Le policy practice degli assistenti sociali


In questo articolo condividiamo alcuni degli esiti principali del progetto di ricerca “Le policy practice degli assistenti sociali. Una ricerca nazionale” realizzata da Fondazione Nazionale Assistenti Sociali e Università di Pisa, in collaborazione con il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali1. Il progetto si è proposto di indagare le caratteristiche, l’intensità, le modalità, nonché gli ostacoli e i fattori propulsivi della policy practice (PP) tra gli Assistenti Sociali iscritti all’Albo, e di promuovere una maggiore consapevolezza e un più ampio coinvolgimento nella PP. Il progetto si è svolto attraverso interviste semi-strutturate ad assistenti sociali ed una survey (somministrazione di questionari) che ha permesso di raccogliere dati di oltre 6,800 assistenti sociali on-the-job.

Il termine ‘policy practice’ – difficilmente traducibile in italiano – racchiude tutto l’eterogeneo insieme di attività professionali intenzionali intraprese dai social workers, sia di propria iniziativa che di altri, come parte integrante del loro lavoro professionale in diversi campi e tipi di pratica, mirate a influenzare aspetti delle policy.

Un concetto che richiama fortemente quello di PP è stato introdotto nel 2020 nel Codice Deontologico degli assistenti sociali ed è quello di “ruolo politico”. L’articolo 7 afferma: «L’assistente sociale riconosce il ruolo politico e sociale della professione e lo esercita agendo con o per conto della persona e delle comunità, entro i limiti dei principi etici della professione». Con tale disposizione il Codice richiama i professionisti ad un impegno che contribuisca, attraverso le pratiche professionali, alla costruzione e al miglioramento delle politiche sociali. Si tratta di un’innovazione di grande rilievo, sulla quale è importante tenere viva la discussione ed il dibattito, anche al fine di definire “nel concreto” le pratiche stesse.

Policy practice interne/esterne

Le PP possono svolgersi a molteplici livelli, organizzativo (se il target del cambiamento sono le politiche dell’organizzazione in cui il social worker opera), locale (le politiche di Comuni e Regioni) o nazionale (le politiche nazionali). Possono essere svolte da assistenti sociali che occupano diverse posizioni organizzative (es. assistenti sociali “di base”, coordinatori responsabili, dirigenti, ecc.) attraverso una varietà di azioni e strategie.

Una prima distinzione fondamentale riguarda la differenza tra PP interne e PP esterne. Le prime si riferiscono alle politiche dell’organizzazione o del servizio in cui si opera. Esse assumono come propria arena le organizzazioni nelle quali gli assistenti sociali lavorano, individuano nei dirigenti i principali destinatari delle pressioni orientate al cambiamento, considerano il cambiamento organizzativo come esito atteso e il miglioramento dei servizi rivolti ai cittadini come impatto finale. Le seconde riguardano le politiche locali e nazionali. In questo caso, l’arena di riferimento è il processo politico multilivello; i decisori pubblici sono i principali destinatari delle pressioni verso il cambiamento; l’esito atteso è la trasformazione delle politiche; e l’impatto finale consiste nel miglioramento delle politiche e dei servizi per i cittadini.

La ricerca condotta ha analizzato (e valorizzato) le diverse forme di PP svolte dagli assistenti sociali in questi due ambiti.

Policy practice interne informali

Sono pratiche caratterizzate da relazionalità e prossimità informale. Non richiedono strumenti tecnici specifici né l’impiego di competenze altamente specialistiche, né tantomeno l’uscita dal consueto ambito lavorativo. Si fondano su capacità diffuse tra gli assistenti sociali. Esempi di questa tipologia includono azioni quali aumentare la consapevolezza dei responsabili del servizio rispetto a un problema sociale comune a un gruppo di persone utenti, oppure motivare i colleghi ad agire congiuntamente per incidere sulle decisioni dei dirigenti. Nel campione degli assistenti sociali attualmente in servizio, l’esercizio di queste PP è risultato frequente o molto frequente, raggiungendo — per alcune azioni specifiche — circa il 70% degli intervistati che dichiarano di averle svolte almeno una volta nell’ultimo anno.

Queste PP risultano trasversali. Non esistono, cioè, specifici fattori che facilitano od ostacolano il loro esercizio. Dalla ricerca emergono elementi per dire che l’orientamento verso questa strategia relazionale e prossimale di PP sia maggiore nei contesti organizzativi più “ostili” (forte gerarchizzazione dei ruoli, scarso margine per l’innovazione, distanza dai valori professionali ecc.). Spingendoci un po’ oltre nell’interpretazione – seppur con estrema cautela – potremmo pensare che la PP interna informale sia una strategia di PP saldamente e trasversalmente iscritta nella pratica professionale degli assistenti sociali e, insieme, una strategia di “sopravvivenza” per esercitare il “ruolo sociale e politico” (art.7 Codice Deontologico) in quei servizi ostili all’innovazione e ai valori professionali.

