Profilazione dei bisogni complessi: un’opportunità anche per il sociale?


Il contesto di riferimento

Lo scenario economico e sociale degli ultimi due anni ha visto, oltre ad un consistente allargamento della platea dei poveri e ad un acuirsi delle fragilità per chi era già fragile, una crescente complessificazione dei bisogni delle persone e delle famiglie1. Oggi la maggior parte di coloro che si trovano in condizione di povertà presenta una situazione multiproblematica: spesso fragilità e disagio socio-economico gravi e radicati sono correlati a problematiche sociali e danno luogo a gravi difficoltà di tipo comportamentale, relazionale ed emotivo, sulle quali la disoccupazione agisce da moltiplicatore. Se consideriamo ad esempio i profili dei beneficiari di Reddito di Cittadinanza, quello che emerge sono situazioni di estrema vulnerabilità, connotate dalla distanza dal mercato del lavoro, da titoli di studio medio-bassi e in molti casi da quadri sanitari compromessi. L’ultimo monitoraggio Anpal sui profili dei beneficiari orientati al percorso lavorativo ha evidenziato come solo il 48,5% abbia avuto una qualche esperienza lavorativa negli ultimi tre anni, dei quali solo il 36,7% con occupazione all’ingresso nella misura o con occupazione cessata nell’anno precedente l’accesso al beneficio2. Il 51,1% dei beneficiari risulta lontano dal mercato del lavoro perché senza occupazione, nemmeno “antica”, né esperienza professionale pregressa, specie tra i giovani NEET, con età inferiore ai 30 anni. Anche per questi soggetti, dunque, formalmente orientati al percorso lavorativo, spesso mancano le condizioni minime per un intervento di politica attiva del lavoro, in termini di tempo sufficiente, motivazione, proattività, competenze linguistiche di base. Di conseguenza il modello “lineare” di attivazione lavorativa che le misure di contrasto alla povertà sembrano sottintendere, fatto di: presa in carico -> inserimento in percorsi di politica attiva -> rientro nel mercato del lavoro -> uscita dalla povertà, appare sempre più lontano dalle dinamiche reali e comunque destinato ad una platea circoscritta. Con questo non si vuole certamente sostenere che le politiche attive del lavoro non debbano essere erogate alle persone in condizione di fragilità, né tantomeno che ai poveri non possano essere date opportunità concrete di reinserimento lavorativo. Il punto è che la presa in carico di persone con fragilità multiple è operazione molto complessa, che richiede risorse e strumenti idonei, in parte ancora da costruire.  

Cosa si intende per profilazione

Una strada ad oggi poco percorsa, e forse vista con una certa diffidenza dagli operatori del sociale, ma probabilmente con potenzialità significative, è quella della profilazione degli utenti e del targeting dei servizi. Si tratta cioè di segmentare le fragilità multifattoriali delle persone in categorie omogenee, a cui far corrispondere progetti di intervento mirati, differenziati per le diverse categorie, da declinare poi rispetto agli individui (perché l’approccio al singolo caso deve rimanere tailor made). Facciamo anzitutto chiarezza su cos’è la profilazione e sulle sue potenzialità. Si tratta di uno strumento diagnostico utile a fini organizzativi: serve a categorizzare i bisogni complessi, perché fornisce un quadro di riferimento per l’analisi della domanda, e a guidare nella scelta delle risposte in termini di servizi da erogare. La profilazione può basarsi sull’utilizzo di dati quantitativi ovvero di informazioni qualitative, e restituisce un profilo sintetico della persona alla luce del quale indirizzare la strategia di intervento secondo un principio di appropriatezza. In prima battuta, lo strumento supporta direttamente gli operatori fornendo riferimenti oggettivi a cui ancorare le decisioni sul mix di servizi più appropriato rispetto al bisogno del singolo utente: questo non riduce lo spazio di autonomia e i margini di decisionalità, ma può agire come correttivo rispetto agli eventuali condizionamenti che incidono sulle scelte progettuali. Rispetto all’organizzazione in cui l’operatore è inserito, la profilazione – che implica l’adozione di un metodo di lavoro omogeneo – favorisce lo sviluppo di un approccio e di prassi condivise. Infine, a livello di sistema, la profilazione favorisce un impiego delle risorse economiche meglio calibrato in termini di rapporto tra spesa e livello di bisogno.  

