Nuove consapevolezze sviluppate nelle RSA durante l’epidemia


Pietro Vigorelli | 9 Giugno 2020

In questo articolo vorrei riflettere su alcune consapevolezze che sono emerse o che possono emergere a seguito dell’emergenza che stiamo ancora vivendo.

Siamo abituati a porci come obiettivo del nostro operare nelle RSA il benessere degli anziani che ci vivono, ma non basta. Se vogliamo davvero promuovere il benessere dobbiamo allargare il nostro sguardo.

 

L’importanza della sorveglianza medica

Adesso, come prima e più di prima, siamo consapevoli che alla base del benessere c’è la cura della vita e della sopravvivenza. Il ruolo medico e quello della prevenzione delle malattie infettive è di primaria importanza, facendo però attenzione al rischio che diventi totalizzante fino a soffocare la vita stessa e la possibilità di relazionarsi col prossimo.

 

Il benessere degli operatori

In queste strane settimane gli operatori hanno continuato a lavorare bardati con mascherine e visiere, tute integrali e sovra-tute, doppi guanti e calzari, qualche volta col pannolone loro stessi.

Lavorare è diventato più difficile e faticoso. Molti operatori vivevano nella paura costante di restare contagiati e di portare il virus nelle loro case. Il superlavoro, il rischio e la fatica in qualche caso hanno fatto da innesco a una dedizione eroica al lavoro stesso, in altri casi hanno creato nervosismo, irritabilità e burn-out. In qualche RSA il clima relazionale è diventato quasi insostenibile. Anche a causa delle disposizioni che si susseguivano, accavallandosi e modificandosi di giorno in giorno, in qualche caso si è sviluppata l’anarchia. Ciascuno interpretava le disposizioni in modo diverso, criticava l’altro, si sentiva non protetto, insicuro, minacciato.

 

Oggi è più che mai evidente che una buona assistenza ha bisogno di buone condizioni di lavoro per gli operatori, di norme di comportamento chiare, condivise e sostenibili. Il benessere degli anziani residenti è legato anche a questo, al benessere degli operatori. Chi ha responsabilità organizzative, amministrative e di coordinamento non deve occuparsi solo del benessere degli ospiti ma anche di quelli che li assistono.

Gli operatori hanno bisogno di attenzione, di ascolto e di riconoscimento. Dirigenti e coordinatori devono occuparsi anche del loro benessere e devono fare in modo che gli operatori se ne rendano conto.

 

Il benessere dei familiari

Molte RSA hanno chiuso le porte ai parenti prima del lockdown ufficiale. Lo hanno fatto per salvaguardare la salute degli anziani residenti ma non sono state capite. Ci sono stati momenti difficili, incomprensioni, conflitti e liti con aggressioni verbali. Gli operatori da una parte e i familiari dall’altra, ciascuno era portatore di legittimi desideri, bisogni, emozioni. Ma le conclusioni operative erano opposte e fonte di conflitti insanabili. Ciascuno era in preda a emozioni tanto forti da ostacolare l’ascolto dell’altro e del suo legittimo punto di vista.

Il rapido diffondersi dell’epidemia ha presto attenuato i conflitti, le critiche iniziali hanno lasciato il posto alla consapevolezza che le scelte restrittive fatte dalle RSA più rigorose erano adeguate alla situazione e ne è nato anche un senso di gratitudine. Le videochiamate hanno poi ristabilito il collegamento tra il mondo interno e il mondo esterno. A fronte di questa realtà, purtroppo altre RSA non hanno percepito il peso dei rischi e non hanno preso  provvedimenti adeguati e tempestivi; molte sono tuttora sotto indagine giudiziaria per manchevolezze e inadempienze relative alla situazione caotica delle prime settimane.

 

In questa emergenza è risultato evidente che l’anziano che vive in RSA non è in carico totale alla Struttura.  I familiari reclamano un ruolo. Dal punto di vista dell’Approccio Capacitante noi vorremmo che anche gli anziani residenti fossero riconosciuti come protagonisti e decisori della propria vita, per quanto possibile.

Da più parti ci si è resi conto che per il benessere degli anziani residenti è necessario che la RSA si prenda cura anche dei familiari. La relazione con i familiari va curata in modo appropriato e rispettoso per favorire l’instaurarsi di un’alleanza, indispensabile per il benessere degli anziani, degli operatori e dei familiari stessi.

