L’esperienza dei genitori di fronte alle cause e alla diagnosi di autismo dei figli


Chiara IvaldiPaolo Guidi | 31 Ottobre 2017

Ogni genitore desidera che il proprio figlio sia sano e cresca in buona salute; quando questo non avviene il progetto familiare collegato alla nascita subisce un drastico e doloroso ridimensionamento. Le ripercussioni sui genitori che vivono l’esperienza di vedere diagnosticato un disturbo dello spettro autistico al proprio figlio interessano i piani identitario, emotivo e sociale e sono state ancora poco studiate per orientare la relazione degli operatori dei servizi sanitari e sociali con i genitori. La ricerca origina nel contesto del servizio sociale ed esplora il vissuto di sedici famiglie in merito alle cause e al riconoscimento della sindrome dei propri figli. Le testimonianze dei genitori, raccolte nel 2013, vengono proposte per favorire la comprensione dell’esperienza del genitore e dei famigliari: il supporto dei genitori del bambino autistico, in quanto care-givers principali, dovrebbe essere un obiettivo centrale per la rete socio-sanitaria.  

Alcuni dati parziali

L’autismo è riconosciuto come una sindrome comportamentale; un quadro diagnostico per essere considerato sotto tale etichetta deve rispettare i criteri indicati dai manuali di riferimento che identificano come primo aspetto la ripetitività del comportamento, l’ossessione apparentemente immotivata nei riguardi di circoscritti interessi, la presenza di stereotipie e deficit nella reciprocità sociale ed emozionale (Rinaldi, 2013). Rilevazioni attendibili in merito all’incidenza dell’autismo in Italia non sono ancora ad oggi disponibili. Nel marzo 2016 sono state avviate le attività dell’osservatorio nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico da parte dell’Istituto Superiore di Sanità e il ministero della salute per effettuare una stima di prevalenza del fenomeno mediante un protocollo di screening condiviso a livello europeo; il programma della durata di 24 mesi è ancora in corso. Tuttavia alcune ricerche internazionali forniscono dati quantitativi sull’incidenza dell’autismo e possono orientare la lettura del fenomeno anche in Italia. Nel 2011 il rapporto ISTISAN del Ministero della salute italiano riportava il dato internazionale di 1 bambino con un disturbo dello spettro autistico ogni 150 (Veronesi e Chiarotti, 2011:4). Il Center for Disease and Control (CDC) americano indica un significativo incremento dell’incidenza dei disturbi dello spettro autistico nei bambini di quattro anni: in media 13,4 bambini su 1.000 (Christensen et al., 2016) presentano un disturbo dello spettro autistico, cioè 1 su 68 bambini.

 

Esplorare il vissuto dei genitori

La ricerca è interessata al vissuto dei genitori e  care-givers lasciando sullo sfondo i bambini e gli esperti del mondo sanitario, sociale ed educativo. La fase preparatoria della ricerca ha previsto l’avvio di contatti preliminari con alcune famiglie conosciute presso un centro riabilitativo per bambini con DSA. Le prime famiglie sono state individuate mediante i rapporti sviluppati dalla ricercatrice con alcune famiglie di un’associazione che attraverso i loro contatti hanno invitato altri nuclei con figli autistici a partecipare alla ricerca. I questionari sono stati spediti via mail nel corso del 2013. In tutto sono stati distribuiti 22 questionari e ne sono stati riconsegnati compilati 16. Le risposte dei questionari riportati nell’articolo non sono state modificate in nessun modo, neanche dal punto di vista ortografico.

 

Il dilemma dell’incertezza sulle cause

Le cause dell’autismo sono ad oggi sconosciute. Le aree indagate negli anni hanno riguardato diversi ambiti: fattori genetici, anomalie strutturali cerebrali, contesto prenatale, nello specifico l’età dei genitori alla nascita, le eventuali infezioni materne, il diabete in gravidanza, il contesto perinatale, ad esempio problemi gastrointestinali, problemi del sistema immunitario, allergie, l’esposizione dei bambini a droghe, i vaccini e metalli pesanti. Tuttavia la ricerca scientifica, oggi orientata maggiormente verso la genetica, non fornisce una risposta definitiva agli interrogativi di famiglie e medici con importanti ripercussioni anche sulle possibilità di intervento e trattamento.  

Riflessi sull’esperienza delle famiglie

L’assenza di una certezza medico-scientifica in merito alle cause del disturbo alimenta lo smarrimento nelle famiglie, e lascia spazio a svariate ipotesi come testimoniano le risposte al questionario. Fra il gruppo degli intervistati l’idea che i vaccini possano essere una possibile causa appare diffusa, pur non essendo esclusi altri fattori genetici e ambientali. Il seguente estratto riassume la posizione di alcuni genitori.

