Lotta alla povertà: i servizi al centro


A cura di Valentina Ghetti | 12 Ottobre 2018

Intervista a Daniela Mesini, vicedirettrice di welforum.it e curatrice del volume Lotta alla povertà: i servizi al centro” edito da Maggioli.

Il testo è stato pubblicato anche sul sito Lombardia Sociale.it

 

Perché una nuova pubblicazione sul Reddito di Inclusione? Quale è il taglio proposto dal lavoro editoriale che ha curato?

Il libro da me curato, e scritto insieme a colleghi dell’IRS e a professionisti del sociale, si propone innanzitutto di sistematizzare, capitalizzare e sviluppare tutta una serie di riflessioni ed evidenze che ho raccolto in quasi un ventennio di attività di analisi, valutazione e accompagnamento all’implementazione di politiche ed interventi di contrasto alla povertà a vari livelli istituzionali.

Non è tanto un libro sul Reddito di Inclusione, sicuramente non intende concentrarsi sulla configurazione del REI di per sé stesso, ma partire dalle principali questioni attuative per la sua messa in opera per sottolineare più in generale alcuni nodi imprescindibili per la realizzazione di una politica di contrasto alla povertà, REI o Reddito di Cittadinanza che sia.  Il taglio è volutamente molto concreto ed esperienziale.

Come sappiamo, con il Reddito di Inclusione si è finalmente introdotta in Italia una misura di contrasto alla povertà strutturale e universale, seppur senz’altro perfettibile e da ampliare. Questa di per sé stessa è già una buona notizia, visto il cronico ritardo dell’Italia rispetto all’introduzione di uno schema di reddito minimo, ed un sicuro traguardo di civiltà. Ma al di là di questo, credo che la vera rivoluzione del REI, oltre alla misura in sé, sia l’aver posto le basi per un nuovo sistema di welfare. I servizi e le professioni acquisiscono con il REI un ruolo centrale e l’inclusione delle persone e delle famiglie rappresenta una riforma nella riforma che è insieme una sfida ed una grande opportunità. Sottesa al REI vi è per la prima volta l’impostazione di una strategia di sviluppo dei servizi territoriali finalmente in linea con lo spirito della legge n. 328/2000. I servizi e gli interventi a contrasto della povertà diventano essi stessi dei livelli essenziali da presidiare e garantire con risorse nazionali e comunitarie dedicate. Anche questa è una grande innovazione perché mai prima d’ora, né con la sperimentazione nazionale del RMI, né con le varie sperimentazioni che si sono succedute, erano state stanziate risorse ah hoc destinate ai servizi, sottovalutando quindi l’onere sia gestionale che organizzativo della messa in opera di misure così complesse, ma che finalmente invece il REI riconosce e valorizza.

I servizi sono quindi uno snodo fondamentale ed imprescindibile nella lotta alla povertà.

È questo l’assunto di base del libro. L’accesso a servizi di qualità, il rafforzamento delle competenze degli operatori, la promozione di percorsi di attivazione veramente efficaci ed inclusivi dei beneficiari, lo sviluppo dell’integrazione tra i diversi attori in gioco, la ricomposizione delle risorse rappresentano obiettivi sfidanti ora e questioni cruciali su cui investire nei prossimi anni.

Ecco perché occorre andare avanti a partire dall’impalcatura esistente, accompagnando e presidiando questi processi, anche con la riflessione scientifica.

Una sfida importante dunque, quali sono le questioni cruciali che dovranno essere affrontate per dare attuazione ai livelli essenziali posti dal d.lgs 147 e poi dal Piano Povertà nazionale?

A mio avviso, per una realizzazione uniforme dei livelli essenziali sul territorio occorre presidiare alcune questioni realizzative, che rappresentano insieme una sfida ed un opportunità per il sistema dei servizi.

Importanza della valutazione del bisogno. La capacità di lettura ed analisi delle problematiche, delle fragilità ma anche delle risorse e delle attese di una famiglia che si affaccia ai servizi è fondamentale per poterla orientare ai percorsi di attivazione più idonei. Il REI ne sottolinea l’importanza ed enfatizza questo aspetto, ponendo molta l’attenzione al tema della valutazione; parla di una valutazione che sia il più possibile partecipata, attraverso équipe allo scopo dedicate, che richiede specifiche competenze comunicative e relazionali, oltre che professionali, che sia supportata dall’adozione di precisi strumenti e procedure. Le linee guida nazionali e le schede correlate, che sono state elaborate con il supporto dell’Università di Padova, e che verranno probabilmente approvate entro fine anno con apposito decreto, propongono proprio nuove strumentazioni a sostegno del lavoro sociale.

Approccio realista sull’inclusione lavorativa. Credo che occorra smorzare l’eccessiva enfasi lavoristica. Innanzitutto, la povertà non dipende solo dalla perdita del lavoro, ma da un mix di problematiche e bisogni tra i quali, spesso, la dimensione lavorativa non è né la prioritaria, né la più urgente. Avere un lavoro poi non tutela dalla caduta in povertà e lo dimostra la crescita del fenomeno dei working poor. Infine, una persona povera caduta in stato di povertà per problemi lavorativi, non è detto che possa rientrare facilmente nel mercato del lavoro, perché intervengono molti altri fattori sia personali che del sistema di offerta dei servizi. Con questo non dico che il lavoro non serva o che i poveri non hanno chance di reinserimento nel mercato del lavoro, ma la questione dell’attivazione è più complessa e meno lineare di quanto di recente si legge sui giornali. Mi piace poi sempre ricordare che anche nei paesi europei avanzati, con schemi di reddito minimo pluridecennali e sistemi di welfare ben più strutturati e solidi del nostro come la Germania o la Danimarca, tassi di reingresso dei beneficiari viaggiano intorno al 25% circa, e sono già considerati un gran successo.