La profilazione in ambito lavorativo

Un ambito che ha visto, nel quadro del riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro avviato nel 20153, una valorizzazione importante della profilazione come strumento per indirizzare l’erogazione dei servizi è quello delle politiche attive per il lavoro, rispetto alle quali è stato previsto l’utilizzo generalizzato sia della profilazione quantitativa che di quella qualitativa. Consideriamone quindi le caratteristiche. La profilazione quantitativa si basa su un modello statistico-predittivo ed indica la distanza del soggetto dal mercato del lavoro, quindi la minore o maggiore occupabilità. Per il calcolo si utilizzano sia variabili individuali (quali età, genere, titolo di studio, condizione professionale dell’anno precedente, durata della disoccupazione), che territoriali (ad esempio tasso di occupazione provinciale e relative variazioni, densità imprenditoriale regionale, ecc.). L’indice di profilazione restituisce una informazione sulla probabilità di non essere occupati a distanza di 12 mesi, con un valore compreso tra 0 e 1: più è vicino a zero, più la persona è facilmente occupabile; più è vicino a 1, più è difficilmente occupabile. Ad esempio, l’indice di profilazione dei beneficiari di Reddito di Cittadinanza soggetti al Patto per il lavoro è pari a 0,876, un valore che attesta la debolezza di cui si diceva più sopra, rispetto alle probabilità di questa utenza di essere collocata nel mercato del lavoro4. Poiché questo indice viene calcolato in tutti i casi in cui un soggetto rilascia la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DID), e poi periodicamente aggiornato, la profilazione quantitativa è applicata su larga scala5.   La profilazione qualitativa è, invece, realizzata dagli operatori dei Centri per l’impiego nell’ambito dei servizi di orientamento di base. In questo caso vengono prese in considerazione informazioni relative a: frequenza, modalità e motivazioni con cui gli utenti si rivolgono ai Centri per l’impiego; aspettative, risorse personali messe in campo e difficoltà incontrate nella ricerca di lavoro; strategie e canali nella ricerca. L’indice è definito dall’operatore stesso, che sulla base delle informazioni raccolte e tenuto conto dell’esito della profilazione quantitativa attribuisce un valore compreso tra 1 (meno occupabile) e 5 (più facilmente occupabile). La profilazione qualitativa è entrata a regime solo a partire dal mese di ottobre 2019 e alla fine dell’anno risultava coinvolto soltanto l’11% del totale degli utenti dei Centri per l’Impiego; tale percentuale è poi cresciuta, arrivando a marzo 2020 al 32,8% degli utenti. È interessante osservare, da un lato, che le attività di profilazione qualitativa sono state nella maggior parte dei casi effettuate nell’ambito della misura del Reddito di Cittadinanza (90% degli utenti interessati da questa attività); dall’altro, che nella maggior parte dei casi gli utenti coinvolti hanno ottenuto, anche con questa valutazione, indici bassi o medio-bassi, a ulteriore testimonianza delle difficoltà in termini di occupabilità.6 Inoltre il sistema dei servizi per il lavoro prevede, nel caso in cui emergano indicatori di particolare fragilità della persona, una profilazione qualitativa approfondita nell’ambito della quale sono prese in considerazione le caratteristiche personali dell’utente; le risorse e le criticità socio-relazionali; le disponibilità, le aspettative e i limiti rispetto al mercato del lavoro e all’occupazione cercata; le condizioni oggettive rilevanti ai fini della collocabilità lavorativa, quali ad esempio la diagnosi di invalidità oppure la presa in carico da parte dei servizi territoriali.   L’accento sulla necessità di profilare i bisogni e di personalizzare gli interventi dei beneficiari più fragili è sottolineato con forza anche dal recentissimo Programma GOL – Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, nell’ambito della Missione 5, componente 1 del PNRR. L’insieme dei lavoratori in transizione, disoccupati e in cerca di occupazione, a cui GOL si rivolge, è molto eterogeneo in quanto a vicinanza al mercato del lavoro; da qui dunque la necessità che il supporto che le politiche attive possono fornire sia differenziato a seconda dell’età, del livello di competenze, della complessità del bisogno, delle esigenze di conciliazione e cura, ma anche del contesto del mercato del lavoro di riferimento, dei fabbisogni espressi dalle imprese, delle concrete opportunità occupazionali. Sulla base del confronto tra domanda e offerta di competenze – skill gap – possono essere individuati specifici percorsi per gruppi di lavoratori con bisogni simili che spaziano dall’inserimento lavorativo, all’aggiornamento e riqualificazione, all’inclusione.  

