Riforma del Terzo settore: cosa è entrato in vigore e cosa ancora no


Gianfranco Marocchi | 16 Gennaio 2018

Si ringrazia Massimo Novarino per la collaborazione nella stesura dell’articolo

 

 

Una riforma “in via di attuazione”

La legge 106/2016, la Riforma del Terzo settore, ha avuto un momento fondamentale del suo ciclo attuativo con l’approvazione il 3 agosto scorso del d.lgs. 117/2017 (il “Codice del Terzo settore”, di seguito per brevità “Codice”) e degli altri decreti dell’estate 2017 di cui Welforum.it si è più volte occupato con gli articoli di Luca Degani e Luca Gori.

Tuttavia sarebbe errato pensare che per questo la Riforma sia pienamente operativa in tutte le sue parti, per diversi motivi.

Il primo è che i decreti attuativi a loro volta rimandano ad ulteriori decreti – circa quaranta – da approvarsi da parte di singoli ministeri e che ad oggi non sono stati adottati.

Il secondo è che le disposizioni fiscali (comunque già sulla base del decreto applicabili a partire dall’anno fiscale 2018) e di incentivazione che comportano benefici a vantaggio degli enti di terzo settore potranno entrare in vigore solo quando la Commissione Europea avrà dato atto che esse non costituiscono un elemento distorsivo della concorrenza e quindi ad oggi risultano non attive.

Il terzo è che, essendo talune disposizioni impegnative o per gli enti di Terzo settore o per le amministrazioni pubbliche, il Codice prevede tempi di adeguamento più o meno lunghi; in particolare:

  1. il Codice prevede che gli statuti degli enti di terzo settore debbano adeguarsi a determinate norme (ad esempio che “La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di ente del Terzo settore o l’acronimo ETS”, art. 12), ma prevede (art. 101) un tempo di 18 mesi – quindi fino a febbraio 2019 – affinché questo avvenga (peraltro concedendo di farlo in assemblea ordinaria, quindi senza spese notarili);
  2. Il Registro unico del Terzo settore – uno dei cardini del Codice, visto che un ente è considerato di terzo settore e può accedere ai benefici connessi quando risulta iscritto al registro unico – sarà pienamente operativo nel febbraio 2019, dal momento che (art. 53) vi è un anno di tempo per l’adozione dei provvedimenti attuativi nazionali (definizione dei documenti da presentare, disposizioni relative alla tenuta e gestione del Registro) e ulteriori sei mesi affinché le Regioni provvedano agli aspetti di propria competenza. Nel frattempo, dice il Codice (art. 101), il requisito dell’iscrizione al Registro … si intende soddisfatto attraverso l’iscrizione ad uno dei registri attualmente previsti dalle normative di settore” (Registro delle associazioni di promozione sociale, il Registro delle organizzazioni di volontariato, gli Albi regionali delle cooperative sociali)

Insomma, vi è un periodo transitorio in cui è necessario chiedersi quali disposizioni siano vigenti e quali siano rimandate ad un periodo successivo.

 

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha a tal fine diffuso il 29 dicembre scorso la Circolare “Codice del Terzo settore. Questioni di diritto transitorio. Prime indicazioni” nella quale fa il punto su alcuni degli aspetti relativi appunto ai tempi di attuazione della Riforma, su quali parti risultino immediatamente operative e quali no.

Quali norme si applicano oggi per definire se un ente è di terzo settore o meno?

Per rispondere a questa domanda, preliminarmente va considerata una distinzione, che assume rilievo in più punti, tra enti di terzo settore costituiti prima dell’entrata in vigore del 3 agosto 2017, data di entrata in vigore del Codice, ed enti costituiti in periodi successivi.

Ad esempio un’organizzazione di volontariato o un’associazione di promozione sociale costituita prima dell’entrata in vigore del Codice, sarà a tutti gli effetti “Ente di Terzo settore” se iscritta al proprio Registro sulla base delle norme che esso oggi prevede, anche se il suo statuto non è ad oggi coerente con il Codice stesso, dal momento che vi sono, come si è visto 18 per adeguarlo. Può iscriversi con l’attuale statuto – se coerente con il proprio attuale Registro – e non essere cancellata se già iscritta ed è per questo considerata un Ente di Terzo settore.

Al contrario per gli enti costituiti dopo l’entrata in vigore del Codice la circolare specifica che gli attuali registri dovranno comunque verificare l’adeguatezza degli statuti alle indicazioni del Codice (ad esempio sulla denominazione o sui settori di attività).

Le procedure semplificate sul riconoscimento della personalità giuridica sono in vigore?

Diverso il discorso rispetto alle procedure semplificate per il riconoscimento della personalità giuridica previste dall’art. 22 del Codice: quindi la possibilità di riconoscimento che invece di prevedere l’attuale iter “concessorio” presso la Prefettura, consenta alle associazioni e alle fondazioni di essere riconosciute per il fatto stesso di essere iscritte al Registro nazionale per il tramite del notaio che ne cura la costituzione (vedi in merito questo articolo di Luca Degani).

