L’insuccesso formativo ci dice che siamo in un passaggio d’epoca

Note a partire dal Rapporto INVALSI 2023 e oltre


Giovanni Laino | 27 Luglio 2023

Gli esiti dei test somministrati agli studenti delle scuole presentate nel rapporto Invalsi 2023 in merito al livello di preparazione degli studenti italiani sono tanto preoccupanti quanto già noti. Sono l’occasione per porci qualche altra domanda.

Ci sono denunce allarmanti condizionate dal trattamento dei media che drammatizzano sempre per attrarre attenzione, anche se sorvolano su alcuni punti. Quando ad esempio l’Invalsi dice che la ripetenza non aiuta, non determina miglioramenti nella preparazione, del superamento dei deficit di apprendimento. E quindi che far ripetere un anno non determina un reale miglioramento della preparazione di uno studente. Anche la reiterazione degli squilibri territoriali fra aree ricche e povere del Paese non viene colta. Uno degli aspetti, ad esempio è il ritardo della scolarizzazione per i bambini del Sud (carenza di nidi e asili) o dell’offerta del tempo pieno, pur tenendo ben conto che non è l’ampliamento dell’orario dello stare in aula che può avere un effetto benefico sugli esiti della scolarizzazione1.

Da tempo è ampio il dibattito sul come e sugli obiettivi del processo valutativo del livello di preparazione degli alunni, con esperti che propongono critiche radicali sulle scelte di fondo della metodologia adottata. Secondo alcuni2 gli indicatori e le soglie di valutazione scelte da INVALSI sarebbero inappropriate e troppo severe, sollecitando quindi di fatto una lettura allarmistica dei dati (p.e. la soglia di adeguatezza per misurare il livello di capacità di comprensione di un testo, che da anni, secondo alcuni, realmente si attesta intorno al 25%.

Si tratta di una questione pluridimensionale ove si possono confondere diversi piani.

Dal punto di vista di docenti, educatori e formatori certamente i profili di ingresso degli studenti all’inizio di tutti i corsi di studi presentano peculiarità e lacune rispetto alle previsioni fondate sulla tradizione. Cosa riscontrabile anche per i profili d’uscita. Senza sottovalutare le spinose questioni di metodo nel rilievo delle qualità e dei livelli di preparazione, le lacune nella preparazione sono rilevanti e molto preoccupanti. Complessivamente, rischiando di essere generici, sembra evidente da parte dei bambini e ragazzi una diffusa difficoltà all’impegno, alla concentrazione almeno come era assunto dalle generazioni precedenti. Gli esiti della pandemia hanno reso più grave la situazione. Nei laboratori socio educativi gli operatori notano una riluttanza dei bambini – mai vista prima – anche a correre o giocare a calcio.

Sullo sfondo però va anche considerato che, nella grande trasformazione che stiamo vivendo, il riferimento a modelli di apprendimento, alla qualità e ai livelli di competenze sono comunque dei costrutti datati che, se da un lato, secondo certe tradizioni di ricerca, sono ribaditi e certificati, d’altro lato di fatto sono trascurati o superati dalla grande maggioranza degli attori.

Confesso che nel 1993 ho iniziato la carriera di esaminatore aggregato in commissioni di esame all’Università, esercitando la capacità di porre domande di cui non avevo contezza della completa correttezza dei contenuti delle risposte. Credevo però di essere ben capace di cogliere le competenze degli studenti per come si destreggiavano nelle risposte e non penso di aver fatto seri errori di valutazione.

Oggi, a tutti i livelli di scuola, i docenti sono loro stessi coprotagonisti di una trasformazione profonda e quindi non assimilabili ai formatori di 40 anni fa. Se fossero somministrati testi invalsi ai docenti universitari molti di noi (io certamente) mostrerebbero lacune anche “gravi” rispetto ai modelli ufficiali nelle discipline di insegnamento ma anche nella formazione di base. Poi molti studiano, fanno ricerca, si specializzano, insegnano e soprattutto cercano di tenere a galla una barca che, con diverse falle, attraversa una prolungata tempesta dovendosi innanzitutto preoccupare dell’adesione dei discenti alle attività, spesso adattando le aspettative sui livelli di competenze ammissibili per il superamento degli esami, all’effettiva partecipazione degli studenti.

Certamente i criteri di valutazione dei ricercatori e docenti sono discutibili e condizionano le condotte di singoli. Soprattutto i più giovani e quelli che aspirano a fare carriera, tendono ad adeguarsi a criteri fondamentalmente quantitativi (ove valgono solo i prodotti certificabili e la capacità di attrarre soldi dall’esterno). Non condivido posizioni oltranziste contro la valutazione3 ma certamente la questione del cosa e del come si valuta è molto rilevante e va affrontata tenendo ben evidente l’attenzione al cosa e al chi viene favorito da ogni opzione adottata dal sistema di valutazione che -qualsiasi esso sia – non può evitare una significativa riduzione di complessità. L’attuale sistema delle soglie con cui vengono valutati i docenti universitari sostanzialmente non fa differenza alcuna rispetto ai contenuti di un libro realizzato con anni di impegno e approfonditi studi rispetto ad un testo montato velocemente raccogliendo saggi presentati qui e li. Chi come me ha fatto l’esperienza di valutare le domande di abilitazione all’insegnamento universitario ha potuto constatare quanto la produzione dei giovani e anziani sia condizionata dalla svolta quantitativa assunta del sistema.

