Mentre crescono le politiche di chiusura, aumenta il numero dei rifugiati nel mondo


Maurizio Ambrosini | 3 Luglio 2025

È importante, di questi tempi, tenere desta l’attenzione sulla questione dei rifugiati: persone in condizioni di fragilità, costrette a lasciare le loro case, dal futuro incerto, ma viste sempre più come una minaccia nei paesi del Nord globale, e non solo. La presidenza Trump è l’esempio più clamoroso dell’esasperazione del pregiudizio nei loro confronti. Persino rifugiati provenienti da paesi condannati dagli Stati Uniti per le violazioni della libertà politica e dei diritti umani, come il Venezuela, si sono visti revocare la protezione loro accordata dalla presidenza Biden.

A richiamare l’attenzione sui dati e il profilo del fenomeno provvede ogni anno il rapporto UNHCR, pubblicato in prossimità della giornata mondiale dei rifugiati, che si celebra ogni anno il 20 giugno.

I numeri del fenomeno

Il rapporto conferma anzitutto la tendenza degli scorsi anni: i rifugiati nel mondo continuano ad aumentare. Hanno raggiunto nel 2024 il nuovo record di 123,2 milioni di persone, sette milioni in più del 2023, quasi il doppio rispetto a  dieci anni fa. È sfollato uno su 67 abitanti del mondo. Ma la maggioranza sono sfollati interni (73,5 milioni, con un incremento del 9% sul 2023): si sono spostati cioè in una zona un po’ più sicura del loro stesso paese. Per esempio in Sudan la guerra civile ha finora provocato 11,6 milioni di sfollati interni, con un incremento di 2,5 milioni rispetto al 2023.  Nel caso del Congo, a sua volta sconvolto dalla guerra nella parte orientale (7,8 milioni di rifugiati), otto su dieci sono rimasti all’interno dei confini.

I rifugiati internazionali sono invece stimati in 42,7 milioni, con un leggero calo (-1%) rispetto al 2023. Comprendono sotto-categorie diverse, come i 5,9 milioni di palestinesi divenuti in larga parte rifugiati nel loro stesso paese. La minore incidenza dei rifugiati internazionali sul complesso degli sfollati sembra indicare che le frontiere si sono irrigidite, le politiche di chiusura e deterrenza si sono rafforzate, ed è diventato più difficile trovare protezione all’estero.

I principali paesi di provenienza (tab.1) ci ricordano le più dolenti aree di crisi del mondo, alcune più note, altre meno. Il 69% dei rifugiati internazionali provengono da questi primi cinque paesi. Nel 2024 in testa alla drammatica lista è risultato il Venezuela, un paese della cui profonda crisi politico-economica si parla poco. Segue ancora una volta la Siria, che ha tuttora sei milioni di cittadini rifugiati all’estero, e precede di poco l’Afghanistan, in cui il ritorno al potere dei taliban ha provocato un’ondata di espatri. L’invasione dell’Ucraina ha spinto verso l’estero oltre cinque milioni di persone ufficialmente registrate, mentre chiude la lista un paese pressoché dimenticato come il Sud Sudan.

Tab. 1 – Primi cinque paesi di provenienza dei rifugiati internazionali (in milioni)

Venezuela

6.2

Siria

6.0

Afghanistan

5.8

Ucraina

5.1

Sud Sudan

2.3

Completano il quadro 8,4 milioni di richiedenti asilo, che hanno segnato un incremento del 22% rispetto al 2023: stanno aspettando una risposta delle autorità dei paesi riceventi rispetto alla loro domanda di protezione internazionale.  Un terzo provengono da due soli paesi, Ucraina e Sudan. In testa alla lista dei paesi destinatari di domande d’asilo troviamo gli Stati Uniti, con 729.000: un esito della politica di Biden, che ora è esposto a un serio rischio di respingimenti in blocco. Più in generale, il numero dei richiedenti asilo è in crescita da otto anni, mostrando che la capacità di trattamento delle domande non tiene il passo con l’aumento del fenomeno: anche questo appare un indicatore della crescente riluttanza ad accogliere i rifugiati.