Credo che a questo livello ci sia ancora molto da fare.

 

Le attività di base della vita quotidiana

Da quando le attività di gruppo e le visite dei familiari sono state sospese, hanno assunto la massima importanza le attività di base della vita quotidiana, a partire dal risveglio.

L’ingresso in stanza al mattino, accendere la luce, alzare le coperte, fare l’igiene (così si dice nel gergo assistenziale), utilizzare la toilette, sono atti che possono creare benessere o malessere. Altrettanto si può dire per l’alzarsi, il vestirsi, il camminare, fare colazione.

Queste attività prima della pandemia erano considerate importanti perché servivano per qualcos’altro: prepararsi a fare la fisioterapia o a partecipare ad attività di animazione. Adesso che tutto questo è sospeso ci si è resi conto dell’importanza primaria delle attività di base della vita quotidiana: queste attività sono importanti in se stesse, per se stesse, non solo perché sono necessarie per prepararsi a qualcos’altro. Molto importante è il modo in cui l’operatore svolge la sua attività assistenziale in queste fasi.

Se fino a ieri l’attenzione era sul dopo, adesso l’attenzione deve concentrarsi sul qui e ora di quello che sto facendo. Se prime facevo le cose in fretta, pressato dal minutaggio e dal lavoro che devo fare dopo, adesso bisogna che troviamo modelli organizzativi che permettano di svolgere queste attività con il tempo necessario. Dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un tempo di cura da cui può nascere benessere o malessere, durante il quale l’anziano può sentirsi rispettato o “cosificato”. Il ritmo deve essere a misura dell’anziano, deve essere lento; è necessario fare riferimento alla slow care. Lavarsi, spostarsi, alimentarsi sono le attività più importanti della giornata e come tali devono essere trattate. Il lavoro degli OSS deve essere completamente rivalutato.

 

Sul vivere e il morire

Chi vive in RSA può star bene o star male. Ho conosciuto persone che sono state ricoverate contro la loro volontà, oppure del tutto ignare, che fin dal primo momento si sono sentite ingannate e hanno rifiutato la nuova situazione. Qualcuno si è progressivamente adattato, dopo qualche settimana o qualche mese. Qualcuno invece non si è mai adattato e persiste in uno stato di rifiuto e di rabbia, sviluppando disturbi comportamentali che vanno dall’aggressività all’opposizione, al rifiuto del cibo e della vita stessa. Qualcun altro, meno numerosi, è stato contento fin dal primo giorno; si è sentito accudito, protetto, amato, ha trovato compagnia.

Con l’Approccio Capacitante noi cerchiamo di favorire l’evoluzione più favorevole: la convivenza sufficientemente felice tra anziani residenti, operatori e familiari.

La strage di anziani che c’è stata in molte RSA ha fatto nascere una nuova consapevolezza negli operatori: chi viene a vivere in RSA è destinato a morire in RSA. Detto così è disperante, demotivante. Ma forse non lo si sapeva già da prima? Forse la morte non è il destino comune a tutti, da sempre, anche per gli operatori?

Certo, tutto era già noto, ma l’aver assistito a numerosi decessi in poco tempo, ascoltare alla TV tutti i giorni il numero dei morti da Coronavirus ha segnato profondamente gli operatori, ha suscitato nuova consapevolezza e nuove riflessioni.

Adesso credo che siano opportune due grandi riflessioni da sviluppare insieme, operatori e formatori e, forse, operatori, familiari e formatori:

  • sull’invecchiare, l’assistere alla riduzione della propria autonomia, il morire;
  • sul vivere e vivere bene nonostante l’invecchiamento e la vita in una nuova casa, la RSA.

 

Vivere bene e vivere male in RSA

La riflessione sul vivere bene in RSA deve essere radicalmente nuova, senza lasciarsi condizionare dagli schemi della normalità cui abbiamo fatto riferimento fino ad ora, senza appiattirsi sulla rilevazione schematica della “qualità di vita”, come si dice nel gergo geriatrico.

