La “riforma tradita”

Le ragioni dell’inerzia istituzionale del sistema di long-term care italiano


L’articolo che segue sintetizza alcuni degli esiti del lavoro pubblicato sul numero 3/2024 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: C. Ranci, M. Arlotti e E. Garavaglia, “Policy inaction”. L’inerzia delle politiche LTC in Italia e le sue ragioni, in «Politiche Sociali/Social Policies», 3/2024, pp. 531-552.

Trent’anni di inerzia istituzionale

Il sistema italiano di long-term care (LTC) continua a poggiarsi in larga misura sulle risorse familiari, sostenuto da una tradizione culturale che attribuisce alla famiglia il ruolo primario nella cura e da politiche pubbliche che ne hanno rafforzato tale responsabilità, senza però offrire un adeguato supporto economico e sociale. Il modello della “famiglia forte”, fondato su legami affettivi e solidarietà intergenerazionale, mostra però segnali di trasformazione: cala la quota di popolazione che considera la cura un dovere morale, riflesso dei cambiamenti nelle strutture familiari. Parallelamente, il sistema pubblico di cura appare inadeguato: i servizi domiciliari e residenziali sono limitati e inferiori rispetto agli standard europei, mentre l’Indennità di accompagnamento (IdA) – pur coprendo large quote di anziani – non è proporzionata ai reali bisogni di cura e non garantisce accesso a servizi specifici di cura. In questo contesto di fragilità pubblica e ridefinizione dei legami familiari, si è sviluppato un ampio mercato privato delle assistenti familiari.  Le famiglie da sole, infatti, non riescono più a compensare la mancanza di servizi pubblici per la cura degli anziani, soprattutto nei casi di disabilità gravi. Sempre più persone ricorrono così a soluzioni private, che però non sono accessibili a tutti e che, spesso, non garantiscono standard di qualità adeguati.  Si tratta inoltre di un mercato caratterizzato da irregolarità contrattuali, bassi salari e diffusione del lavoro sommerso.  

Queste sfide non riguardano solo l’Italia: anche altri paesi europei, come la Germania o la Spagna, si sono trovati nella stessa situazione e hanno risposto con importanti riforme dei loro sistemi di LTC. In Italia, invece, nonostante vari tentativi di cambiamento, il disegno istituzionale del sistema è pressoché invariato dal 1990: una situazione che non ha analogie nel panorama europeo. Quali sono le ragioni di questa inerzia istituzionale? È la domanda principale che ci siamo posti in un articolo recentemente pubblicato nel numero 3/2024 di Politiche Sociali/Social Policies.

Le ragioni dell’inerzia

Possono essere identificati diversi fattori esplicativi delle mancate riforme del sistema di LTC italiano nel corso degli ultimi trent’anni: fattori funzionali, politico-istituzionali e culturali.  

Uno dei principali fattori funzionali evidenziati dalla letteratura come ostacolo al cambiamento è rappresentato dai vincoli finanziari molto rigidi, che per lungo tempo hanno reso difficile anche solo immaginare riforme che implicassero un aumento significativo della spesa pubblica. Tuttavia, questa spiegazione non riguarda in modo specifico le politiche di LTC: gli stessi vincoli, infatti, valgono anche per altri ambiti del welfare che risultano ugualmente poco sviluppati. Sempre dal punto di vista funzionale, è possibile che l’espansione del mercato delle assistenti familiari abbia, nel tempo, contribuito a limitare la domanda di servizi pubblici di cura, sia domiciliari che residenziali. Va però sottolineato che il ricorso a queste soluzioni private rappresenta piuttosto una risposta adattiva alla scarsità di interventi pubblici, più che una causa del loro mancato sviluppo.

Una seconda spiegazione è concentrata sui fattori politico-istituzionali. In primo luogo, la presenza di una forte policy legacy derivata dalla presenza, dal 1980, dell’IdA, misura che ha assunto nel tempo un ruolo centrale, sia in termini di spesa pubblica che per il numero di anziani che ne beneficiano. Qualsiasi riforma sistematica del sistema di LTC dovrebbe necessariamente prevedere una profonda revisione di questa misura. Tuttavia, ogni tentativo in questa direzione si è scontrato con forti opposizioni da parte delle più importanti constituency sociali – in primo luogo, i sindacati dei pensionati spaventati dall’ipotesi che una riforma possa penalizzare proprio i più fragili tra i loro iscritti, ma anche le associazioni delle persone con disabilità, mosse dall’obiettivo di tutelare alcuni benefici specifici legati alla loro condizione, e dalla preferenza per misure cash, ritenute fondamentali per mantenere una certa autonomia dei beneficiari nella gestione della cura. Ulteriori fattori politico-istituzionali riguardano la frammentazione istituzionale, sia verticale, sia orizzontale del sistema (per esempio, si fa riferimento sul primo fronte allo scarso coordinamento fra livelli centrali, regionali e locali; sul secondo, al rapporto tra pubblico e privato) che ne indebolisce la capacità di governance, rendendo complesso identificare una responsabilità politica e organizzativa sull’intero sistema. Ancora, l’instabilità politica, in un quadro di forte competizione interpartitica, rende complessa l’introduzione e implementazione di riforme.

Infine, il terzo ordine di fattori esplicativi rimanda a variabili di ordine culturale. Una riforma implicherebbe infatti la riassegnazione delle responsabilità di cura non solo all’interno delle famiglie, tra i generi, ma anche tra famiglie e servizio pubblico, rivedendo il ruolo centrale della famiglia nel sistema di cura – ruolo iscritto non solo nelle norme e nelle pratiche prevalenti, ma anche negli orientamenti politici e partitici.

