Più integrazione, più sicurezza

Cause e rimedi del tasso di criminalità degli stranieri


Franco Pesaresi | 8 Gennaio 2020

Il tema del rapporto fra immigrazione e criminalità è un tema molto delicato perché si presta a facili strumentalizzazioni o a semplificazioni basate su ciò viene percepito piuttosto che su ciò che accade davvero.

Ad alimentare la percezione del rapporto fra immigrazione e criminalità è soprattutto il dibattito politico che, senza far riferimento a dati oggettivi, da una parte alimenta ingiustificate paure nella popolazione per suscitare reazioni che favoriscano la propria parte politica e dall’altra parte si nega la più elevata delittuosità degli stranieri dipingendo un mondo ideale che ancora non c’è.

La realtà è molto più complessa ed è fatta di fenomeni di segno diverso che è necessario conoscere  se vogliamo comprenderli e governarli.

 

Partiamo dai dati

Gli italiani sono responsabili del 70% circa dei reati che si commettono in Italia mentre  la quota rimanente del 30% è commessa  dagli stranieri a fronte però di una presenza di stranieri residenti dell’8,5%.

Gli immigrati commettono reati in misura che è 3-4 volte quella dei nativi italiani anche se occorre sottolineare che tale proporzione è in costante riduzione.

Il 70% di tutti i reati commessi dagli stranieri viene commesso dagli stranieri irregolari che, in realtà, costituiscono solo il 10% circa di tutti gli stranieri presenti in Italia. (Pesaresi, 2019a, 2019b)

 

Da che cosa dipende il tasso di criminalità degli stranieri? Comprendere questo aspetto è cruciale per definire le politiche migratorie e quelle della sicurezza.

Una delle ragioni è da ricercare nei flussi immigratori tumultuosi e sostanzialmente incontrollati, che hanno particolarmente caratterizzato l’Italia nella sua fase immigratoria iniziale, ma che ancora in parte sussistono. Una situazione immigratoria con queste caratteristiche ha necessariamente portato a  maggiori problemi di assimilazione e integrazione degli immigrati tanto più in un paese come il nostro che ha vissuto e vive una situazione di difficoltà socio-economica (Solivetti, 2018).

Le ricerche condotte in molti paesi affermano che la tendenza a delinquere degli stranieri scende con l’aumento del reddito e il ricongiungimento familiare, o comunque con la costruzione di nuclei familiari stabili. A pesare molto, pertanto, è la condizione di marginalità dell’individuo (Allievi, Dalla Zuanna, 2016).

Gli studi realizzati nel corso del tempo per comprendere le cause del diverso contributo di nativi e stranieri alla delittuosità hanno rilevato che uno dei fattori principali in qualche modo legato al comportamento deviante degli stranieri è il loro grado di integrazione sociale (Solivetti, 2014; Fondazione Hume, 2016). In questo quadro, coloro che sono mediamente meno assimilati e meno integrati socialmente ed economicamente hanno maggiori probabilità di ricorrere al crimine.

Laddove l’integrazione è del tutto inesistente come nel caso degli stranieri irregolari i tassi di criminalità sono elevatissimi. Per cui la causa più importante degli elevati tassi di criminalità dipende dallo status di irregolare che non permette un accesso al mercato del lavoro regolare (e, quindi, ad opportunità di guadagno lecite) per cui la modifica dello status legale potrebbe disincentivare notevolmente il coinvolgimento in attività criminali. Ci sono degli studi e delle prove che lo confermano.

 

Il prof. Pinotti (2017) dell’Università Bocconi ha analizzato due situazioni per dimostrare che la fuoriuscita dall’irregolarità degli immigrati ovvero la loro integrazione riduce in modo molto significativo il tasso di criminalità degli stranieri.

Il primo caso fa riferimento all’agosto del 2006, quando il procedimento di “indulto” ha rilasciato dalle carceri italiane 25.000 detenuti, tra cui 9.000 stranieri. Cinque mesi dopo, il 1° gennaio 2007, i cittadini rumeni e bulgari hanno ottenuto lo status legale di cittadino comunitario in Italia a seguito dell’allargamento a Est dell’Unione Europea. Ebbene, il ricercatore ha confrontato la recidività degli ex detenuti rumeni e bulgari con quella degli ex-detenuti cittadini dagli Stati candidati membri dell’Unione Europea (Albania, Croazia, ecc.) ed ha dimostrato che nei cinque mesi precedenti, la percentuale di individui re-incarcerati per aver commesso un crimine si colloca intorno al 5,7% per entrambi i gruppi. Nei mesi successivi, tuttavia, la recidività diminuisce di circa la metà per rumeni e bulgari, rispetto agli altri detenuti. Tale effetto è spiegato da una forte diminuzione dei crimini con una motivazione economica (come i reati contro la proprietà e il traffico di stupefacenti) ed è più ampio nelle regioni settentrionali, che offrono maggiori opportunità di lavoro agli immigrati regolari. Poiché i due gruppi mostravano caratteristiche assai simili prima dell’ampliamento dell’Unione Europea, la riduzione del tasso di recidività può essere attribuita all’effetto causale dello status legale di cittadino comunitario e quindi non più irregolare, piuttosto che ad altre differenze tra i due gruppi considerati (Mastrobuoni, Pinotti, 2015).

