L’operatore sociosanitario

Quale strategia professionale?


Willem Tousijn | 9 Marzo 2023

La recente iniziativa degli Stati generali dell’OSS, promossi dalla Federazione delle Professioni sanitarie e sociosanitarie Migep e dal Sindacato SHC, merita qualche approfondimento sulla base di alcuni concetti ed analisi che ci vengono dalla sociologia delle professioni. L’obiettivo è verificare se e in che misura i concetti e le analisi teoriche ci aiutano ad interpretare una realtà in trasformazione: l’evoluzione della figura dell’OSS.

Il professionalismo tradizionale

Il professionalismo è una categoria concettuale nata per descrivere e spiegare lo sviluppo, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, di alcune occupazioni che hanno saputo conquistarsi, grazie ad una strategia professionale efficace, una posizione elevata nella stratificazione sociale: reddito, potere e prestigio sociale. Si tratta in primo luogo di medici e avvocati, seguiti, con qualche differenza, da altre categorie: ingegneri, architetti, notai, farmacisti e altri. La loro ascesa sociale è chiamata “processo di professionalizzazione”. Dopo oltre un secolo, è lecito chiedersi se oggi altri gruppi professionali che si pongono un obiettivo analogo (il miglioramento della loro posizione sociale) possano intraprendere la stessa strada, o debbano cambiare strategia.

Nel settore sanitario la sociologia delle professioni ha dedicato molta attenzione e molte ricerche alla professione medica ed alla professione infermieristica, nonché ai loro rapporti, per lo più analizzati in chiave conflittuale. Molto scarsa è stata l’attenzione dedicata alle altre occupazioni sanitarie, soprattutto a quelle di rango inferiore nella gerarchia ospedaliera. È utile dunque chiederci: qual è la strategia professionale che emerge dagli Stati generali dell’OSS?

Nel documento elaborato ci sono alcuni elementi che richiamano quelli utilizzati dalle professioni tradizionali. Si tratta di: competenze scientifiche, autonomia professionale, profilo professionale, Registro nazionale, codice deontologico. Sono tutti elementi del modello tradizionale di professionalismo, ma questo non significa affatto che siano da considerarsi obsoleti: gli infermieri e gli assistenti sociali, per esempio, li hanno ampiamente utilizzati per alimentare il proprio processo di professionalizzazione a partire dagli anni ’90, ottenendo un buon successo. Altrettanto hanno fatto, più di recente, altre professioni sanitarie.

Naturalmente, si tratta di intendersi: i primi due elementi, le competenze scientifiche e l’autonomia, che sono alla base di tutti gli altri, sono concetti relativi. Il loro livello, nel caso degli OSS, è inferiore a quello delle professioni tradizionali, ma è comunque significativo lo sforzo di rafforzare entrambe le dimensioni. Colpisce la somiglianza con la strategia adottata già da tempo, non senza difficoltà e tensioni, dalla professione infermieristica: differenziare le proprie competenze da quelle della professione medica, per ridurre il grado di subordinazione. Nel caso degli OSS, il tentativo, ancora allo stato embrionale, sembra essere quello di differenziare le proprie competenze e ridurre la subordinazione rispetto alla professione  infermieristica.

Il nuovo professionalismo

Da qualche tempo si è diffusa nella sociologia delle professioni l’idea che il modello tradizionale di professionalismo sia oggi messo in crisi dalle profonde trasformazioni in atto nella società. Nei sistemi sanitari, per un secolo dominati dalla logica professionale, e in particolare dalla logica medica, si sono diffuse altre logiche che minacciano seriamente questo predominio. Si tratta della logica manageriale, fondata sul principio dell’efficienza economica, e della logica consumerista, fondata sul principio dell’empowerment del paziente/cliente/consumatore. La compresenza di logiche differenti, per molti versi in conflitto tra loro, richiede l’elaborazione di una nuova concezione del professionalismo, alla quale hanno contribuito, con varie proposte, sia i sociologi accademici sia i professionisti stessi, soprattutto i medici.

