L’alleanza tra servizi e famiglie di persone con disabilità

Come crearla


Rosanna Taberna | 20 Febbraio 2023

La relazione con le famiglie è un aspetto che tutti i servizi per la disabilità, in qualunque contesto operino, territoriale, diurno o residenziale, devono affrontare. La sfida è superare il quieto vivere e i livelli minimi di collaborazione perseguendo una vera e propria alleanza che renda la famiglia partner presente, creativo, competente e paritario.

Se intendiamo l’alleanza come “vincolo o unione che impegna due o più parti a concedersi il rispettivo appoggio in vista del raggiungimento di un comune scopo, per ragioni di necessità o di opportunità”,1 significa che la persona con disabilità, la famiglia coinvolta nella disabilità ed il sistema dei servizi fatto di operatori, responsabili, committenza, istituzioni si uniscono, confrontano ed agiscono per raggiungere lo scopo comune; scopo che spesso inizialmente è legato al progetto individuale e progressivamente potrà acquisire caratteristiche trasversali e ripercussioni sociali e comunitarie.

Come creare alleanza? Proviamo a offrire tre diversi sguardi per individuare alcuni comportamenti ed azioni facilitanti.

La condivisione del Progetto individualizzato

Il progetto individualizzato è uno strumento di lavoro fondamentale e sono molte le implicazioni operative introdotte dalla legge 227/2021, con riferimento alla realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato. Comprende tante dimensioni, dalla valutazione multidimensionale all’utilizzo dell’ICF, dal coinvolgimento della persona cui si riferisce al tener conto di bisogni, desideri, aspettative, scelte, dal considerare le risorse umane, professionali, tecnologiche strumentali ed economiche al coinvolgimento delle famiglie. Ci soffermiamo qui su quest’ultimo aspetto.

I comportamenti dei servizi relativamente al coinvolgimento delle famiglie hanno connotazioni, livelli e sfumature diverse: si parte dal predisporre il progetto e leggerlo in una riunione ai familiari, consegnandone copia ed aprendo un confronto che difficilmente modifica quanto scritto; un livello intermedio prevede l’acquisizione preventiva di pareri e contributi familiari in ordine a desideri, obiettivi abilitativi e riabilitativi, modalità di lavoro e l’inserimento nel documento di quelli valutati convergenti e fattibili, rendendo i familiari co-ideatori e corresponsabili di quanto scritto. Ai fini dell’alleanza pare più efficace un terzo modello che lascia uno spazio di protagonismo alle famiglie, senza attribuire loro la responsabilità del progetto; si parte da un documento provvisorio e incompleto, da integrare insieme e, soprattutto, da realizzare insieme, ciascuno per la propria competenza. Per meglio cogliere l’importanza di questa modalità ci facciamo aiutare da Andrea Canevaro2Perderemmo qualcosa se cercassimo di stabilire a priori che qualcuno, magari specialista, ha sempre ragione, e che il suo sapere è già completo. Sergio Neri una volta aveva detto che ‘una buona diagnosi non deve essere troppo levigata’: non saprebbe accogliere le conoscenze e le aspirazioni di chi è protagonista reale della stessa diagnosi e delle persone che ne costituiscono il contorno di ogni giorno”3.

Quanto più i servizi governano e definiscono lo stile relazionale, quanto più mantengono strategie difensive, tanto meno vi è spazio per alleanze. Se si accetta di percorrere una strada che potenzialmente porta all’incertezza, c’è spazio per fare incursioni nel cammino o addirittura tratti di percorso insieme.

Il decalogo dell’alleanza

Un grande apporto teorico sul tema dell’alleanza è stato offerto da Enrico Montobbio4 che pone come premessa necessaria una comune visione sulle prospettive di crescita e di vita, uno sguardo che sdogana la persona dal bisogno di assistenza e protezione proprie dell’infanzia. Si tratta, in verità, di uno specchio che deve provenire da tutti i contesti di vita della persona, familiare, educativo, sociale, amicale e così via, arrivando ad ingaggiare, per la costruzione identitaria, l’intera comunità.

