Servizio sociale e pandemia in una prospettiva internazionale


Giovanni Cellini | 23 Marzo 2021

L’impatto della crisi pandemica sulle professioni sociali ha attivato processi di ridefinizione delle pratiche, che si sono combinati con un’attività di pensiero e riflessione diffusa, espressa anche in forma scritta. Diversi sono stati i contributi che hanno trovato spazio, ormai da un anno, in quest’area di Welforum.it; molte le segnalazioni proposte ai lettori, su articoli e documenti che hanno dato voce alle comunità professionali.

La pandemia, inoltre, in quanto fenomeno globale, ha rivelato una condivisione di idee ed esperienze a livello internazionale, che si è avviata già nelle prime fasi dell’emergenza1. Rappresentazioni dei professionisti di diversi paesi hanno portato all’elaborazione di contributi scritti a carattere divulgativo e, al tempo stesso, sono state oggetto di ricerca e pubblicazioni scientifiche. Si propongono qui due esempi di questo duplice approccio (uno divulgativo, l’altro scientifico), al fine di mettere in luce alcuni temi “forti”, relativi nello specifico al servizio sociale (social work), ma di interesse per tutte le professioni sociali impegnate nell’emergenza sanitaria.

 

Vale dunque la pena riprendere la raccolta dei report internazionali già segnalata2, frutto del lavoro del COVID-19 Social Work Research Forum, coordinato dal prof. T. Harrikari, quale esempio di contributo divulgativo che non propone un’analisi scientifica, ma piuttosto una condivisione di punti di vista dei professionisti.

La pubblicazione mette in comune conoscenze ed esperienze di 16 paesi: Albania, Australia, Bangladesh, Estonia, Finlandia, India, Iran, Irlanda, Italia, Giappone, Lettonia, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Svezia e Regno Unito.

Accanto a molti punti in comune, vengono messe in luce le specificità delle diverse realtà nazionali, alcune delle quali trascurate o poco presenti nelle rappresentazioni dei nostri media, come ad esempio quelle del Bangladesh e dell’India, dove la pandemia ha avuto conseguenze ancora più gravi rispetto a quelle registrate in Europa.

Molti paesi rappresentati nel report presentano esempi di iniziative governative per aiuti economici alle categorie di lavoratori e di imprese più colpite dai lockdown; esempi, tuttavia, non comuni a quelle realtà caratterizzate da condizioni di marginalità e vulnerabilità persistenti, particolarmente diffuse già prima della pandemia.

L’India, ad esempio, è stata drammaticamente colpita da problemi di approvigionamento alimentare, per ampie fasce di popolazione, in particolare a causa dell’aumento della disoccupazione e dei salari più bassi. In Bangladesh, allo svantaggio sociale di alcune fasce di popolazione si sono aggiunti fattori di discriminazione: gruppi minoritari come le popolazioni indigene, la comunità transgender, persone con disabilità, lavoratori migranti, lavoratori agricoli del tè e rifugiati non hanno ricevuto alcun sostegno particolare da parte del governo.

 

In una visione complessiva, tutti i report dei 16 paesi si concentrano su vulnerabilità e disagio di specifiche aree, come quella degli anziani, dei soggetti a rischio di violenza domestica, delle persone con problemi psichiatrici, di minori e famiglie in condizioni di disagio sociale. Contestualmente viene segnalato, come elemento trasversale a tutte le aree di intervento, il maggiore ricorso – e per certe realtà il “ritorno”- ad aiuti di carattere prettamente materiale (sotto forma, ad esempio, di pacchi viveri e buoni per famiglie e bambini vulnerabili).

Vecchi e nuovi bisogni si intrecciano, in una situazione di incertezza per il presente e per il futuro. I social workers ritengono che, per tutte le fasce di popolazione più deboli, la pandemia abbia peggiorato le condizioni personali di bisogno preesistenti; con riferimento alla realtà finlandese, ad esempio, viene citato uno studio recente3 da cui emerge che il 75% dei professionisti dei servizi sociali, considerando la situazione pre-pandemia, ritiene che i loro utenti abbiano oggi minori opportunità di ricevere aiuto per i loro bisogni.

 

Accanto agli elementi di crisi, che hanno riguardato tutte le realtà nazionali, vengono messe in evidenza le strategie di adattamento dei social workers all’ondata pandemica, che si sono rivelate arricchenti e di stimolo per l’agire professionale. In particolare, vengono rappresentati esempi di innovazione, realizzati attraverso la tecnologia digitale, che hanno facilitato lo scambio di informazioni e in molti casi determinato una riduzione della burocratizzazione, soprattutto nella comunicazione e nell’interdipendenza tra i servizi pubblici. Nelle rappresentazioni dei social workers, inoltre, la pandemia sembra agire come una sorta di “esperimento scientifico”, che serve a rendere più visibili le forti disuguaglianze e vulnerabilità nei diversi paesi; ma che è utile, al tempo stesso, per rappresentare il valore dell’impegno professionale e dell’interdipendenza tra le professioni sociali. Ciò che diventa più evidente, mentre le professioni sociali operano in tempo di pandemia, è il percorso verso una nuova normalità, in termini di governance, socializzazione, economia e impegno della comunità. Nella prospettiva della ricostruzione e della riapertura post-pandemia, dai 16 report emerge l’esigenza di collocare la cura (care) al centro delle agende politiche e di consolidarla come elemento costitutivo dell’etica professionale4.

