Il (futuro) governo delle migrazioni economiche

Il Libro Bianco di Fondazione ISMU


Laura Zanfrini | 6 Marzo 2023

Nato da un ampio processo di consultazione degli stakeholder dell’economia e della società, il Libro Bianco sul governo delle migrazioni economiche – realizzato dal Settore Economia e Lavoro di Fondazione ISMU – offre un complesso di indicazioni e proposte utili in primo luogo ai decisori pubblici e quindi a tutti gli attori del mercato del lavoro coinvolti nella gestione dei processi migratori e di inclusione dei lavoratori immigrati.

Gli scenari demografici, gli squilibri del mercato del lavoro, la necessità di sostenere il riposizionamento competitivo delle imprese, l’urgenza di offrire risposte al crescente bisogno di cura e assistenza costituiscono altrettante sfide cruciali per il presente e il futuro dell’Italia, tutte strettamente intrecciate con l’immigrazione. Quest’ultima, infatti, può fornire un contributo prezioso alla soluzione dei problemi dell’economia e della società, ma può anche – se non adeguatamente gestita e valorizzata – concorrere ad accentuarli.

Alla luce di questa consapevolezza, il Libro Bianco vuole costituire una piattaforma di discussione e confronto tra le forze politiche e sociali, con l’auspicio di contribuire all’approvazione di provvedimenti utili a promuovere una gestione delle migrazioni economiche orientata a criteri di coerenza coi fabbisogni del sistema economico e sociale, tutela dei diritti di tutti i lavoratori, sostenibilità nel medio lungo-periodo dei processi migratori e di integrazione, conciliabilità con le esigenze dei Paesi d’origine, potenziamento della capacità attrattiva nei confronti dell’immigrazione a più elevato valore aggiunto.

Alcuni dati di contesto

Da quasi 30 anni, in Italia, il saldo naturale è negativo e solo parzialmente compensato dal saldo migratorio che, dal 2014, non è più in grado di controbilanciare la diminuzione della popolazione autoctona. Ancorché la necessità e l’urgenza di interventi a sostegno della natalità siano oggi (finalmente!) ampiamente riconosciute, va preso atto di come l’attuale struttura per età della popolazione – con un numero decisamente ridotto di potenziali genitori – limiti le possibilità di miglioramento nel breve-medio periodo unicamente alla importazione dall’estero di persone in età attiva, in grado di fornire un apporto in termini sia di capacità lavorativa, sia di capacità “procreativa”.

Lo squilibrio sempre più marcato nel rapporto tra persone in età attiva e non attiva sta causando evidenti difficoltà non solo nel finanziamento dei sistemi fiscali e contributivi, ma anche nel realizzare il turnover generazionale delle forze lavoro; difficoltà che andranno ad accentuare i problemi di reclutamento già da tempo denunciati dalle imprese con riferimento a diverse figure professionali. Non è dunque certo un caso se in molti oggi guardano all’immigrazione come riserva potenziale cui attingere per coprire i posti di lavoro altrimenti destinati a restare vacanti, a causa sia delle loro caratteristiche, sia della mancanza di competenze, sia ancora – e sempre più spesso – dell’insufficienza numerica dei candidati.

In questo quadro, le ragioni del ricorso a manodopera immigrata non possono più essere ridotte all’assioma della complementarità (ovvero alla constatazione per cui “certi lavori gli italiani non li vogliono più fare”), ma chiamano in causa il tema della carenza strutturale di forza lavoro, ed evocano la necessità di prevenire il rischio che l’Italia resti ai margini di una competizione globale per l’attrazione di risorse umane con differenti livelli di qualificazione. Temi e problemi legati a quello dei livelli salariali, penalizzati dal cuneo fiscale e poco competitivi in rapporto agli altri Paesi anche quando si tratta di professionalità particolarmente preziose (l’esempio delle professioni sanitarie è al riguardo emblematico).

Per di più, gli scenari demografici pongono anche la sfida di rispondere alla crescita del fabbisogno di cura e assistenza che l’aumento del numero di anziani e grandi anziani porta con sé, generando un enorme impatto sia sui servizi socio-sanitari e i relativi fabbisogni di personale, sia sull’organizzazione domestica della cura, di cui come sappiamo gli immigrati (o per meglio dire le immigrate) rappresentano un elemento portante. È inoltre ormai acclarato che, in Italia come in molti altri Paesi, l’intero sistema socio-sanitario dipenderà in misura crescente anche dal contributo delle forze lavoro di importazione, provenienti da Stati che a loro volta saranno sempre più impegnati a trattenere i lavoratori di settori strategici, come appunto quello sanitario.

Vi è dunque una stretta interdipendenza tra l’immigrazione e la sostenibilità economica e sociale dei nostri regimi di accumulazione. Di qui l’importanza di riflettere sul ruolo attuale e futuro degli immigrati all’interno del nostro mercato occupazionale.

Una logica “shortenista” che “non paga”

Una nota metafora rappresenta l’immigrazione come uno “specchio” delle caratteristiche delle società di destinazione e dei loro mercati del lavoro. Di questa peculiarità abbiamo avuto ripetutamente prova durante il processo di consultazione che ha condotto al Libro Bianco attraverso, in particolare, l’emergere di una serie di criticità nel funzionamento dei mercati del lavoro locali/settoriali. Tra di esse, i noti fenomeni di disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, insieme ai rischi connessi a una situazione di dipendenza strutturale dal lavoro degli immigrati di alcuni segmenti del mercato occupazionale; segmenti socialmente “costruiti” attorno all’aspettativa dell’adattabilità ed economicità dei lavoratori stranieri. In questa luce, è facile comprendere perché gli immigrati siano particolarmente coinvolti in quei processi di proliferazione del lavoro “povero” che, una volta approfonditi nelle loro implicazioni non solo di tipo etico, fanno emergere una tensione tra le logiche “shorteniste” – che hanno fin qui diretto il modo in cui l’immigrazione è percepita e governata (o non governata) – e le istanze di sostenibilità economica e sociale.