L’alleanza con le famiglie si colloca allora in una prospettiva comunitaria, territoriale, potremmo definire ecologica, uscendo così dagli ambiti assistenziali, educativi, sanitari ed interagendo con dimensioni etiche, culturali, politiche. Se vogliamo creare alleanza con le famiglie dobbiamo essere in grado di immaginare progetti di lavoro che siano davvero concretizzabili e sostenibili in quell’ambiente di vita, così com’è oppure prevedendo azioni per modificarlo.

Nel testo “Prova in altro modo”5, Montobbio dedica un capitolo al tema dell’alleanza con le famiglie e stila un prezioso decalogo che, a distanza di venti anni, è ancora quanto mai attuale.

 

  1. L’alleanza non si inventa, ma si costruisce giorno dopo giorno.
  2. L’alleanza nasce e si sviluppa in un clima avalutativo e di riconoscimento dei “meriti”.
  3. L’alleanza è frutto di buone relazioni.
  4. L’alleanza è un patto fondato sulla condivisione a volte sulla complicità.
  5. L’alleanza si coltiva.
  6. L’alleanza non può mai essere data per scontata.
  7. L’alleanza si deve rinnovare.
  8. L’alleanza fonda le sue radici non solo sull’intelligenza e sulle motivazioni, ma soprattutto sulla componente emotiva della relazione.
  9. L’alleanza deve essere verificata attraverso feed-back costanti.
  10. L’alleanza si fonda sulla fiducia.

 

L’alleanza necessita di un processo di immedesimazione di ciascuna parte negli altri attori per capire il loro punto di vista ed è fondamentale che quei punti di vista non siano dati per scontato, ma esplicitati fin dai primi incontri. Si arriva così ad una fase in cui ciascuno sente di perdere un pezzetto a favore della mediazione e dell’incontro con le visioni altrui. È una perdita che può creare timori ed insicurezze, a favore di un guadagno comune in termini di sinergia e collaborazione.

Montobbio ricorda anche il livello emotivo della relazione: il percorso dell’alleanza non può viaggiare solo sul binario razionale, cerebrale o solo sulla volontà e intenzione, ma trova facilitazione nel camminare insieme, nel condividere aspetti emotivi, secondo il significato del termine, portare fuori, smuovere, scuotere.

Infine, un aspetto cui dedicare attenzione è che l’alleanza non si inventa, si costruisce. Ciò significa che dobbiamo adottare un approccio metodologico, che prevede di pensare, progettare, agire, verificare e correggere il pensiero originario.

Approccio progettuale

L’ultimo sguardo sull’alleanza trae origine dall’analisi di alcune esperienze reali di alleanza tra servizi e famiglie e va a ricercare gli ingredienti che l’hanno resa possibile, così da offrire alcune indicazioni metodologiche.

L’esito è un decalogo che, traendo spunto e fondamento teorico nelle indicazioni di Enrico Montobbio e degli altri grandi esperti che hanno studiato il tema dell’alleanza, si pone su di un piano operativo e metodologico.

  1. Valorizzare la famiglia come risorsa, portatrice di conoscenza, di bisogni e di idee, con attribuzioni reali di protagonismo, riconosciuto all’interno di tavoli di coprogettazione creando una maggiore parità nel livello relazionale.
  2. Individuare un fare comune, partendo dai bisogni portati dalle persone e dalle famiglie, che spesso vanno ad ancorarsi non ai compiti istituzionali dei servizi, ma al tempo libero, alle vacanze, alla vita fuori casa, alla convivialità, cioè agli ambiti di scopertura dei servizi pubblici, ricercando soluzioni che presupporranno un coinvolgimento di azione, progettuale, economico e gestionale di tutti gli attori coinvolti, famiglia compresa.
  3. Occorre una relazione di fiducia reciproca: la famiglia affida il figlio perché si fida del servizio, il servizio riconosce la famiglia capace.
  4. Ascolto dei familiari, a partire dal “come stai”: interessarsi a loro come persone, lasciando il figlio in secondo piano.
  5. Interventi sistemici che prevedono di occuparsi di tutti i componenti della famiglia, perseguendone il benessere per riprendere la convinzione di poter essere di nuovo felici.
  6. Sostenere l’associazionismo, orientando le famiglie verso i gruppi di famiglie.
  7. Ricercare la mediazione, rinunciando a qualche pezzetto di certezza per conciliarla con le idee degli altri.
  8. Contaminare la comunità, facendola crescere nella conoscenza e nell’interazione col mondo della disabilità. L’alleanza si crea sullo star bene nell’ambiente che ci è proprio, operando affinché quest’ultimo accetti ed accolga le persone.
  9. Saper aspettare e rispettare i tempi di ciascuno, anche accettando di modificare la destinazione iniziale per poter compiere tratti di strada insieme.
  10. Delicatezza della materia “progetto di vita”, riunendo gli sguardi che riflettono il pensiero che degli altri e di sé si ha, utilizzando gli specchi riflettenti l’immagine attuale e la prospettiva di vita riservata a ciascuna persona, anche con disabilità.

