Contrasto alla povertà: REI, riforma da attuare

Sessione tematica del convegno “Osservare per riorientare le politiche sociali”


A cura di Daniela MesiniEleonora Gnan | 20 Dicembre 2017

Intervento introduttivo di Daniela Mesini (vicedirettore Welforum.it e Irs)

 

Il REI rappresenta insieme una grande sfida e una grande opportunità.

A vent’anni dalla Commissione Onofri, e dopo una serie di misure sperimentali, finalmente anche l’Italia si è dotata di una misura strutturale rivolta ai poveri. Certo non è ancora un vero reddito minimo come nei paesi europei più avanzati, ma l’impalcatura è ormai realizzata. Inoltre si prevede un apposito Fondo per il suo finanziamento ed una quota di risorse specificatamente destinate al rafforzamento dei servizi territoriali che la devono attuare.

Il REI viene introdotto come livello essenziale delle prestazioni: si tratta di una misura unica ed omogenea di contrasto alla povertà a livello nazionale, condizionata al possesso di requisiti di natura economica e patrimoniale e all’adesione ad un progetto di attivazione sociale o lavorativa. Allo stato attuale, il REI assorbe il SIA, l’ASDI e parzialmente la Carta acquisti, recuperandone così le relative tipologie di beneficiari ma il DDL di Bilancio attualmente in discussione ne prevede già l’estensione a tutte le famiglie, indipendentemente dalle categorie a cui appartengono, a partire dal 1º luglio prossimo. Il trasferimento monetario avviene tramite una carta di pagamento elettronica, che prevede anche la possibilità di prelevare in contanti fino a un limite massimo pari alla metà del contributo spettante. Il beneficio, erogato mensilmente per una durata massima di 18 mesi, è corrisposto da INPS tramite il circuito delle Poste italiane ed è calcolato come il differenziale tra la soglia reddituale di accesso ed il reddito famigliare.

 

Ma al di là della configurazione della misura, è interessante focalizzare l’attenzione sulla sua messa in opera. La gestione a livello territoriale è in capo ai servizi sociali dei Comuni, in rete con tutti gli altri soggetti (servizi per il lavoro, la casa, la tutela della salute, ecc.) coinvolgibili nei progetti di attivazione.

Dobbiamo innanzitutto essere consapevoli che per l’implementazione di una politica così complessa, che risponde a bisogni diversificati e multidimensionali e ingaggia attori diversi a diversi livelli di governo ci vorranno tempi lunghi. Bisognerà poi tenere conto dei contesti territoriali in cui la misura è calata: i differenti livelli di infrastrutturazione e capacità amministrativa faranno la differenza.

Ovviamente i territori dovranno essere messi nelle condizioni di poter agire al meglio. La sperimentazione del SIA ha rilevato come alcuni fattori abbiano indubbiamente acuito il ‘fisiologico’ sovraccarico dei servizi. Tra questi: il ritardo nel trasferimento delle risorse del PON Inclusione, che ha comportato un generalizzato posticipo degli affidamenti esterni e delle gare per l’acquisizione di nuovo personale; la difficoltà di gestione dei flussi informativi con Inps; la mancanza di un’attività di accompagnamento ed assistenza tecnica all’attuazione della misura. Risorse adeguate, sistemi informativi efficienti e supporto all’attuazione saranno cruciali anche per la messa in opera del REI.

 

Alcune altre questioni che è bene sottolineare riguardano la necessità di un rafforzamento delle competenze professionali degli operatori; il potenziamento del front line e dunque dei punti di accesso informativi e di orientamento ai cittadini per far sì che la domanda potenziale si esprima appieno; la promozione di una cultura della responsabilizzazione attivante, che tenga però conto dei profili di svantaggio dei beneficiari e delle loro effettive potenzialità di attivazione. In tal senso, è forse necessario ridimensionare l’approccio lavoristico, ponendo attenzione non solo all’occupazione e all’occupabilità, ma anche a dar risposta ad altri tipi di bisogni (integrazione, cura, conciliazione, necessità socio-educative), ampliando la rete ad altri attori, oltre ai servizi per l’impiego, quali i servizi socio-sanitari, le scuole e il terzo settore. Infine, è necessario porre l’attenzione sulla questione regolativa che chiama in causa in primis le Regioni che dovranno operare anche in senso ricompositivo delle risorse e degli interventi finalizzati al contrasto della povertà ed erogati a diverso titolo sul loro territorio.

