L’integrazione delle seconde generazioni in Italia

Presentazione dei principali risultati dell’indagine nazionale Istat


A cura di Eleonora Gnan | 5 Giugno 2020

I giovani figli di immigrati nel nostro Paese rappresentano un gruppo numeroso che si avvia a costituire una componente importante della popolazione adulta della società italiana. Il 16 aprile Istat ha pubblicato il report Identità e percorsi di integrazione delle seconde generazioni in Italia, esito di un’indagine realizzata nell’anno scolastico 2014/2015 e svolta su oltre 68 mila alunni stranieri e italiani della scuola secondaria di primo e di secondo grado. Gli intervistati hanno risposto via web a un questionario sulla propria storia familiare, sulla vita scolastica, sull’utilizzo della lingua, sull’abitazione e sul tempo libero. La rilevazione ha coinvolto anche dirigenti scolastici e insegnanti su temi quali l’accoglienza dei ragazzi stranieri a scuola, le attività a favore dell’integrazione e la formazione. Vediamo i principali risultati dell’indagine nazionale.

 

 

I numeri delle seconde generazioni

Il fenomeno delle seconde generazioni in Italia non solo è in aumento, ma presenta caratteristiche complesse e articolate, di difficile misurazione. Esistono due accezioni di seconda generazione: la prima, in senso stretto, fa riferimento ai figli di cittadini stranieri nati nel paese di immigrazione, mentre la seconda, in senso lato, considera anche gli stranieri che sono immigrati prima dei 18 anni. Nel nostro Paese, al 1° gennaio 2018, i minori di seconda generazione, stranieri o italiani per acquisizione, sono 1,3 milioni e costituiscono il 13% dell’intera popolazione minorenne. Circa il 75% di questi è nato in Italia, il 66% si concentra nelle Regioni del Nord e la maggior parte proviene da quelle collettività che presentano una più lunga storia di immigrazione nel nostro Paese.

La vera novità degli ultimi anni – riporta la ricognizione Istat – è rappresentata dal crescente numero di giovani immigrati che diventano cittadini italiani, uscendo quindi dal collettivo degli stranieri, pur continuando a far parte di quello delle seconde generazioni. La propensione all’acquisizione della cittadinanza italiana è strettamente legata alla diversità dei progetti migratori e della normativa vigente nei paesi di origine relativamente alla doppia cittadinanza. Al 1° gennaio 2018 i minorenni che hanno acquisito la cittadinanza italiana sono circa 275 mila e le principali cittadinanze precedenti all’acquisizione sono quella marocchina, albanese, indiana, pakistana e romena.

Dall’indagine Istat sull’integrazione delle seconde generazioni condotta sugli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado nell’anno scolastico 2014/2015, emerge come il 30,4% degli studenti stranieri sia nato in Italia e il 23,5% sia arrivato prima dell’età di inizio della scuola primaria. I dati cambiano a seconda che si consideri la scuola secondaria di primo o di secondo grado. Nella scuola secondaria di primo grado i ragazzi stranieri nati in Italia sono il 43%, dato che scende al 18,4% tra gli alunni delle superiori. Questi ultimi è infatti più probabile che abbiamo vissuto la migrazione in prima persona. Notevoli sono, ancora una volta, le differenze tra le cittadinanze: l’indagine sottolinea, da un lato, l’ingresso tardivo nel nostro Paese dei giovani ucraini e moldavi e, dall’altro, una quota rilevante di cinesi e filippini nati in Italia.

 

 

Nuove generazioni e identità

Rispetto al tema della costruzione dell’identità dei giovani delle seconde generazioni, l’indagine Istat ha raccolto informazioni sul senso di appartenenza dei ragazzi stranieri, sulla lingua e sulla mobilità nel territorio.

In letteratura, in riferimento ai ragazzi appartenenti alle seconde generazioni, spesso si parla di identità sospesa, termine introdotto da Vittorio Lannutti nel 2014. La sospensione dell’identità interessa infatti una quota rilevante di giovani stranieri che vivono nel nostro Paese: circa il 38% di questi dichiarano di sentirsi italiani, il 33% di sentirsi stranieri e poco più del 29% non è in grado di rispondere alla domanda. Rispetto al tema dell’appartenenza gioca senz’altro un ruolo importante l’età di ingresso in Italia. Tra i ragazzi arrivati in Italia dopo i 10 anni di età, si sente straniero più di uno su due; per i nati in Italia tale dato si riduce al 23,7%. Un altro elemento è giocato dalla collettività di appartenenza: tra le collettività asiatiche e latino americane si registrano le quote più elevate di ragazzi che si sentono stranieri, nonostante siano nati in Italia. La collettività cinese e filippina, in particolare, risultano molto chiuse al loro interno, con poche occasioni di scambio ed incontro esterno. Si sentono invece maggiormente italiani i ragazzi europei e quelli di origine marocchina, che nell’82% dei casi dichiarano di frequentare regolarmente italiani e nel 73% dei casi di parlare molto bene l’italiano. Gli indiani presentano invece la maggiore incertezza: il 38% di questi non sa infatti se considerarsi straniero o italiano.