Policy practice interne tecniche

Si tratta di pratiche mediate o centrate su specifici strumenti di lavoro e su compiti, anche istituzionali, sollecitati o richiesti dalle posizioni apicali dell’organizzazione. Implicano un livello più elevato di tecnicismo, specializzazione, competenze e formalizzazione rispetto alle PP interne informali. Esempi includono la formulazione di un progetto innovativo per rispondere a bisogni insoddisfatti di più persone-utenti o l’azione verso una diversa distribuzione delle risorse finanziarie del servizio. Nel campione, l’esercizio di queste PP risulta meno frequente rispetto alle precedenti, ma presenta comunque percentuali considerevoli (fino a un massimo del 49%).

L’orientamento alle PP interne tecniche è favorito da elevate competenze percepite (analisi, progettazione, valutazione), dal ricoprire ruoli di coordinamento o posizioni apicali e dal lavorare in servizi con una cultura organizzativa innovativa, sensibile alle opinioni degli utenti, orientata alla formazione e coerente con i valori professionali.

Policy practice esterne dirette

Comprendono le azioni mediante le quali gli assistenti sociali hanno cercato di incidere sui processi di policy avvicinando direttamente i decisori, fornendo loro argomentazioni, dati e analisi nella prospettiva di orientarne le scelte.

L’orientamento verso le PP esterne dirette è fortemente favorito dal ricoprire posizioni apicali, che garantiscono maggiore prossimità ai decisori politici rispetto ai ruoli inferiori. Incide anche operare all’interno di enti pubblici rappresentativi, come Comuni medio-piccoli o Consorzi di Comuni di piccole dimensioni, dove il rapporto con i decisori è più frequente e offre maggiori opportunità di influenzarne le scelte.

Policy practice esterne indirette

Si riferiscono alle azioni attraverso cui gli assistenti sociali tentano di esercitare pressioni sui processi di policy tramite strumenti di mobilitazione sociale, come il coinvolgimento di altri attori (società civile, organizzazioni professionali, media) o la partecipazione attiva ad azioni collettive quali campagne ed eventi pubblici. Le competenze favoriscono l’orientamento alle PP esterne indirette, così come la circostanza di risiedere nelle regioni del Sud e di non lavorare nei Comuni. A differenza delle PP esterne dirette, il ruolo organizzativo non incide in modo significativo.

Nel campione, l’esercizio delle PP esterne — sia dirette sia indirette — nell’ultimo anno è comunque risultato sensibilmente meno frequente rispetto a quelle interne, con valori che raggiungono un massimo di circa il 38% e più spesso si collocano al di sotto del 20%.

Quali “possibilità” delle policy practice

Gli assistenti sociali svolgono quotidianamente la loro professione all’interno di organizzazioni — enti pubblici, privati o del privato sociale — che sono a loro volta inserite in più ampi contesti politici, economici e socioculturali. La ricerca ha analizzato in che modo alcune caratteristiche di queste organizzazioni influenzino la possibilità di operare sul cosiddetto livello “meso”, cioè di agire come agenti di cambiamento rispetto alle politiche dell’ente, svolgendo una forma di PP interna.

Gli assistenti sociali che hanno preso parte alle interviste esplorative interpretano la PP interna come un’estensione naturale del proprio mandato professionale. Le azioni volte al miglioramento dell’organizzazione interna sono radicate in pratiche quotidiane e informali (vedi sopra), in primis il confronto tra colleghi. La costruzione di alleanze orizzontali viene considerata il primo passo per portare poi le istanze ai livelli di coordinamento o dirigenziali. In questa prospettiva, le relazioni interne sono percepite come essenziali per individuare criticità condivise e per avviare percorsi di cambiamento organizzativo. Anche le relazioni “verticali”, con i responsabili di servizio e con l’amministrazione politica, sono descritte come elementi che abilitano la PP interna. Gli intervistati raccontano che, quando esiste uno spazio di ascolto e negoziazione, l’assistente sociale può offrire una lettura competente dei fenomeni sociali, contribuendo a orientare le scelte organizzative.

Le interviste segnalano anche i principali ostacoli all’implementazione di PP. Le gerarchie rigide, la centralizzazione delle decisioni e l’eccesso di procedure ostacolano pratiche innovative e riducono gli spazi di partecipazione. Alcuni professionisti riferiscono la difficoltà di incidere su regolamenti e prassi consolidate, in particolare quando la dirigenza è percepita come poco competente rispetto ai contenuti del lavoro sociale o scarsamente interessata al confronto. I vincoli organizzativi alimentano il timore di esporsi o di essere percepiti come destabilizzanti, portando ad adottare atteggiamenti più prudenti.