Una correlazione inversa tra reddito e accoglienza

Il dato forse più importante, in netto contrasto con la narrativa dell’invasione, rivela che il 73% dei rifugiati è accolto in paesi a basso e medio reddito. Se non fosse per il caso ucraino, che ha riversato alcuni milioni di rifugiati nell’Unione Europea, il dato si avvicinerebbe all’80%. Per di più, il 19% dei rifugiati si concentrano nei paesi meno sviluppati (23% secondo un’altra misurazione). Come osserva l’UNHCR, i paesi a basso reddito ospitano una quota sproporzionalmente alta della popolazione globale dei rifugiati, sia in rapporto alle loro dimensioni demografiche, sia in relazione alle risorse che hanno a disposizione. Rappresentano infatti il 9% della popolazione globale e soltanto lo 0,6% del PIL globale. Rientrano in questo gruppo Uganda, Sudan, Etiopia, Ciad, Repubblica Democratica del Congo. I paesi ad alto reddito, che detengono i due terzi della ricchezza mondiale, ospitano invece soltanto il 27% dei rifugiati. La tab. 2 classifica i principali paesi ospitanti, che però in questo caso raccolgono il 37% dei rifugiati internazionali del mondo.

Tab. 2 – Primi cinque paesi di accoglienza dei rifugiati (in milioni)

Iran

3.5

Turchia

3.3

Colombia

2.8

Germania

2.7

Uganda

1.8

L’Iran anche quest’anno figura al primo posto, a causa soprattutto degli ingressi dal confinante Afghanistan. La Turchia conosce una leggera diminuzione del numero di persone accolte, principalmente siriane, ma rimane al secondo posto per numeri assoluti. La Colombia è il paese più coinvolto negli arrivi dal Venezuela. La Germania è l’unico paese dell’UE a comparire tra i primi dieci al mondo per accoglienza di rifugiati, ma sembra ora più determinata a fermarli alla frontiera. Al quinto posto troviamo l’Uganda, che raccoglie profughi provocati dall’instabilità della regione circostante.

A questo andamento controintuitivo (i più poveri sono più coinvolti dei più ricchi nell’accoglienza dei profughi) concorre il fatto che, tra i rifugiati che attraversano una frontiera, il 67% si ferma nei paesi confinanti: non hanno né le risorse, né la preparazione, e spesso neppure la volontà di andare più lontano. Molti vogliono semplicemente rientrare nelle loro case. Anche una grave crisi come quella del Sudan, oltre ai rifugiati interni già ricordati, sta gravando essenzialmente sui paesi vicini: il poverissimo Ciad (1.1 milioni), l’Egitto (603.000), il Sud Sudan (488.000), a sua volta coinvolto in un’aspra guerra civile e luogo di provenienza di oltre due milioni di rifugiati internazionali, oltre che agli ultimi posti nell’indice ONU dello sviluppo umano.

Dati preoccupanti

Anche la composizione demografica della popolazione dei rifugiati sfida le narrative invalse. Quasi la metà dei rifugiati sono donne, il 40% minori (49 milioni). 2,3 milioni sono nati nella precaria condizione di rifugiati. A fuggire sono intere famiglie, a volte donne sole con figli piccoli, altre volte minori non accompagnati. È un’umanità dolente e impaurita, non un’orda di rapaci conquistatori.

È sempre istruttiva inoltre la proporzione dei rifugiati rispetto ai residenti. Qui troviamo ancora una volta in testa alla classifica il martoriato Libano, con un rifugiato ogni otto abitanti, poi il Ciad con uno su 16, e in terza posizione la Giordania con uno su 18, lasciando da parte le due piccole isole caraibiche di Aruba e Curaçao, che accolgono numerosi profughi venezuelani in rapporto alla loro popolazione.

Un altro dato preoccupante riguarda la permanenza di due terzi dei rifugiati (il 66%) in situazioni di asilo protratte: in un limbo d’incertezza rispetto al futuro. Sono definite così le situazioni in cui oltre 25.000 rifugiati provenienti dal medesimo paese si trovano bloccati da oltre cinque anni in esilio in paesi a basso o medio reddito. Ciò significa in parecchi casi confinamento in campi profughi o in altre condizioni di precarietà abitativa, deterioramento delle capacità lavorative, caduta in spirali depressive, ansia per il futuro, danni per l’educazione dei figli. Negli ultimi vent’anni, queste situazioni stanno aumentando.