Da dove partire?

Le riflessioni esposte evidenziano uno spunto che può essere utilizzato per avviare la ricerca di alleanza: per gli operatori significa accettare di percorrere strade ignote, di ridurre la posizione di potere derivante dal sapere professionale forte, di mediare su tempi e obiettivi per rispettare l’evoluzione e le idee delle famiglie. Questo conduce alla consapevolezza che la scelta della nuova strategia di alleanza dovrebbe essere preceduto ed accompagnato da un percorso dedicato agli operatori, al fine di sostenere la riflessione e l’approfondimento delle variabili da mettere in gioco per cambiare le modalità relazionali di rapporto con le famiglie. Si tratta di una progressione collaborativa che abbandona il semplice livello informativo a favore di un coinvolgimento attivo e propositivo e che dovrebbe tendere ad attribuire alle famiglie il protagonismo derivante dalla competenza ed il ruolo di partner progettuali e gestionali.

 

Un approfondimento di questo articolo, a cura della stessa autrice, verrà pubblicato nel prossimo numero (2 – Primavera 2023) di Prospettive Sociali e Sanitarie

  1. Si veda definizione di Treccani.
  2. Andrea Canevaro, 1939-2022, pedagogista, docente universitario e formatore, autore di numerosi testi, studioso di prestigio internazionale, è ricordato per l’impegno sul fronte dell’inclusione sociale. Ha contribuito a diffondere la pedagogia speciale in Italia.
  3. Si veda La nuova cultura della disabilità deve davvero molto ad Andrea Canevaro su Superando.
  4. Enrico Montobbio, 1971-2020, laureato in giurisprudenza, autore di numerosi testi, ha contribuito in modo considerevole alla costruzione di una nuova rappresentazione della disabilità, centrata sull’immagine della “persona” e dei suoi diritti. Al suo gruppo genovese è riconosciuto un ruolo importante nell’ispirare e favorire la Legge 68 del 12 marzo 1999.
  5. Enrico MontobbioAnna M. Navone, Prova in altro modo. l’inserimento lavorativo socio assistenziale di persone con disabilità marcata, Edizioni del Cerro, Pisa 2002.

Commenti

Io aggiungerei un altro aspetto alla luce anche del fatto che tutti si è d’accordo sull’approccio bio-psico-sociale, ma poi, nelle comunicazione soprattutto (non è qui il caso trattandosi di una rivista specialistica) troviamo il sociale, qualcosina di psico, ma scompare il bio (i “sanitari” vivono in un ecosistema che passa anche cultura sociale, ma non accade il contrario).
Credo che ogni alleanza abbia un tempo e un “luogo” dove essa accade o meno. L’articolo ha un approccio di tipo generale, come indicazioni, e alcune parti più orientate ai servizi per adulti. Prima le famiglie hanno o non hanno sperimentato possibili alleanza in campo sanitario (con tutto quello – ed è tema immenso – che ciò vuole dire) e poi alleanze nell’ambito della scuola (idem). Non è una costruzione ex novo, ma ci sono anche da integrare, innovare e sviluppare queste precedenti alleanze organizzatesi attorno a questioni a volte profondamente diverse.