Secondo i medici la causa non è ancora conosciuta, c’è chi parla di predisposizione, di fattori genetici, di disturbi nelle aree celebrali, ma sono solo semplici teorie e nulla di dimostrato scientificamente. Io personalmente non so quale sia la causa, è una delle tante domande a cui chissà se un giorno riceverò una reale risposta, ma sta di fatto che se un bambino nasce sano e poi perde tutto ciò vuol dire che c’è qualcosa che ha danneggiato il suo organismo. Non nascondo che il mio pensiero principale va ai vaccini fatti in tenera età, ai metalli presenti in essi… (quest. n. 4)

  La validità di una possibile associazione causale tra la somministrazione dei vaccini e l’autismo è ancora in corso di studio, ma, ad oggi, non è stata evidenziata alcuna significativa correlazione. Indipendentemente dalla causa o l’insieme di fattori scatenanti l’autismo nel corso degli ultimi tempi si è affievolita comunque la critica nei confronti dei genitori, inizialmente individuati come una possibile origine del problema: oggi sono considerati soggetti indispensabili per assicurare l’efficacia di qualsiasi trattamento. Ai genitori viene riconosciuta l’importanza che hanno nel supportare i figli in famiglia e all’esterno anche in vista dell’adolescenza e della vita adulta (cfr.: Woodman et al., 2015). La partecipazione attiva dei genitori, ed inevitabilmente anche del resto della rete familiare la renderà più predisposta ad attuare comportamenti che possano favorire lo sviluppo delle abilità del bambino. Foglio Bonda (1987) sostiene che vi siano tre presupposti che rendono possibile ed efficace l’azione terapeutica svolta dai genitori: la loro reale disponibilità, il loro sviluppo personale e di coppia e la formazione teorica e operativa specificamente riferita al tema dell’autismo.

 

Il riconoscimento dell’autismo

Il percorso verso la definizione di una conoscenza diagnostica non è quasi mai lineare e soprattutto non immediata. In molti casi alcuni deficit o mancanze nel bambino conducono i genitori alla ricerca di conferme e di una diagnosi specialistica che si costruisce dopo un periodo di tempo, imponendo talvolta un adattamento tardivo alla situazione di disabilità (Sepe et al., 2014).  

Quando aveva due anni e mezzo, ha iniziato a perdere il contatto oculare e non rispondere più, ogni giorno dimenticava sempre più parole. (quest. n. 12) Mio figlio ha iniziato verso i 18 mesi a fare cose strane ad esempio far ruotare gli oggetti, guardare sempre fisso, tipo seguire una linea, e poi la regressione del linguaggio. (quest. n. 7) A 3 anni è stato inserito alla scuola dell’infanzia senza difficoltà, fino a fine novembre non sono stati segnalati problemi (…) poi ci sono stati 3 giorni in cui C. era aggressivo nei confronti delle maestre (mordeva, tirava i capelli, picchiava), poi (…) sono insorti altri comportamenti anomali (stereotipie) tipo girare su se stesso, correre sbattendo da una parte all’altra della classe, annusare i piedi e altre parti del corpo degli adulti, ripeteva intere frasi già sentite, il movimento di mani e piedi era aumentato, aveva paura di rumori forti (phon, aspirapolvere, frullatore, scoppio di palloncini). Non disegnava. A quel punto ho contattato la Asl per fissare un appuntamento con la neuropsichiatra (quest. n. 9) A 10 mesi circa ha iniziato ad avere grosse problematiche con l’alimentazione, ancora adesso ha un’alimentazione molto selettiva e anche come comportamento era molto insolito e bizzarro, si distingueva dagli altri bambini per la sua iperattività, non era interessato alle attività proposte. Era precoce per alcune cose e in altre indietro (…). Ancora adesso ha dei comportamenti da bambino di 4 anni, non sa stare con gli altri. (quest. n. 11)

  Per la maggior parte dei genitori la preoccupazione che qualcosa “non funzioni” inizia sotto traccia. Quando entrambi i genitori capiscono di condividere le stesse preoccupazioni si rendono conto che il problema non è frutto di un’eccessiva apprensione, ma che le difficoltà del bambino sono reali. Può anche accadere che solo uno dei due genitori si renda conto delle difficoltà del bambino e che sia costretto non solo ad affrontare i propri sentimenti rispetto alla situazione del figlio, ma anche a comunicare al partner ciò che egli non percepisce o non vuole percepire (Siegel, 1996).

Attorno ai 18 mesi mia moglie ha iniziato ad avere i primi sospetti che qualcosa non andasse (…). Verso i due anni i sospetti di mia moglie sono aumentati (…) e io ho colpevolmente accusato mia moglie di essere troppo apprensiva (…) il giorno successivo andai a leggere in rete quali erano i possibili sintomi di questa patologia e ogni singola riga mi stava descrivendo mio figlio. (quest. n. 6).

  Vi sono situazioni in cui mediante l’intervento di una terza persona, ad esempio un insegnante, il pediatra o un parente, i genitori divengono coscienti che esiste un problema.