Una riflessione interessante è relativa alla scarsa diffusione di pratiche orientate a dare voce alle persone, a sostenere gruppi di cittadini affinché loro stessi esprimano il loro punto di vista per influenzare le decisioni degli enti. Tale pratica, pur riconosciuta come potenzialmente trasformativa, è considerata “eccezionale” dagli intervistati, dal momento che gli strumenti di consultazione sono rari e spesso limitati a esperienze episodiche. L’assenza di spazi strutturati di partecipazione riduce la possibilità di portare la voce degli utenti nei processi decisionali.

Policy practice e formazione

Infine, la ricerca ha analizzato il rapporto tra formazione di servizio sociale, competenze (sapere) e capacità (saper fare) che gli assistenti sociali percepiscono di avere nell’incidere sui processi di elaborazione e implementazione di politiche sociali e sociosanitarie.

La letteratura internazionale in tema di formazione al servizio sociale ha da tempo riconosciuto che il social work non si limita alla mera implementazione di politiche, ma ha anche una responsabilità etica e professionale nel contribuire alla loro costruzione, revisione e valutazione. L’analisi del contesto italiano mostra una certa fragilità nella preparazione formale degli assistenti sociali in materia di formazione a tali attività.

Le interviste evidenziano che la PP è percepita come un concetto complesso e difficile da riconoscere nelle pratiche quotidiane. Molti professionisti, infatti, svolgono attività che potrebbero essere considerate forme di PP senza esserne consapevoli, perché manca loro un linguaggio condiviso o una cornice formativa che aiuti a collocare quelle azioni nella dimensione politica della professione. La formazione diventa essenziale non solo per fornire strumenti, ma anche per rendere visibili e riconoscibili le pratiche di carattere politico ritenute “implicite” nel lavoro sociale.

Vi è poi una percezione diffusa di carenze nel percorso universitario: gli assistenti sociali intervistati raccontano di aver ricevuto prevalentemente una formazione centrata sul lavoro di caso e poco orientata all’analisi delle politiche, alle dinamiche organizzative, alla progettazione, alla comunicazione pubblica o alle attività di advocacy. L’approccio didattico tradizionale andrebbe ripensato al fine di facilitare lo sviluppo di un pensiero critico e la riflessività necessarie per affrontare le sfide dei contesti istituzionali contemporanei. A questo si aggiunge la mancanza di una formazione continua mirata: l’offerta formativa dedicata alla PP è carente e l’aggiornamento in questo ambito è lasciato prevalentemente alla motivazione e alla curiosità individuale.

La survey nazionale conferma la presenza di una preparazione non omogenea e spesso ritenuta insufficiente. Gli assistenti sociali percepiscono di essere stati moderatamente formati solo su alcune attività di PP interna, quelle più vicine al lavoro quotidiano a contatto con persone e famiglie. Al contrario, la maggior parte dichiara di aver ricevuto scarsa o nessuna formazione rispetto alle attività di PP esterna, come l’analisi critica delle politiche, il parlare in pubblico o l’utilizzo dei media per influenzare il dibattito politico e far emergere questioni sociali. Nonostante ciò, quando viene chiesto loro di valutare le proprie competenze, gli assistenti sociali tendono a percepirsi più competenti di quanto si sentano formati, il che suggerisce che molte abilità siano state sviluppate attraverso l’esperienza sul campo piuttosto che grazie alla formazione accademica.

Un risultato interessante è che quanto maggiore è la percezione di essere stati formati, tanto maggiore è la probabilità di svolgere attività di PP, sia interne sia esterne. Questo vale soprattutto per la progettazione di interventi innovativi, la partecipazione attiva a tavoli di lavoro, la raccolta e l’utilizzo dei dati, l’empowerment di gruppi di cittadini e la valutazione di progetti e servizi. La formazione, dunque, appare come un fattore decisivo per l’esercizio del ruolo politico.

  1. Chi volesse approfondire i risultati del progetto di ricerca può vedere Guidi, R., Mordeglia, S. (2024) (a cura di), Le policy practice degli assistenti sociali. Una ricerca nazionale, Milano, FrancoAngeli. Il Volume è gratuito e open-access, scaricabile a questa pagina: https://series.francoangeli.it/index.php/oa/catalog/book/1322. Il gruppo di ricerca del progetto è stato composto da: Riccardo Guidi, Università degli Studi di Firenze; Silvana Mordeglia, Presidente Fondazione Nazionale Assistenti Sociali; Annamaria Campanini, Past President International Association of Schools of Social Work; Giovanni Cellini, Università degli Studi di Torino; Martina Francesconi, Scuola Superiore Sant’Anna – Centro di ricerca Maria Eletta Martini; Luigi Gui, Università degli Studi di Trieste; Lorenzo Maraviglia, INVALSI; Urban Nothdurfter, Libera Università di Bolzano; Marta Pantalone, Università degli Studi di Bergamo ; Mara Sanfelici, Università degli Studi Milano Bicocca.