Una finestra di opportunità per il cambiamento

La pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto drammatico soprattutto sugli anziani, in particolare su quelli ricoverati nelle strutture residenziali. Questo evento focale avrebbe potuto aprire una vera occasione per ripensare il sistema italiano di assistenza a lungo termine. In molti paesi europei, infatti, le gravi conseguenze della pandemia hanno acceso il dibattito pubblico e stimolato annunci di importanti riforme.

Qualcosa di simile è in effetti accaduto anche nel nostro paese. Fin dalla prima ondata della pandemia, è stato subito evidente che le persone anziane erano le più colpite, soprattutto quelle che vivevano nelle strutture residenziali. Questo ha portato il tema dell’assistenza agli anziani al centro del dibattito pubblico. Tuttavia, la principale proposta di cambiamento che ha preso forma riguardava la cosiddetta de-istituzionalizzazione: la riduzione o la trasformazione delle strutture residenziali in soluzioni abitative temporanee, accompagnata da un potenziamento dei servizi territoriali e domiciliari. L’obiettivo era offrire agli anziani maggiori opportunità di invecchiare nella propria casa, con un’assistenza di qualità.

In questo scenario, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e la scelta del governo Draghi di includere la riforma dell’assistenza a lungo termine tra gli impegni presi con l’Unione Europea hanno offerto una concreta opportunità di cambiamento. Per la prima volta, inoltre, si è attivata una larga alleanza di attori sociali e sindacali – riuniti nel Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza (Patto) – che ha elaborato una proposta di riforma articolata e strutturata, in gran parte confluita nel testo finale della legge.

Tre sono state le principali sfide per la proposta di riforma: a) l’integrazione di sociale e sanitario, con riferimento all’accesso ai servizi, ma anche al superamento della separazione esistente tra l’assistenza domiciliare fornita nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale (ADI) e i servizi comunali di assistenza a domicilio (SAD); b) la riforma dell’IdA; c) la costruzione di un nuovo sistema di governance capace di integrare risorse e competenze sanitarie con quelle di tipo socio-assistenziale.

La riforma dell’assistenza a lungo termine ha impiegato circa un anno per prendere forma, attraversando il passaggio dal governo Draghi al governo Meloni e affrontando numerosi scontri tra ministeri e attori coinvolti. Il governo Draghi ha approvato un primo testo a fine settembre 2022, poco prima di lasciare l’incarico. Qualche mese dopo, il nuovo governo ha ripreso quel testo, portandolo avanti senza grandi modifiche. Tuttavia, la Legge di Bilancio del 2023 non ha stanziato fondi aggiuntivi per attuare concretamente la riforma. Il risultato finale è stata la Legge Delega 33/2023, approvata a marzo: un testo complesso e poco lineare, ma che contiene principi importanti per un cambiamento profondo del sistema di cura. In generale, la legge ha dato il segnale di un possibile cambiamento, dopo anni di inerzia.

La riforma “tradita”

Di fatto, questo cambiamento non è sinora avvenuto. La Legge di Bilancio 2024 non ha stanziato fondi per attuare la riforma dell’assistenza a lungo termine. Inoltre, ad aprile 2024, il governo Meloni ha approvato il decreto attuativo previsto dalla Legge Delega, ma il risultato è stato deludente: invece di rafforzare la riforma, il decreto ne ha bloccato o modificato i punti principali. In particolare, non è stato creato un organismo di coordinamento tra sanità e servizi sociali, fondamentale per una gestione integrata; non è stato istituito un nuovo servizio di assistenza domiciliare; e l’IdA non è stata riformata (si prevede solo una sperimentazione limitata di una nuova Prestazione Universale, che non sostituisce l’IdA, ma si aggiunge ad essa). Un aspetto positivo, invece, è l’introduzione di una valutazione nazionale standardizzata dei bisogni di cura, in linea con quanto stabilito dalla Legge Delega 33/2023. Le proteste in merito del Patto e degli altri attori sociali non hanno avuto effetti concreti, né hanno suscitato grande attenzione da parte dell’opinione pubblica. Nonostante si fosse aperta una vera occasione per cambiare il sistema di assistenza agli anziani, e nonostante la riforma fosse stata approvata in Parlamento senza scontri politici, finora, dunque, non si è registrato alcun cambiamento significativo nel sistema.

Questa vicenda rappresenta un esempio di inazione politica: l’agenda imposta dal PNRR è stata svuotata di contenuto concreto. Questo è avvenuto anche perché in Italia è mancato un vero dibattito pubblico sul tema, rendendo difficile per i promotori esercitare una pressione efficace nella direzione dell’effettiva applicazione della legge. Gli attori sociali, come il Patto, hanno avuto un ruolo importante nella definizione tecnica della riforma, ma non sono riusciti a mobilitare l’opinione pubblica quando la riforma è stata indebolita nei decreti attuativi. In generale, la riforma è stata gestita in modo tecnico e frammentato, senza una forte volontà politica o sociale che ne sostenesse l’attuazione. Le decisioni sono state influenzate più dalla paura di rischi politici ed elettorali che dalla volontà di cambiare davvero il sistema.

Quanto accaduto ci mostra chiaramente che, finché l’assistenza agli anziani resterà un tema percepito come secondario dall’opinione pubblica e dalla politica, il timore dei costi e dei conflitti supererà i possibili benefici di una possibile riforma, e l’inazione continuerà a prevalere.