Di questo ampio dibattito noi considereremo qui due aspetti, particolarmente rilevanti per gli OSS. Il primo aspetto riguarda i confini tra le diverse professioni. Nel modello tradizionale di professionalismo essi formavano una “giurisdizione”, ossia un’area delimitata di compiti lavorativi su cui ogni occupazione reclamava un controllo assoluto, un “monopolio” tutelato legalmente. L’atto medico e l’abuso di professione sono conseguenze di questa concezione. Tuttavia, il settore sanitario è caratterizzato da un tipo di divisione del lavoro molto complessa, in cui numerosi gruppi professionali intervengono sull’organizzazione del lavoro rivendicando autonomia decisionale. Per di più, l’organizzazione del lavoro è altamente imprevedibile, instabile, mutevole, flessibile, e questo rende i confini tra le varie professioni molto mobili1: cambiano nel tempo, tra periodi diversi, e nello spazio, tra organizzazioni diverse. La gestione dei confini interprofessionali genera un “lavoro sui confini” (boundary work), che in genere si svolge all’interno di vere e proprie strategie professionali, sia individuali, sia collettive. Tutto ciò è ben noto a tutti i lavoratori del settore, che però non sempre resistono alla tentazione di erigere barriere legali a difesa dei propri confini, o a quella di invadere i territori altrui. Il punto cruciale, evidenziato anche nel documento degli OSS, è che oggi le giurisdizioni esclusive tendono a indebolirsi, per effetto della diffusione della logica manageriale, che rivendica la flessibilità dei confini in nome dell’efficienza. Anche la diffusione del lavoro d’equipe, opportunamente citata nel documento degli OSS, agisce nella stessa direzione.

Il secondo aspetto del nuovo professionalismo, importante per gli OSS, è il nuovo rapporto che si è venuto a creare tra il professionista e il cliente. Il vecchio rapporto era caratterizzato dalla a-simmetria informativa: il paziente era in posizione di debolezza, in quanto non in possesso delle conoscenze scientifiche necessarie per valutare e discutere la prestazione del professionista. Ma oggi questa situazione è cambiata, almeno parzialmente, per effetto soprattutto di due fattori: l’aumento del livello di istruzione della popolazione e la transizione epidemiologica verso la cronicità. Il primo fattore rende il paziente meno deferente, più esigente e desideroso di essere coinvolto nel processo decisionale. Il secondo fattore tende a spostare i fini della medicina dalla guarigione dalla malattia alla qualità della vita, un fine che richiede un forte coinvolgimento del paziente. La logica dell’empowerment del paziente/cliente va in questa direzione.

Questo fenomeno, nelle professioni del welfare, assume un rilievo particolare. I professionisti non possono fondare le proprie pratiche professionali esclusivamente sulle conoscenze scientifiche, ma sono chiamati a combinarle e integrarle con elementi attinenti alle relazioni personali: valori, emozioni, sentimenti, intuizioni. Si tratta di un professionalismo ibrido, perché combina due logiche differenti: quella scientifica e quella relazionale. La vicinanza, la frequenza e la durata dell’interazione tra professionista e cliente/utente determinano il tipo e il grado di mescolanza delle due logiche2.

Su questo punto, gli OSS sembrano essere in posizione di vantaggio sia rispetto ai medici, sia rispetto agli infermieri. Questi ultimi, nel tentativo di differenziarsi dai medici, hanno a lungo cercato di valorizzare la loro attenzione ai bisogni del paziente (care), ma oggi il pendolo per loro sembra spostarsi verso i contenuti tecnico-scientifici (cure), visti gli sforzi in atto per acquisire “competenze avanzate”, in gran parte destinate a modificare il confine con la professione medica. Il dilemma tra le due strategie è ben presente all’interno della professione infermieristica e sono molti gli infermieri che si lamentano di perdere il rapporto con il paziente.

Alcune ricerche, in diversi paesi, hanno già documentato questa tendenza da parte degli OSS (e delle figure equivalenti nei vari paesi) a valorizzare la dimensione del rapporto con il paziente3. Una ricerca italiana ha mostrato gli ottimi risultati ottenuti quando gli OSS di una RSA hanno assunto il compito di insegnare agli anziani l’uso delle tecnologie informatiche, con grande soddisfazione sia degli anziani sia degli operatori4. Potrebbe essere questa la strada principale per lo sviluppo della figura dell’OSS.

  1. Tousijn W., Dimonte V., “I confini mobili delle professioni sanitarie”, Assistenza infermieristica e ricerca, 35, 2016
  2. Harrits G. S., “Being professional and being human. Professional’s sensemaking in the context of close and frequent interactions with citizens”, Professions and Professionalism, 2, 2016
  3. Harrits, cit.; Bach S., Kessler I., Heron P., “Nursing a Grievance? The Role of Healthcare Assistants in a Modernized National Health Service”, Gender, Work and Organization, 2, 2012
  4. Genova A., Tousijn W., “Social-Health Operators as Mediators in E-Health System”, Professions&Professionalism, 2, 2022