 

Di queste ed altre interessanti questioni, quali ad esempio l’uso dell’ISEE nel REI, hanno disquisito i relatori della sessione povertà intervenuti nel seguente ordine: Stefano Sacchi, presidente dell’INAPP; Ileana Piazzoni, relatrice alla Camera dei Deputati della Legge Delega sul contrasto alla povertà; Rita Visini, Assessore alle Politiche Sociali della Regione Lazio; Roberto Rossini, portavoce Alleanza contro la povertà e presidente Acli; Edi Cicchi, presidente Commissione welfare dell’Anci; Maurizio Motta, redattore Welforum.it e Irs, Raffaele Tangorra, Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali del MLPS.

 

Di seguito sono disponibili le sintesi dei singoli interventi, seguite dalle rispettive videoregistrazioni.

 

Stefano Sacchi (presidente Inapp)

Il REI rappresenta una svolta epocale per l’Italia. Nei primi mesi del 2014, quando è stato disegnato il Jobs Act, erano emersi i primi veti all’introduzione di uno schema di reddito minimo in Italia e ancora mi stupisco che ci siamo arrivati in due anni e mezzo. Il REI è stato introdotto contrastando, da un lato, l’impostazione tradizionale lavorista del welfare italiano e, dall’altro, l’integralismo del “tutto subito o niente”. A questi due ostacoli si è posta la forza determinata del riformismo pragmatico e con valori.

Dal 1º luglio del 2018 il REI coprirà la platea dei poveri assoluti, sebbene con soglie e importi ancora bassi e con un impatto essenzialmente sul poverty gap piuttosto che sull’incidenza, vincoli che richiedono un superamento nel corso della legislatura. È stato quindi evinto il lavorismo che aveva frenato l’introduzione di un reddito minimo in Italia? A mio parere esso si è traslato in un “feticismo dei servizi”. È evidente che i servizi hanno un’importanza fondamentale, però non vorrei che si dimenticasse che uno schema di reddito minimo è uno schema di contrasto alla povertà che agisce attraverso un trasferimento monetario. C’è chi dice che se non funzionano i servizi, in particolare quelli per il lavoro, il REI è da buttare. Si tratta di un’affermazione scorretta. Il banco di prova del REI non sono i servizi ma la sua capacità di ridurre la povertà ed il poverty gap.

È inoltre bene ricordare che i beneficiari del REI hanno ovviamente bisogni variegati e multidimensionali. I servizi – del lavoro, sociali, sanitari – sono fondamentali, ma se questi funzionano male lo schema di reddito minimo è comunque presente. Ciò che è vero è che senza il funzionamento dei servizi è a rischio la legittimità del REI, proprio per via del bias lavorista del welfare italiano. L’Alleanza contro la povertà ha chiesto con forza un budget per i servizi, ma poi si è resa conto che non basta avere risorse, bisogna anche saperle utilizzare. Bisogna prestare attenzione a quelle preferenze perfezionistiche che mirano troppo in alto, poiché se si fallisce si rischia di delegittimare anche questa componente.

L’esperienza del REI ci insegna che i buoni argomenti, fondati ed empiricamente illustrati, alla fine riescono. Certo ci sono grandi criticità: ad esempio, ci si può aspettare una fortissima pressione addizionale sui Centri per l’impiego (+60% in Lombardia) nonostante la platea aggiuntiva sia piuttosto ristretta. Questo deriva dall’esiguità dell’infrastrutturazione sociale esistente in Italia per le politiche attive. Una possibile proposta è quella di estendere l’assegno di ricollocazione ai beneficiari del REI abili al lavoro e attivabili, così da non gravare eccessivamente, almeno per il primo periodo, sui Centri per l’impiego. Questa è una possibile strada per superare nel breve periodo quelle criticità che rischiano di erodere la legittimità della misura.

 

 

Ileana Piazzoni (relatrice alla Camera dei Deputati della legge delega sul contrasto alla povertà)

Il disegno di legge delega sulla povertà si componeva di tre parti: uno strumento di contrasto alla povertà (che è stato ottenuto), il riordino delle prestazioni assistenziali ed il rafforzamento del coordinamento dei servizi; le ultime due parti sono state affossate durante l’iter parlamentare.

Uno dei punti di preoccupazione relativamente all’attuazione del REI è innanzitutto la difficoltà di far comprendere il ruolo della misura all’interno del mondo del welfare, in quanto il concetto di reddito minimo in Italia non è conosciuto. Un altro elemento forte è la contraddizione all’interno dell’opinione pubblica, da un lato, di considerare povero pressoché chiunque e, dall’altro, un mancato riconoscimento della povertà stessa.