 

Ed è proprio sulle sfide etiche che si concentra il contributo scientifico richiamato di seguito, come spunto di riflessione per le comunità delle professioni sociali che operano nella pandemia. Il lavoro di S. Banks et al.5 presenta i risultati di uno studio internazionale realizzato attraverso la somministrazione di questionari. Il gruppo di ricerca ha ricevuto 607 risposte, da social workers di 54 paesi. Questa parte di ricerca quantitativa è stata poi integrata da interviste. Dal lavoro di ricerca emergono osservazioni dei professionisti su attività che non si limitano alla dimensione individuale dell’impegno professionale, ma che considerano anche gli aspetti politici ad esso connessi, con l’obiettivo di creare migliori condizioni per agire nella pandemia, secondo i principi etici del social work6.

 

Gli assistenti sociali, innanzitutto, sono chiamati a rivedere le loro pratiche interrogandosi su come applicare i valori e i principi professionali in nuovi contesti. Al tempo stesso essi si impegnano in attività di particolare rilievo: discutere e riflettere con i colleghi sulla deontologia professionale; lavorare sulla consapevolezza dell’impatto di stanchezza ed emozioni sulla capacità di operare in modo eticamente corretto nel lavoro di relazione con le persone; far emergere le problematiche del presente attraverso la relazione con i datori di lavoro, le associazioni professionali e i responsabili politici, rispetto ai gravi danni e alle disuguaglianze, alle difficoltà nel garantire servizi di assistenza; fare proposte costruttive e di miglioramenti.

I responsabili dei servizi sociali, dal canto loro, sono impegnati in una serie di compiti: sostenere i social workers e gli studenti in tirocinio, garantendo una regolare supervisione e riunioni di gruppo; sviluppare una guida con gli operatori di prima linea su come operare in modo sicuro ed etico; monitorare i livelli di stress tra il personale e garantire un adeguato riposo e recupero di energie; proteggere gli assistenti sociali fornendo le necessarie attrezzature igieniche e misure di sicurezza; richiamare l’attenzione sulle lacune dei sistemi di welfare e sulla necessità di potenziare risorse ed interventi.

 

Ruoli chiave sono quelli delle associazioni nazionali e internazionali del social work, impegnate in diverse attività: evidenziare i fattori sistemici che mettono a rischio le popolazioni e il ruolo vitale delle reti di sicurezza sociale; intensificare gli sforzi per raccogliere dati ed evidenze sulle condizioni degli assistenti sociali e degli utenti dei servizi; sostenere con forza i datori di lavoro e i governi affinché riconoscano i ruoli degli assistenti sociali e forniscano una guida più efficace per il mantenimento dei servizi; continuare a sviluppare una “guida etica” per gli assistenti sociali e i datori di lavoro, attraverso spazi per il sostegno tra pari e l’apprendimento sui dilemmi etici nella pratica.

Ai governi, infine, vengono richiesti: un riconoscimento del ruolo chiave svolto dai social workers nel fornire aiuti alle persone e alle comunità durante l’emergenza sanitaria; la garanzia delle necessarie risorse per l’igiene e la protezione; l’esplicitazione di chiare linee guida su come garantire i servizi di sostegno e assistenza durante la pandemia, operando con modalità che consentano di conciliare nel modo migliore efficacia e sicurezza.

 

In conclusione, gli esempi di riflessione e studio presentati testimoniano un impegno internazionale globale, in cui l’utilizzo delle competenze professionali per sostenere l’inclusione delle persone a rischio di emarginazione assume un ruolo di primo piano; competenze non limitate alla dimensione individuale del social work, ma strettamente legate anche al ruolo politico della professione.

  1. Ricordiamo fra i primi contributi quello di Dominelli L., “Il servizio sociale durante una pandemia sanitaria”, Università di Stirling, 2020 (trad. it. C. Soregotti). Testo disponibile a questo link pubblicato il 24 marzo 2020 (u.a. 2 gennaio 2021). L’autrice è presidente del Comitato per l’intervento nei disastri, il cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale dell’International Association Schools of Social Work
  2. Segnalazione welforum.it del 20 luglio su: Dominelli L., Harrikari T., Mooney J., Leskošek V. Kennedy Tsunoda E., A collection of country reports
  3. Ivi, p.43
  4. Banks S., Cai T., De Jonge E., Shears J., Shum M., Sobočan A.M., Strom K., Truell R., Úriz M.G., Weinberg M., Ethical challenges for social workers during Covid-19, IFSW, 2020.
  5. Ivi, p. vi.