Di fatto, se ne è accorta la maestra, che ha notato gli strani comportamenti del bambino. In linea di principio, ce ne saremmo potuti accorgere anche noi, ma se non sai cosa sia l’autismo, non ci arrivi. (quest. n. 16)

  L’autismo è multiforme e varie sono le sfumature di comportamento che rendono ciascun bambino  diverso dagli altri e bisognoso di un approccio riabilitativo personalizzato. Indipendentemente dal modo in cui viene comunicata la diagnosi, l’impatto emotivo che ne consegue è naturalmente molto forte, nella maggior parte dei casi c’è bisogno di un periodo di tempo per affrontare ed elaborare la situazione.

Personalmente ho reagito malissimo. Ricordo ancora oggi i primi momenti, il dolore che non mi abbandonava mai in nessun momento della giornata. Stavo talmente male che la mattina mi svegliavo sperando che si trattasse solo di un brutto sogno… (quest. n. 6) Negazione: ho cercato su internet i sintomi per dimostrare a mia moglie che si sbagliavano… (quest. n. 2)

  Ogni genitore affronta la situazione in maniera diversa; nella maggior parte dei casi però il processo si sviluppa gradualmente, passando diversi stadi, da quelli iniziali dove prevale lo shock, la negazione, il dolore e il senso di colpa, a quelli finali dell’ adattamento e dell’ attivazione, come   sintetizzati nella risposta che segue.

Quando ho saputo che mio figlio era autistico ho tirato fuori tutta l’ energia che c’ era in me!!! Perché io dovevo lottare con lui per tutte le difficoltà che avremmo incontrato. (quest. n. 7)

  A conferma dell’enorme sofferenza provata dai genitori, un recente studio longitudinale americano (Lounds Taylor e Warren, 2012) ha esaminato i sintomi depressivi nelle madri dei bambini con diagnosi di un disturbo dello spettro autistico. I risultati hanno messo in evidenza che più di tre quarti delle madri (78,7%) presentavano sintomi depressivi rilevanti nella settimana successiva alla diagnosi e che il 37,3% ha continuato a segnalare livelli clinicamente significativi 16 mesi dopo la diagnosi.

 

Riflessioni per i servizi socio-sanitari territoriali

La diagnosi di autismo di un figlio comporta una riorganizzazione radicale dell’assetto famigliare. La capacità dei genitori di “resistere” all’evento e trovare un senso al quotidiano rappresenta uno dei punti di forza delle possibilità di adattamento e miglioramento di vita per i loro figli. Per questa ragione è importante conoscere il vissuto e l’esperienza delle famiglie. Le famiglie hanno fatto crescere l’attenzione riservata all’autismo attraverso i media, favorendo il diffondersi di una coscienza collettiva in merito all’esistenza del fenomeno stesso e al superamento di forme di pregiudizio nei confronti dei bambini e dei genitori stessi. Tale impegno ha contribuito nel 2015 alla promulgazione della legge n. 134 che  ha stabilito che le prestazioni relative alla diagnosi, le cure e il trattamento dell’autismo rientrino nei livelli minimi di assistenza. I servizi sanitari e sociali, essendo la fase dell’accertamento della sindrome graduale, dovrebbero strutturare momenti di accompagnamento e di vicinanza dei genitori in modo da favorire la comprensione del fenomeno, alla luce dell’incertezza della cause, che valorizzi le specificità e i significati famigliari, rispettandoli. McCubbin e colleghi (1996) sostengono infatti che i gruppi familiari cercano spiegazioni sulla causa delle disabilità e, nonostante esista una gamma abbastanza ampia di spiegazioni possibili, ogni famiglia individua i significati e le costruzioni di senso che più la aiutano ad attivarsi rispetto all’evento. Le famiglie che hanno la capacità di trovare spiegazioni condivise sulla causa, riducendo le ambiguità e le incertezze, sono più competenti nell’ indirizzare le proprie energie su strategie funzionali di gestione della situazione. Proprio per questo la valutazione di tipo medico-sanitario dovrebbe essere accompagnata da una valutazione sociale e contestuale sostegno. La promozione, già dalle prime fasi di valutazione della sindrome, di contatto e momenti di dialogo con altre famiglie e associazioni, può rappresentare un supporto importante per evitare risposte di ripiegamento disperato su se stessi ed isolamento, aspetto evidenziato con sfumature diverse dai famigliari intervistati. Accanto ai necessari interventi medico-sanitari, il sostegno sociale e la promozione dell’auto-mutuo aiuto fra coloro che condividono la stessa situazione è una strategia fondamentale di supporto che gli operatori dei servizi socio-sanitari possono favorire da subito (cfr.: Magerotte, 2007). Inoltre la coesione “di rete” e la condivisione degli obiettivi fra gli operatori sociali e sanitari e quelli della scuola possono alimentare un processo che consente di recepire i bisogni dei bambini e delle famiglie in corso di crescita fornendo un contenitore in grado di interagire in sinergia, e rispondere in modo integrato alle necessità di genitori e figli.