Secondo la mia opinione, la principale criticità del REI è la durata limitata della misura. Tuttavia, aver permesso al Piano triennale di poter intervenire sulla durata ci permette di modulare lo strumento a seconda di quelle che saranno le evidenze, scavalcando i vari passaggi legislativi. Per questo è importante effettuare attività di monitoraggio.

Un’altra debolezza riguarda le competenze frammentate Stato-Regioni: il decreto dà gli strumenti per creare una collaborazione solida, ma è necessario che le Regioni facciano la loro parte in questo senso. La cosa più giusta sarebbe rafforzare tutto quello che gira intorno al REI, come le politiche abitative e l’inclusione lavorativa.

Un’ulteriore questione riguarda l’indicazione data dal decreto di creare Ambiti territoriali omogenei per il sociale, la sanità ed il lavoro. Si tratta di una necessità fondamentale perché pensare di poter integrare politiche complesse su territori disomogenei è una contraddizione in termini. Importante è poi anche la questione relativa alla celerità dei trasferimenti dalle Regioni agli Ambiti. Infine, resta ancora aperto il problema relativo alla forma di gestione degli Ambiti territoriali, che mette in evidenza una grande disparità tra nord e sud del Paese.

Per concludere, è necessario porre l’attenzione sulla questione dell’internalizzazione dei servizi: il Servizio sociale professionale e l’Ufficio di piano non possono non essere indipendenti dai soggetti esterni. Non è solo la questione del numero di assistenti sociali presenti fisicamente allo sportello, ma la necessità di avere dei dirigenti dei Servizi sociali capaci di gestire il tutto. Queste questioni possono sembrare marginali ma in realtà non lo sono. Chi non ha una rete famigliare deve poter contare su una rete in grado di intervenire: è questo il concetto alla base della nostra prospettiva di azione.

 

Rita Visini (assessore Politiche sociali Regione Lazio)

In Italia si sono scontati troppi anni sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, punto su cui ora non bisogna più transigere. Il percorso sarà molto difficile, gli obiettivi della strategia Europa 2020 sono ancora molto lontani, però c’è una prospettiva da raggiungere, quella dell’universalità della misura.

Le risorse sono significative, soprattutto se si guarda al passato (nel 2012 il fondo per le politiche sociali era stato addirittura azzerato), però c’è bisogno di un piano incrementale per raggiungere l’universalismo. La strada imboccata, peraltro indicata da Regioni e Alleanza contro la povertà, è quella giusta: si tratta di rafforzare due pilastri. Da un lato, il sostegno economico e, dall’altro, la presa in carico. Quando si parla di presa in carico da parte dei servizi territoriali si apre un capitolo enorme che porta dentro un tunnel in cui è difficile comprendere le difficoltà e le possibili soluzioni. Inoltre, molte Regioni ancora non hanno recepito la legge nazionale sulle politiche sociali. È necessario rendersi contro della trasversalità delle politiche sociali: spesso chi gestisce i servizi sui territori è ben lontano da percorsi innovativi ed integrati.

Per quanto riguarda l’attuazione del REI è necessario intervenire ed incrementare i servizi affinché la misura sia più efficiente, a partire dai Centri per l’Impiego chiamati in causa per la promozione dei percorsi di inclusione attiva. Si tratta chiaramente di una sfida con un costo molto elevato: le risorse dovranno necessariamente e progressivamente aumentare, bisogna radicare maggiormente i servizi, marcare una presenza più capillare e meno a macchia di leopardo, implementare le figure professionali di supporto al REI, e attivare le equipe multiprofessionali affinché tutto ciò non resti solo sulla carta.

Infine, sono importanti altre due questioni. La prima è quella redistributiva: intervenire sul contrasto alla povertà non può non passare attraverso un’azione più complessiva, di intervento anche sulla distorsione del sistema fiscale e della pressione fiscale sulle famiglie, specialmente quelle giovani e intrappolate in una situazione di precarietà. La seconda questione riguarda la necessità di rimettere al centro del dibattito la  disoccupazione, specie giovanile. La sfida più grande consiste nel raggiungere quelle persone che sono rimaste troppo indietro e far loro recuperare lo svantaggio che hanno accumulato negli anni nei confronti della comunità. Questo ha un valore politico ma anche, e soprattutto, di dignità umana.

 

Roberto Rossini (portavoce Alleanza contro la povertà e presidente Acli)

Il REI offre l’opportunità di costruire un welfare più ordinato in una situazione sociale molto complessa, in cui si intersecano problematiche conclamate e su cui è difficile agire in termini categoriali. Il REI propone una soluzione sintetica ma non semplicistica: un contributo economico abbinato a percorsi di attivazione. La misura richiede un’attenzione al tema dell’efficienza e dell’efficacia, ma non può essere dimenticato il riordino complessivo degli interventi: è una cosa che deve essere assolutamente fatta.