Per gli studenti universitari, d’altra parte, il livello alto del voto medio agli esami e alle lauree è un indicatore della tendenza a fare attenzione a non perdere e ad attrarre “clienti”. Una parte degli studenti universitari che ottengono buoni risultati, mostrano di avere un metodo di studio nozionistico, facendo emergere ben poca capacità critica.

La stessa dispersione implicita ed esplicita a tutti i livelli di scuola sino all’università, segnala anche questo problema: non possiamo più dare per scontato che gli allievi aderiscono spontaneamente ai percorsi. Con la crisi demografica e la giusta libera scelta tutte le offerte formative sono in un mercato ove va conquistato il cliente, ed ecco quindi Open Day, strategie di marketing, ove, le università telematiche risultano molto competitive.

Ho notizia di molti Master universitari che fanno i salti mortali per raccogliere meno di dieci studenti anche quando, come accade sempre più spesso, offrono solo modalità di lezioni in remoto. Questo è reso più cogente quando, come nell’università, i titolari dei corsi sono in competizione per raccogliere le iscrizioni degli studenti. Ma sono implicate anche questioni più complesse, anche nelle scuole di base: nella società della prestazione, dell’essere imprenditori di se stessi, del fare il più spesso possibile serfing, quanto e quale spazio c’è per studiare come facevamo sino al Novecento?

Ricordo con affetto il Prof. Innocenzo Cervelli, bravissimo e appassionato storico, alla festa di matrimonio del cognato, il compianto mio caro amico Fabrizio Mangoni, alla domanda su cosa stava lavorando mi disse: “sto studiano il 18 di Brumaio4. Da tempo mi chiedo se sarà mai possibile oggi ascoltare la stessa risposta da un giovane brillante dottorando in storia che stia lavorando solo su un tema e con tale livello di approfondimento.

Quindi la questione del livello di competenze – che non è esattamente la stessa cosa del livello di preparazione – è intricata, pluridimensionale. Prima i responsabili apicali e poi complessivamente le comunità di pratiche implicate nella formazione dovrebbero essere indotte a fare una riflessione complessiva, laica, transcalare. La questione attiene anche al senso che gli adulti danno all’educare, al formare, all’insegnare, allo studiare, mettendo in discussione sia le posture deresponsabilizzanti che quelle suggerite dallo spirito dell’essere imprenditori di se stessi.

Tornando l’INVALSI il settore più in difficoltà è la scuola secondaria di primo e secondo grado, con un livello crescente della soglia critica di rendimento degli studenti (certo letto come intende INVALSI). Io stesso seguo da vicino le vicende dei ragazzi in condizioni NEET e pur coordinando progetti innovativi che conseguono buoni risultati5, ogni giorno mi pongo domande difficili: ma noi adulti siamo sicuri di capire chi abbiamo di fronte? Sorge il dubbio che i giovani manifestino senza saperlo un nuovo disagio della civiltà6 che noi adulti non comprendiamo ne sappiamo trattare.

Tornando ai dati INVALSI emerge che dopo la primaria le ineguaglianze (sociali, geografiche) pesano di più, posto che le donne recuperano e superano tendenzialmente i maschi in molte materie, cosa sempre più evidente anche nelle università. Affiora un ulteriore dubbio: ritengo che il neoliberismo, o capitalismo biopolitico o come vogliamo definirlo, attacca il legame: sia quello orizzontale fra pari che quello verticale fra generazioni. Forse da diversi sintomi si evidenzia che l’età dei ragazzi in cui emergono prime evidenti difficoltà man mano si abbassa e – come vediamo anche in alcuni centri socio educativi pomeridiani – dall’adolescenza gli adulti sono incapaci nel seguire, orientare, sostenere i ragazzi? Non sappiamo cosa fare. Si abbassa progressivamente la soglia di età ove l’educare, in famiglia, a scuola o nel centro diurno, sembra un fare efficace abbastanza a portata di mano. E non sappiamo bene ancora l’impatto dell’uso compulsivo dei telefonini quali effetti comporterà.

Sullo sfondo dovrebbe crescere da parte di tutti gli educatori, in modo evidente, la coscienza di svolgere una funzione pubblica che andrebbe al contempo riconosciuta con giuste remunerazioni. Una funzione che deve essere capace anche di ammettere la profondità della faglia che il passaggio d’epoca comporta.

  1. È utile chiedersi: cosa accadrà se passerà una qualche forma di autonomia differenziata come auspicata dagli esperti della Lega?
  2. Cfr. Prove Invalsi: il 50% degli studenti ha difficoltà nella lettura? “È una cavolata e vi spiego perché”. “Scelta indirizzo superiori avvenga a 16 anni”. Intervista a Cristiano Corsini, 15.07.2023. Contenuti riproposti anche nel seminario on line di Tutto scuola su “Prove Invalsi 2023: leggiamo correttamente i dati” con Prof. Cristiano Corsini e Dott.ssa Valentina Felici.
  3. Pinto V. (2019) Valutare e punire, Cronopio edizioni, Napoli
  4. Lavoro poi confluito nel libro del 2015, Le origini della Comune di Parigi: una cronaca (31 ottobre 1870-18 marzo 1871), Roma, Viella, 2015
  5. Progetto nazionale Sentieri Ponti e Passerelle finanziato da Impresa Sociale con i Bambini. Vedi qui
  6. Borrelli F., De Carolis M, Recalcati M., (2013) Nuovi disagi nella civiltà. Un dialogo a quattro voci, Einaudi, Torino