Qualche elemento positivo

Il rapporto offre però anche qualche spunto positivo. Quasi 10 milioni di rifugiati ( 9,8 milioni) sono rientrati nei luoghi di origine, tra cui 1,8 milioni di rifugiati internazionali, anche se non sempre volontariamente. Gli sfollati interni sono più esposti alle pressioni dei loro governi, e meno tutelati da ciò che resta del diritto internazionale. Alcuni governi, come quello  turco, hanno attuato misure di rimpatrio anche nei confronti dei rifugiati internazionali. Il cambio di regime in Siria e le speranze di rinascita del paese hanno contribuito ad alimentare i ritorni. 

Quasi 190.000 rifugiati hanno invece potuto reinsediarsi in un paese più sicuro, grazie ad apposite politiche governative, benché la nuova presidenza Trump metta ora in serio pericolo questo risultato, il più alto finora registrato, essendo gli Stati Uniti tradizionalmente il paese più impegnato in questa politica. Già la prima presidenza Trump aveva drasticamente ridotto i reinsediamenti attuati dal governo statunitense. In terzo luogo, da alcuni paesi i flussi di profughi tendono a rallentare, come nel caso afghano: c’è da sperare che non sia solo l’esito di maggiore repressione e minore accoglienza.

Le richieste d’asilo nell’Unione Europea

Mentre il numero dei rifugiati nel mondo è aumentato, nell’UE+ le richieste d’asilo nel 2024 sono diminuite: 1.014.000, 11% in meno del 20231. Le domande presentate da siriani (151 000), afghani (87 000) e turchi (56 000) sono diminuite rispettivamente del 17 %, 24 % e 45 % rispetto al 2023. Sono diminuite anche le richieste d’asilo dei cittadini colombiani (52.000, -18%), mentre sono aumentate quelle dei venezuelani (74.000, + 9%).

In testa alla classifica dei paesi riceventi rimane come negli scorsi anni la Germania (237.000 domande), ma  segnando un -29% rispetto al 2023. Al secondo posto si colloca la Spagna, con 166.000, mentre l’Italia affianca la Francia in terza posizione: 159.000, pari a circa il 16% del totale UE+.  Questi dati suggeriscono almeno due riflessioni: che governanti, media e opinione pubblica traggano un sospiro di sollievo nel vedere diminuire le richieste d’asilo, mentre aumentano nel mondo, è un sintomo inquietante dell’abbandono dei principi umanitari e degli stessi valori costituzionali. In secondo luogo, il lamento di parte italiana di essere il principale paese d’approdo delle persone in cerca di asilo è ancora una volta smentito dai dati. Anche una parte delle persone che sbarcano in Italia passano il confine e presentano domanda di asilo in altri paesi.

La disponibilità ad accogliere

In parallelo, UNHCR ha diffuso altri dati, ricavati da un sondaggio internazionale realizzato in collaborazione con IPSOS. Riguardano la disponibilità ad accogliere, e disegnano un quadro meno pregiudizievole di quanto il dibattito politico avrebbe fatto pensare:  la maggioranza delle persone intervistate (22.000, in 29 paesi) pensa che i paesi più ricchi dovrebbero assumersi maggiori impegni  nel sostenere i rifugiati. In particolare,  lo pensa il 67% degli italiani, sia nei confronti di quelli accolti sul nostro territorio, sia verso quelli ospitati da altri paesi. Inoltre, il 49% degli italiani ritiene  che la maggior parte dei rifugiati riusciranno a integrarsi con successo, superando i pessimisti (43%). Altri dati tuttavia sono più contraddittori:  il 49% degli intervistati a livello globale vorrebbe la chiusura totale delle frontiere del proprio paese per i rifugiati, anche se in Italia il dato scende a un pur preoccupante 40%. 

In sostanza, l’opinione pubblica non appare nettamente contraria ai profughi, e lo è tanto meno in Italia. Sembra piuttosto oscillante, contesa fra emozioni contrastanti, incline all’apertura  ma indecisa, e quindi manipolabile. Di qui l’importanza di un’informazione corretta e della diffusione di dati obiettivi. Ma serve anche e soprattutto l’incontro tra le persone, la conoscenza degli altri, la costruzione di comunità inclusive.

  1. https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/4187/Unione-europea-nel-2024-richieste-di-asilo-diminuite-dell11, 17 marzo 2025