La povertà è un elemento individuale ma di natura sistemica. Con il REI ci troviamo per la prima volta di fronte a una misura duratura nel tempo, ora si tratta di capire come gestirla.

Alcuni passaggi importanti messi in luce dall’Alleanza contro la povertà:

  • occorre rafforzare le strategie di implementazione del REI attraverso un rafforzamento del ruolo di programmazione delle Regioni. Questo significa stimolare strategie ad hoc per dare vita a integrazioni con le politiche attive del lavoro. Il REI non è solo un’erogazione di reddito, è molto di più. La misura può funzionare bene solo se funzionano bene le filiere che agiscono accanto ad essa e che lo supportano;
  • è necessario completare la governance incrementando il ruolo del terzo settore nella coprogettazione degli interventi, e non solo come un mero erogatore dei servizi;
  • bisogna migliorare l’accountability e la trasparenza: è necessario avere i dati statistici aperti e informazioni per il monitoraggio. Il REI è una misura che deve essere valutata nel tempo;
  • occorre migliorare i modelli di presa in carico, promuovendo un atteggiamento diverso nei confronti della povertà. Nello specifico, bisogna fare riferimento ad equipe multiprofessionali in grado di acquisire la capacità di leggere il territorio e di intervenire in modo adeguato sulle diverse situazioni. In tal senso, è importante la flessibilità delle competenze rispetto a situazioni anche molto diversificate, bisogna quindi puntare molto sulle figure degli assistenti sociali;
  • È necessario riflettere sul tema della povertà minorile, per la quale si deve agire in modo differenziato e con precise strategie.

In conclusione, c’è bisogno di una visione del welfare più complessiva. È necessario riflettere sui meccanismi intergenerazionali, sui fenomeni migratori, sul tema del lavoro e delle pensioni… tutti elementi che rischiano di produrre povertà e di indebolire il welfare. Bisogna fare un ragionamento che riesca a tenere insieme il tutto, e il REI rappresenta l’occasione per farlo.

 

Edi Cicchi (presidente Commissione welfare dell’Anci)

Il REI è senz’altro una misura che può essere in grado di migliorare l’assetto dei servizi e dare risposte alle persone. Certamente l’aspetto del lavoro è un aspetto cruciale: in molti Comuni si è già operato, grazie al SIA, sull’attivazione lavorativa. Tuttavia, se non c’è una continuità nel sostegno e quindi la persona non riesce a superare quel particolare momento di difficoltà, questo rappresenta una criticità. È importante sottolineare la grossa difficoltà nel dialogo e nella messa in campo di azioni ed interventi con i Centri per l’impiego. Il SIA in questo senso ci ha dato la visione di quello che accade nei territori. Per cercare di superare la crisi del mercato del lavoro è necessario sostenere non solo le famiglie più povere, ma anche quelle che consumano per far sì che tornino a consumare, ad esempio attraverso la defiscalizzazione. Si tratta di un investimento sociale che negli anni passati è stato fatto in modo residuale soprattutto per via delle distorsioni del sistema di welfare italiano, che è più riparativo che generativo.

Un altro tema di importanza fondamentale è quello dei servizi sociali. Il SIA è stato avviato senza un rafforzamento del personale. Questo ha generato notevoli difficoltà relative all’incremento sostanziale delle attività. Da qui deriva la necessità di stabilizzazione del personale in modo da creare un rapporto di fiducia con le persone che chiedono  aiuto: se manca questa molti progetti non riescono a decollare.

Il REI ha una copertura molto limitata che va a colmare quel vuoto della povertà assoluta. Tuttavia, molte famiglie hanno solo bisogno di una piccola spinta per ripartire e spesso accanto al tema del lavoro ve ne solo altri di altrettanta importanza, come quello della casa che sta diventando un’emergenza non di poco conto. C’è quindi bisogno di un forte patto tra le istituzioni e di forti politiche di welfare intersettoriali, in grado di abbracciare lavoro, casa e cultura.