Il secondo indicatore che l’indagine Istat prende in considerazione riguarda l’aspetto linguistico: parlare più lingue rappresenta infatti una caratteristica tipica dei ragazzi delle seconde generazioni. Oltre all’italiano, la lingua più parlata dai ragazzi intervistati è il romeno, seguita dall’inglese e dall’albanese. In un contesto di multilinguismo, risulta interessante indagare la lingua utilizzata per pensare: il 63,4% dei ragazzi stranieri dichiara di pensare in italiano, dato che sale sia tra i nati in Italia sia tra gli arrivati in età prescolare. La buona conoscenza dell’italiano parlato, letto e scritto è inoltre più frequente tra i ragazzi iscritti alla scuola secondaria di secondo grado. L’indagine rileva che chi pensa in italiano generalmente registra buoni voti in italiano, ma questa differenza non è rilevante in matematica.

Il terzo indicatore preso in considerazione riguarda la propensione alla mobilità. Il multilinguismo e l’aver già vissuto una migrazione – per via diretta o indiretta – rendono i giovani delle seconde generazioni più inclini allo spostamento. Questo rende particolarmente complesso prevedere se i giovani stranieri (ma non solo!) un domani vivranno o meno in Italia. Una quota considerevole sia di ragazzi stranieri (46,5%) sia di ragazzi italiani (42,6%) dichiara di voler vivere all’estero da grande. Sono gli Stati Uniti ad attrarre maggiormente i giovani, indipendentemente dalla cittadinanza, seguiti da Regno Unito e Germania. Rispetto alla volontà di vivere in Italia, la quota più elevata è rappresentata dalla collettività moldava e da quella ucraina. Contrariamente a quanto si può pensare, la propensione a restare nel nostro Paese non è necessariamente correlata al sentirsi italiani: ad esempio, nel caso della comunità cinese, a fronte di una quota contenuta di giovani che dichiarano di sentirsi italiani, vi sono elevate percentuali di ragazzi che intendono vivere in Italia.

 

 

A scuola… e dopo?

La scuola costituisce uno spazio fondamentale per l’integrazione sociale dei minori in quanto rappresenta sia il luogo di apprendimento per eccellenza sia quello di socializzazione con il gruppo dei pari e con gli adulti. Il ruolo giocato dalla scuola è ancor più marcato nel caso dei ragazzi stranieri in quanto, nella maggior parte dei casi, l’accesso alla scuola rappresenta il primo contatto con le istituzioni della società di accoglienza e l’avvicinamento ad una cultura diversa da quella della propria famiglia. L’indagine Istat tiene in considerazione, da un lato, gli indicatori relativi alle performance scolastiche e, dall’altro, quelli relativi al benessere dei ragazzi, alle relazioni con i compagni, al rapporto con gli insegnanti e con lo studio.

Rispetto al primo aspetto, dalla ricerca emerge come gli inserimenti in classi precedenti a quelle teoriche di frequenza, le difficoltà linguistiche e le ripetenze rendano più complesso il conseguimento degli obiettivi formativi da parte degli alunni stranieri. Ma è il rendimento scolastico il vero banco di prova per i ragazzi con background migratorio. Tendenzialmente questi ultimi registrano performance peggiori in termini di votazioni rispetto ai loro coetanei italiani, sia in matematica che in italiano. Tale differenza, che si presenta più marcata nelle scuole secondarie di primo grado, tende a diminuire nelle scuole secondarie di secondo grado, probabilmente esito di un effetto selezione. Il 10,7% degli alunni stranieri delle scuole medie dichiara di non saper cosa fare dopo il conseguimento del diploma. Tra coloro che invece vogliono proseguire gli studi la scelta del liceo è meno frequente rispetto ai loro coetanei italiani: il 44,3% contro il 57%, dato che cresce al 50% nel caso di stranieri nati in Italia. Di converso, la propensione a frequentare un istituto professionale è più alta tra i ragazzi stranieri arrivati in Italia dopo i 10 anni di età. Rispetto alle scuole superiori, le differenze principali si riscontrano a livello di genere: mentre la quota di ragazzi stranieri che intendono proseguire gli studi all’università è più bassa rispetto agli italiani, tra le ragazze straniere è più elevata.

