attività più strutturate progettate in base alle esigenze dei residenti (ad es. aiuto compiti) e alle carenze fisiche degli edifici (ad es. pulizia del giardino).

Un confronto e qualche riflessione finale

I modi in cui l’attivazione viene praticata a Milano dipendono dai molteplici obiettivi del progetto stabiliti dal Comune e dalle modalità organizzative degli enti gestori. Il coinvolgimento dei giovani residenti con i propri vicini assume principalmente la forma dell’esecuzione di attività di servizio, che generalmente sono carenti, seppur necessarie, nei quartieri più vulnerabili della città. La presenza di spazi comuni visibili e dedicati al progetto aiuta ad agganciare gli inquilini delle case popolari attraverso le attività che si svolgono al loro interno. Alcune condizioni dell’assegnazione, in particolare quella relativa alla permanenza a tempo, stridono con la richiesta di impegnarsi a contribuire al benessere della comunità, che necessita di tempi più distesi ed energie costanti. Di contro, la permanenza temporanea tutela i giovani residenti, che non sono operatori sociali professionisti e devono confrontarsi con situazioni complicate che possono portarli al burn out. La complessa stratificazione del progetto necessita di un elevato grado di gestione da parte degli operatori sociali dell’ente gestore nella pianificazione delle attività sociali, nella gestione del frequente ricambio dei giovani residenti e nel monitoraggio delle richieste di attivazione fatte loro. Tuttavia, questa infrastruttura sociale è essa stessa temporanea, perché il progetto ha una durata decennale e il suo seguito è soggetto a volontà politica e alle procedure amministrative.
A Torino, anche se le Coabitazioni sono gestite da diverse organizzazioni e sono localizzate in diversi quartieri, il Comune ha fatto un grande sforzo verso l’integrazione delle logiche e dei ruoli quando ha deciso di scalare il progetto pilota. Il ruolo attuale dei giovani residenti è la sintesi tra la prima esperienza di volontariato promossa dall’associazione Acmos e la logica istituzionale del Comune, secondo il quale uno dei compiti principali dei giovani residenti è quello di connettersi con gli altri servizi pubblici. Questa duplice caratterizzazione a volte crea tensioni per l’ambiguità e la complessità che comporta. Allo stesso tempo, la componente di volontariato spinge verso l’autogestione e un ruolo residuale dei professionisti nella gestione delle coabitazioni. Per quanto riguarda le attività di volontariato, il coinvolgimento avviene principalmente su scala micro, nel gruppo di pari e all’interno del perimetro residenziale con altri inquilini. Questa idea di relazioni di vicinato è coerente con la comprensione e l’obiettivo del Comune di intervenire chirurgicamente a livello di caseggiato o alla scala di quartiere per de-stigmatizzare, diversificandole, le comunità residenziali più vulnerabili.
Per concludere, propongo un nodo critico e una potenzialità da cui partire per continuare la riflessione su questa tipologia di progetti. Un nodo critico è rappresentato dal lavoro volontario, che va ad aggiungersi all’uso di nuovi requisiti e criteri di scelta degli inquilini in base alle attitudini e capacità personali, con esiti potenzialmente escludenti. La possibilità di usufruire di un’abitazione ad un prezzo agevolato a fronte di un impegno volontario, ma obbligatorio, rischia di distorcere la risposta al legittimo diritto alla casa di cui anche i giovani sono titolari, a prescindere dalle loro predisposizioni personali. D’altro canto, nell’azione delle organizzazioni titolari dei progetti si possono scorgere dei correttivi in questo senso: l’inclusione nei gruppi di giovani abitanti di profili più vulnerabili (ad es. neomaggiorenni in uscita da percorsi di comunità) e il supporto alla valorizzazione delle competenze messe in gioco e/o apprese nelle attività di vicinato solidale, così come delle reti di relazioni intessute durante queste esperienze, in un’ottica di crescita personale da spendere, eventualmente, anche nel proprio percorso professionale e di crescita personale.
Infine, questa particolare combinazione di fattori è l’occasione per provare a generare ricadute positive nei quartieri dove si inserisce, mettendo a frutto le energie che i giovani possono attivare nel rapporto con i vicini di casa e con le altre organizzazioni locali. Per fare ciò sono necessari le competenze e il ruolo di mediazione delle organizzazioni che gestiscono i progetti.

  1. Le mie riflessioni sulla figura del “residente attivo” possono essere lette in continuità con l’interpretazione sviluppata in diversi articoli da Igor Costarelli relativamente al resourceful tenant (si veda, ad esempio, Costarelli, I. (2017). Politiche abitative e mix sociale: quale posta in gioco per le comunità?. Città in controluce, (29/30), 93-103.)