In questo caso, secondo la Circolare, sino alla piena operatività del Registro unico del Terzo settore vige l’attuale procedura presso il Prefetto; anche se, d’altra parte, si invita quest’ultimo a tenere in considerazione una delle semplificazioni introdotte dal Codice, quella relativa all’adeguatezza del patrimonio dell’ente: in sostanza a ritenere l’ente di terzo settore – quantomeno per questa caratteristica – adempiente e riconoscibile come persona giuridica qualora il suo patrimonio sia uguale o superiore a quanto previsto dal Codice (15 mila euro per le associazioni, 30 mila per le fondazioni).

Quali informazioni sugli enti di terzo settore vanno rese pubbliche?

Un’ulteriore previsione del Codice la cui applicazione viene rimandata alla piena operatività del Registro e quindi al febbraio 2019 è quella relativa agli elementi informativi che dovrebbero essere richiesti e resi pubblici nel Registro stesso (vedi art. 48 del Codice); quindi, afferma la circolare, non sarà compito dei vigenti registri settoriali richiedere tali informazioni ove non già previsto dalla normativa in essere.

 

Gli enti sono già tenuti a redigere un bilancio sociale?

Rispetto al bilancio sociale richiesto dall’art. 14 del Codice, a regime obbligatorio per le imprese sociali e per tutti gli enti di Terzo settore con ricavi, proventi o entrate superiori ad un milione di euro, la Circolare lo indica come facoltativo sino all’approvazione, attraverso decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del decreto sulle linee guida, ad oggi non ancora approvato.

Il numero minimo di soci

Il Codice prevede (art. 32 e art. 35) un numero minimo di soci per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale (7 persone fisiche o 3 enti), limiti non previsti dalla precedente normativa. Come comportarsi laddove tale limite non risulti rispettato?

La Circolare richiama anche in questo caso la distinzione tra enti costituiti dopo l’entrata in vigore del Codice, per i quali tali disposizioni risultano da subito vincolanti e da inserire entro gli statuti e gli enti preesistenti, che possono adeguarsi ad esse in sede di modifica dello statuto.

Il bilancio di esercizio

È invece sin da subito operativo per tutti gli enti, indipendentemente dalla data di costituzione, l’obbligo di redigere un bilancio di esercizio, ancorché non sia costituito il Registro unico ove depositarlo e ancorché non sia ancora stata approvata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali la modulistica che “traduce” le indicazioni contenute nell’art. 13 del Codice, che definisce in termini generali le informazioni che i bilanci devono contenere; ciò dando atto, nella Circolare, che tale mancanza determinerà nella fase transitoria una certa eterogeneità dei documenti contabili prodotti.

La pubblicazione su internet dei compensi a amministratori, dirigenti e soci

L’articolo 14 del Codice prevede che gli enti sopra i 100 mila euro annui di ricavi o entrate pubblichino sul sito internet proprio e della rete associativa cui aderiscono “eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati”. Questa previsione, spiega la circolare, non è in alcun modo condizionata all’istituzione del Registro e quindi è vigenze, sebbene si intenda operativa a partire dal 1/1/2019 a rendiconto di quanto corrisposto nel 2018, primo anno solare completo dopo la vigenza del Codice.

Si tratta, lo si ricorda, di una norma abbastanza controversa soprattutto se riferita al mondo cooperativo, ove la prescrizione di pubblicare i redditi non solo di amministratori e dirigenti, ma di ciascun socio pone problemi sia pratici che di privacy non indifferenti.

È possibile qualificarsi pubblicamente come “Enti di terzo settore”?

Ancora, la Circolare specifica che – seppure, come si è visto, gli enti già costituiti al 3/8/2017 possano, sino alla modifica dello statuto, non contenere nella denominazione la dizione Ente di Terzo settore o l’acronimo ETS – tutti gli enti iscritti a registri settoriali considerati equivalenti al Registro unico nella fase transitorio (e dunque i registri delle Organizzazioni di volontariato e delle Associazioni di promozione sociale) possono sin da subito qualificarsi – ad esempio nella corrispondenza, sul proprio sito, ecc. – come ETS. Non altrettanto si può dire, sino all’operatività del Registro unico, di enti pur anche in possesso delle caratteristiche che li faranno riconoscere, un domani, come di Terzo settore, ma non iscritti ai Registri considerati equivalenti nella fase transitoria: questi invece non possono qualificarsi nella corrispondenza e nei rapporti con terzi come ETS.

I Centri di servizio per il volontariato

Rispetto ai Centri di servizio per il volontariato, la Circolare ricorda come essi siano sono investiti da alcune previsioni rilevanti: il costituendo Organismo nazionale di controllo dovrà infatti accreditarli; ma, evidenzia la Circolare, nelle more della costituzione di tale Organismo (oggi non ancora presente), è necessario non dare soluzione di continuità ai CSV, dalla quale deriverebbe il venir meno dei servizi resi; gli attuali CSV restano quindi operativi sino a che l’Organismo nazionale avrà definito il successivo assetto dei Centri; allo stesso modo restano attivi in questa fase transitoria i Comitati di Gestione (Co.Ge).


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