Opportunità di coinvolgimento del terzo settore. Proprio perché l’attivazione non passa necessariamente dal solo lavoro e l’inclusione sociale è fondamentale per i beneficiari di una misura di contrasto alla povertà, il terzo settore è un alleato prezioso, che può fornire possibilità plurime di azione ed un ruolo di antenna sociale territoriale radicata. Il REI valorizza il ruolo delle organizzazioni di terzo settore non solo quali soggetti erogatori di interventi e servizi, ma anche in una posizione di corresponsabilità per la presa in carico e l’attivazione delle persone, oltre che di orientamento e sensibilizzazione. La vera sfida è imparare a lavorare assieme, parlare un linguaggio comune, definire strumenti e modalità di lavoro condivise nell’ambito di specifici accordi di reciproco riconoscimento.

Il tema della condizionalità degli interventi. E’ un tema complesso e anch’esso va preso con sano realismo. Scongiurare il ritorno all’assistenzialismo non significa prevedere un sistema sanzionatorio eccessivamente rigido. Anche la letteratura sul tema ci dice che non necessariamente sanzioni rigide tutelano, anzi possono rischiare di far scivolare la persona nella disattivazione, rischiando di rappresentare un potenziale disincentivo. I poveri peraltro non sono tutti uguali e non tutti hanno le stesse chance di attivazione dunque le progettazioni e le relative sanzioni dovrebbero essere costruite tenendo conto dei bisogni ed anche delle potenzialità delle persone.

L’integrazione e la ricomposizione. Sono tematiche che vanno oltre la messa a terra della misura in sé e che riguardano l’integrazione di risorse ed interventi a diversi livelli di governo. Ad esempio l’integrazione tra una politica di contrasto alla povertà nazionale ed una misura di assistenza economica locale implica porre l’attenzione sia sui contenuti che sulle modalità per perseguirla, a partire da una valutazione dei rispettivi target, dei possibili effetti sostituzione o delle eventuali scoperture. Altro tema fondamentale è quello della ricomposizione delle risorse, specie europee, sul tema della povertà e più in generale dell’inclusione e dell’accoglienza. Mai prima d’ora erano arrivate alle Regioni e ai territori così tante risorse. Si pensi ai vari PON-Inclusione, PON Metro, PO FEAD, per citarne solo alcuni. Diventa cruciale saper operare scelte strategiche sulla loro destinazione, coordinate ed efficaci.

 

Quali condizioni favorenti possono sostenere i territori nell’attuazione di una politica di contrasto alla povertà veramente inclusiva?

Occorre innanzitutto evitare il rischio di dispersione delle risorse, vigilando quindi sulla ricomposizione, come dicevamo prima, ma anche sulle tempistiche di trasferimento dei fondi ai territori e possibilmente superando certi vincoli. Sarebbe utile accorciare i tempi dei trasferimenti delle risorse, sia nazionali che comunitarie, allineando il più possibile le indicazioni e prescrizioni attuative con le erogazioni. E poi superare i vincoli sulle assunzioni, come dice bene anche l’Alleanza contro la povertà nel recente documento di richieste in vista della Legge di Bilancio 2019.

Seppur nella scorsa legge di bilancio è passato l’emendamento che ha consentito l’assunzione di assistenti sociali per l’attuazione del REI, si tratta di una misura ancora troppo limitata perché riguarda assunzioni a tempo determinato e nel rispetto degli obblighi di pareggio di bilancio a cui le amministrazioni sono vincolate.

Altra questione cruciale riguarda poi la stesura dei Piani povertà regionali in ottemperanza al Piano Nazionale. Il Piano è un documento programmatorio prezioso per la definizione degli orientamenti regionali in termini di governance e regolazione del sistema di contrasto alla povertà a livello territoriale. Non dimentichiamoci poi che il Piano ‘condiziona’ il trasferimento delle risorse ai territori di quella regione da parte del Ministero quindi è fondamentale che venga al più presto adottato e poi approvato per consentire questo passaggio fondamentale. A proposito del ruolo cruciale della regolazione e del governo della rete di attori per il contrasto alla povertà, dai territori emerge ad esempio una forte distanza con l’area della sanità, spesso non informata e comunque non legittimata ad operare in integrazione con il sociale per la definizione dei progetti personalizzati. Questa relazione, così come altre con altri soggetti territoriali, quando non regolate da accordi formali, funzionano per lo più per merito di relazioni pregresse e personali.

Da ultimo richiamerei senz’altro il rafforzamento delle competenze degli operatori e lo scambio e confronto tra pratiche. Su questo ultimo tema, come IRS, stiamo realizzando da tempo una Comunità di pratica sul SIA/REI con una quindicina di realtà territoriali, per lo più lombarde ma non solo, che si sta dimostrando strumento molto utile e concreto per supportare l’attuazione di politiche così complesse.