Com’è noto, i lavoratori stranieri sono in Italia concentrati nei lavori poco qualificati e poco retribuiti, e chiaramente sovra-rappresentati tanto nell’occupazione precaria quanto nell’economia sommersa. Tutto ciò sta generando una popolazione strutturalmente svantaggiata di cui è evidenza l’altissima quota di stranieri in povertà assoluta e relativa. Il lavoro, da strumento di emancipazione e integrazione, rischia di trasformarsi in causa di diseguaglianza, esclusione, “insostenibilità”.

Specie in questo frangente storico, in cui è ricorrente sentire invocare la necessità di un “cambio di paradigma”, l’immigrazione è dunque una lente di ingrandimento che ci consente di cogliere i problemi da risolvere, le sfide da affrontare, le opportunità da mettere a valore.

Le ragioni del Libro Bianco

Le politiche migratorie sono, quasi per definizione, politiche a elevato rischio di insuccesso. In particolare, in pressoché tutti i Paesi si registra un disallineamento tra il quadro normativo e la realtà dei processi di incorporazione occupazionale degli immigrati. E l’Italia è, al riguardo, un caso “esemplare”: il regime migratorio in vigore – sistematicamente eluso – ha infatti chiaramente disatteso sia l’obiettivo di garantire un flusso regolare e ordinato di lavoratori in risposta ai fabbisogni occupazionali, sia quello di ridurre la pressione migratoria irregolare.

Muovendo da questa consapevolezza e dalle ragioni del fallimento dell’attuale quadro normativo, scandagliate all’interno di un Libro Verde che ha preceduto il Libro Bianco, il nostro percorso di consultazione ha inteso innanzitutto affrancarsi dalle retoriche “pro” e “contro” l’immigrazione, con l’obiettivo di formulare indicazioni di “buon senso”, ancorate all’esperienza maturata sui territori, sulle quali si possa costruire un ampio consenso delle forze politiche. Al contempo, esso suggerisce anche un metodo, fondato sulla consultazione e sulla corresponsabilizzazione degli attori della società civile (dall’associazionismo imprenditoriale al vasto mondo delle organizzazioni che operano a supporto dell’integrazione) e sulla consapevolezza dei costi di breve e di lungo periodo della sistematica delegittimazione del quadro normativo.

Concretamente, le proposte raccolte all’interno del volume mirano all’obiettivo di riavvicinare il piano legale al piano reale: non piegando il primo al secondo, ma correggendo le richieste che rendono sostanzialmente inapplicabile il quadro normativo (ad esempio attraverso la sostituzione dell’attuale principio di indisponibilità con altri metodi per accertare la carenza di candidati prima di autorizzare un nuovo ingresso), ovvero adottando opportuni strumenti di controllo e valutazione che consentano di contenere l’utilizzo improprio dei canali di ingresso (anche per ricerca di lavoro) e di regolarizzazione.

Sgombrando il campo dall’equivoco che la disponibilità di un canale di ingresso legale costituisca l’antidoto decisivo al lavoro nero, il Libro Bianco si sofferma sui molteplici meccanismi utili a prevenire e contrastare l’occupazione irregolare: obiettivi rilevanti in sé, ma anche condizioni essenziali per l’implementazione di una politica migratoria attiva. Tra tali meccanismi, anche la proposta di sussidiare attraverso la fiscalità generale il costo del lavoro, specie nel caso di lavoratori essenziali impiegati in mansioni a bassa retribuzione.

Analogamente, non si può pensare che una “buona” politica migratoria possa risolvere – da sola – le debolezze sul fronte del governo e della governance del mercato del lavoro e, in particolare, i deficit nel presidio istituzionale della funzione di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Quest’ultimo, insieme agli altri numerosi strumenti utili a migliorare il matching tra i fabbisogni occupazionali e i comportamenti dell’offerta di lavoro, costituisce una leva cruciale per correggere quelle criticità strutturali – a partire dai bassi tassi di attività e occupazione che distinguono l’Italia nel quadro europeo – che è del tutto fuorviante ritenere possano essere sanati grazie (unicamente) all’immigrazione.

Infine, sul piano procedurale, il Libro Bianco suggerisce una serie di iniziative che possano ridurre disfunzioni e colli di bottiglia nella gestione degli ingressi e del collocamento al lavoro dei migranti economici: iniziative che riguardano la quantificazione dei “reali” fabbisogni professionali (attraverso la messa in rete delle banche dati disponibili), la semplificazione e la digitalizzazione delle procedure, l’adozione di regolamenti più dettagliati che limitino la discrezionalità delle rappresentanze diplomatiche all’estero e degli uffici territoriali, interventi di adeguamento degli organici presso gli uffici coinvolti e di rafforzamento delle loro competenze,  la valorizzazione del ruolo delle associazioni datoriali, degli enti bilaterali e delle organizzazioni della società civile.

Tutto ciò senza mai dimenticare come le scelte di governo – e di non governo – dell’immigrazione incorporano sempre, in maniera più o meno consapevole, una visione del futuro. Si tratta, dunque, di coniugare la dimensione tecnico-procedurale delle politiche migratorie e della programmazione – che richiede schemi migratori flessibili, semplici, user-friendly, che rispondano all’obiettivo di disporre in tempi rapidi della manodopera di cui si ha bisogno – e il carattere politico, nel senso nobile del termine, del governo dell’immigrazione.