Le parole chiave su cui riflettere sono

  • Normalità
  • Casa
  • Benessere
  • Convivenza

Dovremo interrogarci:

  • Che cosa desiderano i nostri anziani?
  • Come vorremmo, noi stessi, vivere in una RSA in condizioni di ridotta autosufficienza?

 

Poi dovremmo cercare di tradurre i risultati delle nostre riflessioni in scelte organizzative.

L’Approccio Capacitante ha già dato risposte preliminari, indicando il riconoscimento delle competenze elementari (competenza a parlare, a comunicare, emotiva, a contrattare, a decidere) come condizione necessaria per vivere dignitosamente e convivere in modo sufficientemente felice.

Adesso bisogna fare un passo avanti, bisogna cercare nuove forme di vita comune (e di rispetto sostanziale della privacy e della volontà di ciascuno) e di attività (o di non attività), con fantasia, con audacia e realismo.

Dopo 100 giorni contrassegnati dalla malattia, dalla morte e dalla paura di morire, dobbiamo aprirci a nuovi pensieri e nuovi scenari, per una organizzazione delle RSA e una vita che sia migliore della precedente e che sia realizzabile.


Commenti

La relazione con i familiari va curata in modo appropriato e rispettoso per favorire l’instaurarsi di un’alleanza, indispensabile per il benessere degli anziani, degli operatori e dei familiari stessi. Ma spesso tutto ciò sembra essere pura utopia. Le richieste e le rimostranza, nonché suggerimenti dei familiari vengono viste come mancanza di fiducia nell’operato delle RSA stesse e quindi con sospetto. I familiari spesso subiscono le decisioni senza possibilità di replica. Le autorità locali competenti non informano sui diritti e non intervengono per tutelare la parte debole che ricordiamo essere l’anziano e la sua famiglia.

Gentile Dott. Vigorelli, i suoi contributi e le sue riflessioni scritte sono sempre interessanti e precise, reali considerazioni che aprono a sviluppi di pensiero riflessivo individuale e collettivo.
Le nuove consapevolezze emerse e gli interrogativi che pone e suggerisce sui quali dovremmo interrogarci “che cosa desiderano i nostri anziani” e che cosa vorremmo, noi stessi,vivere in una RSA..” ritengo dovrebbero essere capisaldi e basi per i futuri ragionamenti.
Mi permetterei di “aggiungere” o suggerire nelle parole base sulle quali riflettere anche il complesso ed ampio concetto di “salute”, troppe volte ancora considerato come “semplice” “assenza di patologia”.
Esprime sempre con apparente precisa ed “estrema facilità” ampi e complessi contenuti e concetti.
Fantasia, audacia e realismo.
Cordiali saluti,
Laura Sorge

Gentile Laura Sorge, grazie per la sua aggiunta. Anche l’OMS definisce la salute in modo più ampio, come benessere che coinvolge non solo la sfera fisica, ma anche quella psicologica e sociale. Per tradurre il concetto in termini pratici, occuparsi di salute comporta anche l’occuparsi delle relazioni e in particolare di quella che noi costruiamo con la persona che assistiamo.

Gentile Andrea, sono convinto che l’attenzione ai familiari e il loro coinvolgimento da parte degli operatori non sia una semplice opzione ma sia fondamentale per il benessere dei familiari stessi, degli anziani residenti e degli operatori. Bisognerà riparlarne.

Buongiorno sto lavorando alla definizione di una valutazione infermieristica dell’ospite di RSA che tenga conto anche di tutti quegli aspetti che da sempre ho “intuito” ma che lei così bene ha declinato.
Di solito per la valutazione infermieristica dell’ospite RSA ci si riferisce al modello concettuale di ROPER delle attività di vita, ma esistono anche altri approcci che possano mettere in risalto le competenze elementari e che possano sistematicamente valutarli?
MIlle grazie

Gentile Paola, il mio suggerimento è di concepire una valutazione-intervento. In altre parole si tratta di fare una formazione sulle competenze elementari, poi somministrare un questionario di autovalutazione in cui si chiedono esempi di situazioni concrete in cui l’operatore ha osservato/facilitato l’emergere di ciascuna delle 5 competenze elementari. La chiamo valutazione-intervento perché stimola l’attenzione e la consapevolezza dell’operatore.
Pietro Vigorelli (pietro.vigorelli@gruppoanchise.it)