Un altro tema fondamentale è quello delle relazioni. In generale i ragazzi stranieri hanno relazioni meno frequenti con i compagni di classe rispetto ai loro coetanei italiani: nelle scuole medie il 21,6% degli alunni stranieri (contro il 9,3% di quelli italiani) non frequenta i compagni di scuola al di fuori dell’orario scolastico. Tale differenza tende, ancora una volta, a ridursi nelle scuole superiori (26% contro 18,5%). L’indagine Istat rileva come gli alunni che frequentano i compagni anche dopo la scuola si vedano nell’86,2% dei casi con italiani, nel 36,7% dei casi con stranieri con cittadinanza diversa dalla propria e nel 30,4% dei casi con connazionali. La frequentazione di italiani aumenta nel caso di ragazzi stranieri nati in Italia o arrivati nel nostro Paese tra gli 0 e i 5 anni di età, mentre diminuisce nel caso di minori giunti in Italia dopo aver compiuto i 10 anni.

 

 

Relazioni e tempo libero

L’ultimo capitolo del report Istat relativo all’indagine nazionale analizza i rapporti dei ragazzi stranieri con la famiglia, le relazioni con gli amici, il fenomeno del bullismo, la pratica dello sport e l’utilizzo di internet e dei social media.

La famiglia, in quanto primo attore di socializzazione, riveste un ruolo decisivo nei processi di integrazione dei ragazzi stranieri. Da parte dei giovani stranieri, rispetto ai loro coetanei italiani, emerge una percezione di minor sensibilità dei genitori ai loro sentimenti e bisogni, e un minor rispetto delle loro opinioni. Più diffuse anche le punizioni e un atteggiamento di minore attenzione. La situazione risulta particolarmente critica per la collettività cinese e filippina, nelle quali si rileva un certo distacco tra genitori e figli. Al contrario, per i ragazzi dell’Europa dell’Est la famiglia viene vista come un importante network di reciproco aiuto. Per i ragazzi stranieri anche i rapporti tra famiglia e scuola non sono facili, spesso a causa delle differenze culturali e linguistiche. In generale, i ragazzi stranieri riferiscono meno frequentemente degli italiani che la famiglia è soddisfatta rispetto al loro rendimento scolastico. Ancora una volta questo dato cresce per la collettività cinese e filippina, e cala per quella albanese, romena e moldava.

Rispetto alle relazioni con gli amici, come già ricordato precedentemente, i ragazzi stranieri presentano una vita relazionale meno intensa di quelli italiani. Tra i ragazzi stranieri la quota di coloro che dichiara di non frequentare amici nel tempo libero è quasi doppia rispetto a quella dei coetanei italiani: 7,9% contro 4,2%. Tali comportamenti si inscrivono però all’interno dei modelli migratori seguiti dalle diverse collettività straniere: alcune più inclini al contatto con la società di accoglienza, come quella ucraina, albanese e romena i cui ragazzi dichiarano per il 40% di frequentare solo italiani; altre molto chiuse, come quella cinese dove oltre il 50% dei ragazzi dichiara di frequentare al di fuori della scuola solo amici stranieri. La chiusura della collettività cinese emerge anche dai dati relativi alla frequentazione dei luoghi solitamente frequentati dai ragazzi per il tempo libero: i giovani cinesi frequentano in misura minore tutti i luoghi previsti dalla batteria di domande loro proposta, tranne nel caso del luogo di lavoro dei genitori, dove la percentuale, in media intorno al 22%, sale a oltre il 50%.

Un altro fenomeno interessante da considerare nella lettura dei percorsi di integrazione dei ragazzi stranieri riguarda la presenza di episodi di esclusione, discriminazione e bullismo. Quasi il 50% dei ragazzi stranieri (contro il 42,4% di quelli italiani) dichiara di aver subito almeno un episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi nell’ultimo mese. I ragazzi, specie cinesi, filippini e indiani, risultano i più esposti a tali episodi, forse proprio perché più chiusi nei confronti dei coetanei.

I ragazzi stranieri mediamente praticano meno sport rispetto a quelli italiani: il 53% contro il 76% nelle scuole secondarie di primo grado, il 47,4% contro il 64,1% nelle scuole superiori. Molto accentuate anche le differenze di genere, che vedono un netto svantaggio delle ragazze rispetto ai ragazzi. Infine, l’indagine Istat mette in evidenza una forte connessione tra multiculturalismo e propensione all’utilizzo di internet. Il 35,3% dei giovani stranieri utilizza intensamente internet contro il 22,2% dei coetanei italiani. L’utilizzo dei social è più diffuso tra le ragazze straniere, ad indicare che per queste ultime le relazioni – che mettono in luce minori interazioni dirette con gli amici e una minore pratica sportiva – passano più spesso attraverso internet.