 

Il secondo caso prende invece in considerazione il “Decreto flussi” del 2007 che stabilisce le  quote prefissate di permessi di soggiorno per l’anno successivo e le relative procedure per la concessione dei permessi. In quell’anno, le domande sono inviate per via telematica durante i cosiddetti “Click Day” e vengono processate in ordine di arrivo, fino all’esaurimento delle quote disponibili. I dati forniti dai Dipartimenti Libertà civili e Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno mostrano che, durante l’anno successivo, coloro che sono rientrati nelle quote (e hanno quindi ottenuto lo status legale) commettono molti meno crimini rispetto a coloro che ne sono rimasti esclusi. Dal momento che gli appartenenti a questi due gruppi sono sostanzialmente identici (fatta eccezione alcuni secondi di ritardo nell’invio della domanda telematica) tale differenza nella probabilità di commettere crimini è riconducibile all’effetto dello status legale. Il risultato è che il tasso di delittuosità si dimezza, a seguito soprattutto della diminuzione di crimini con motivazione economica (Pinotti, 2017) quando si attivano processi di integrazione.

 

Valutazioni conclusive

Risulta pertanto del tutto evidente che per realizzare una società più inclusiva e per ridurre i tassi di criminalità degli stranieri che sono significativamente superiori a quelli dei nativi occorre intervenire sulle cause del fenomeno e quindi attivare due azioni politiche fra loro convergenti e coordinate:

  1. Politiche per aumentare l’integrazione degli stranieri. Gli stranieri integrati sono interessati a difendere i valori della società e lo status raggiunto e quindi più attenti a comportamenti adeguati come la storia delle comunità straniere di più antica immigrazione ha dimostrato;
  2. Politiche per la radicale riduzione della presenza degli irregolari. Le politiche di sicurezza rivolte agli stranieri irregolari sono più complesse di quelle rivolte ad altro tipo di criminalità perché hanno bisogno di essere integrate con altre politiche. In questo caso, infatti, l’aumento delle pene o una diversa organizzazione delle forze di polizia possono produrre risultati contingenti ed ordinari che non sono comunque in grado di ridurre il numero degli irregolari e di contrastare le motivazioni alla base dei reati da loro commessi. Risulta facile constatare che gli stranieri irregolari, non potendo lavorare regolarmente, sono facilmente esposti al lavoro nero o alla criminalità dovendo comunque procurarsi di che vivere. La riduzione dei reati passa anche e soprattutto attraverso la radicale riduzione del numero degli irregolari che si realizza con un mix di misure che, oltre che a guardare alle politiche di sicurezza, facciano esplicito riferimento alle politiche integrate dell’immigrazione: governo dei flussi migratori, rimpatri effettivi, leggi che non producano ulteriori irregolari, modifica dei trattati europei, sanatoria per alcune categorie di lavoratori in nero come le badanti. Occorre, infatti, tener conto della composizione variegata degli irregolari che comprende anche una quota stabile di lavoratori in nero come le “badanti” che probabilmente costituiscono almeno un quinto degli stranieri irregolari e la cui presenza è importante per l’assistenza alle persone non autosufficienti.

 

Le due politiche sono necessarie per aumentare il livello di coesione sociale e di sicurezza del paese ma possono essere efficaci solo se verranno realizzate in modo coordinato ed integrato e con una pluralità di strumenti. Gli stranieri regolari possono essere degli alleati in queste politiche di promozione della legalità perché la criminalità, in diverse situazioni, offusca le valenze positive dell’immigrazione.

Fino ad oggi le politiche sono state parziali: poca integrazione e demandata al solo livello locale e politiche per la sicurezza poco efficaci demandate in gran parte all’aumento delle pene. In sostanza, sinora abbiamo avuto politiche non focalizzate sulle cause.

In realtà ciò che serve è più integrazione e più sicurezza. Ma insieme.