Qualche considerazione di sintesi

L’esperienza dei servizi per il lavoro, con le luci e le ombre connesse alle difficoltà nella messa a regime degli strumenti, fornisce alcuni spunti di riflessione rispetto all’utilizzo della profilazione anche nel comparto del sociale. Due aspetti possono senz’altro essere sottolineati. Innanzitutto, la profilazione non rappresenta un passaggio meramente burocratico né genera automatismi nella scelta dei servizi e degli interventi, perché il ruolo dell’operatore rimane sempre centrale. La profilazione in questo senso può considerarsi una risorsa organizzativa, che favorisce il consolidamento di protocolli di gestione degli interventi e una più tempestiva ed efficace risposta agli utenti rispetto a bisogni in realtà omogenei, ma spesso trattati in maniera arbitrariamente differente. Affinché questo possa avvenire – e questo è il secondo aspetto da sottolineare – è necessario mappare e classificare la tipologia dei bisogni e il grado di fragilità, da un lato, ed il sistema dell’offerta e le diverse tipologie di interventi attivabili (targeting), dall’altro. Se guardiamo adesso in particolare al lato della domanda, il processo di clusterizzazione per omogeneità di caratteristiche e di profili di fragilità consentirebbe di meglio circoscrivere, e poi ulteriormente segmentare, la complessità dei bisogni di cui sono portatori gli utenti che afferiscono ai servizi sociali, in funzione dei loro livelli di vulnerabilità o di svantaggio conclamato. I primi sono contraddistinti da bisogni sociali complessi che, spesso, non precludono la riattivabilità lavorativa, e quindi evidenziano un disagio economico intermittente, la capacità di mantenere l’integrazione sociale, pur nella disuguaglianza delle condizioni di autonomia personale quotidiana e delle capacità esecutive e decisionali. I secondi presentano invece una situazione di fragilità multifattoriale radicata nel tempo ed una limitata autonomia, tali da richiedere un intervento di protezione sociale. La “profilazione per il sociale” potrebbe quindi essere utilmente sperimentata in particolar modo con riferimento alle situazioni di vulnerabilità, che implicano la necessità di sviluppare un linguaggio comune e condiviso tra differenti servizi e professionalità, al fine di calibrare l’attivazione dei percorsi di inclusione socio-lavorativa anche gestendo al meglio gli snodi tra le filiere dei suddetti servizi. L’elemento comune di questi percorsi, come dice bene il già citato Programma GOL, è la considerazione che le politiche attive del lavoro da sole non sono sufficienti a migliorare l’occupabilità del lavoratore, essendo presenti ostacoli e barriere che vanno oltre la dimensione lavorativa, quali scarse competenze di base, situazioni di disabilità, carichi di cura, ecc. Diventa quindi indispensabile, da una parte clusterizzare i bisogni, dall’altra orientare verso i percorsi di avvicinamento al mercato del lavoro più appropriati per i diversi target di utenza, attraverso una collaborazione fattiva tra servizi territoriali. La sfida è provare a semplificare, o meglio ricomporre la complessità dei bisogni, senza cadere in soluzioni semplicistiche. Certo la categorizzazione dovrà sempre essere poi declinata sulla singola persona e sulla singola famiglia, a garanzia di un approccio tailor made e di personalizzazione degli interventi.

  1. Mesini D., Pandemia e diseguaglianze, (ri)facciamo il punto”, Welforum.it, 28 gennaio 2022.
  2. ANPAL, Reddito di Cittadinanza. Condizione occupazionale dei beneficiari RdC, Nota n. 7, 2021
  3. D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183)
  4. Dato riferito al 30 settembre 2021 (Anpal, nota N.6/2021).
  5. Il modello statistico predittivo di profilazione, approvato nel 2016, viene infatti applicato all’intera popolazione in cerca di occupazione con età compresa tra i 15 e i 64 anni (Anpal, Il Profiling nei servizi per l’impiego, aprile 2018)
  6. Anpal, collana Focus, N.79 – luglio 2020