 

Maurizio Motta (redattore Welforum.it e Irs)

Il funzionamento efficace di una prestazione contro la povertà presuppone anche un funzionamento efficace del test dei mezzi che utilizza. Il REI utilizza l’ISEE e introduce per metà 2018 nel sistema dell’ISEE (non solo per il REI) alcune utili modifiche. Rimane tuttavia la necessità di chiedersi se restano incardinati nell’ISEE alcuni limiti nel misurare la povertà, per riflettere su alcune possibili piste di miglioramento:

  • I redditi entro l’ISEE sono lordi e non al netto delle ritenute fiscali; dunque contengono anche risorse che i pensionati e i lavoratori dipendenti non hanno mai avuto a disposizione. Le modifiche previste all’ISEE nel 2018 non cambiano questo criterio.
  • I redditi dell’ISEE sono “vecchi” rispetto al momento della prestazione, di norma del secondo anno fiscale precedente la DSU (che è la dichiarazione del cittadino per ottenere l’ISEE). Le modifiche previste all’ISEE migliorano questo nodo, perché dal settembre 2018 i redditi entro l’ISEE saranno quelli dell’anno fiscale precedente (e non più del secondo anno fiscale precedente). Inoltre, sempre ai fini della sua attualizzazione, quando viene richiesto il REI il cittadino dovrà evidenziare se qualcuno del nucleo riceve redditi da lavoro che non sono inclusi nell’intera annualità dell’ISEE presentato, perché percepiti dopo quelli inclusi nell’ISEE. E ancora, i componenti del nucleo familiare che variano la propria condizione lavorativa durante l’erogazione del REI dovranno comunicare all’INPS il reddito annuo futuro previsto, che l’INPS utilizzerà per correggere i redditi entro l’ISEE, al fine di verificare se il nucleo ha ancora i requisiti per continuare a ricevere il ReI. Permangono due nodi:
  • come sia possibile per i fruitori del REI comunicare all’INPS i redditi “annui futuri previsti” per attività lavorative iniziate dopo l’avvio della misura;
  • perché dichiarare solo variazioni dei redditi da lavoro e non di tutti gli altri possibili redditi.
  • I patrimoni entro l’ISEE possono essere di un momento molto precedente la prestazione, perché quelli immobiliari sono quelli posseduti al 31 dicembre precedente la DSU, e quelli mobiliari anche (a meno che sia superiore la giacenza media dell’intero anno precedente). E dunque può accadere che chi richiede il REI in autunno o inverno non possegga più i risparmi che aveva l’anno precedente (o al 31 dicembre precedente), perché ha dovuto spenderli per un funerale, o per assistenza a un non autosufficiente. L’ISEE non considera questa diminuzione né un eventuale aumento dei patrimoni. Le modifiche previste all’ISEE nel 2018 non cambiano questo criterio. E forse invece si potrebbe puntare a:
  • Far immettere nell’ISEE in automatico anche gli importi dei patrimoni mobiliari posseduti alla data della DSU (ossia attuali e non del passato), tramite l’anagrafe dei gestori dei rapporti finanziari operante presso l’Agenzia delle Entrate;
  • Far immettere nell’ISEE (in automatico se e quando possibile) i valori dei patrimoni immobiliari posseduti alla data della DSU (ossia attuali e non del passato), anche tramite gli sviluppi degli archivi dell’Agenzia del Territorio. Peraltro l’articolo 10 del decreto sul REI richiama l’uso dei dati del Catasto nella precompilazione della DSU.
  • Il valore ISEE può essere elevato (o per lo meno non basso) per chi non ha redditi cash disponibili, ma diritti su immobili anche se non sono monetizzabili (tra i beni immobiliari che innalzano l’ISEE sono inclusi quelli inagibili e inabitabili). Le modifiche previste all’ISEE nel 2018 non cambiano questo criterio.
  • Chi ha ricevuto trattamenti assistenziali contro la povertà, che poi sono cessati, li deve immettere entro i redditi dell’ISEE. E dunque rischia di avere un ISEE elevato per il solo fatto che è stato povero e assistito in passato ed oggi potenzialmente escluso da nuove prestazioni.

 

Raffaele Tangorra (direttore generale per l’Inclusione e le Politiche sociali, Mlps)

Durante la presentazione del REI la misura è stata definita come storica ed epocale. Molta strada è stata fatta, ma molta sarà ancora da fare. Due anni fa nessuno di noi poteva sperare che si realizzasse quello è stato fatto oggi per il sistema di welfare territoriale. Siamo anche di fronte alla stabilizzazione del fondo per le politiche sociali e per la prima volta sono stati definiti i livelli essenziali delle prestazioni sociali attraverso la quota servizi del fondo povertà (oltre 400 milioni di euro all’anno da destinare ai territori per il rafforzamento dei servizi di accompagnamento delle persone beneficiare dei REI). Si tratta di risorse che i territori non hanno mai visto.

Il decreto legislativo sul REI innova anche la governance, recuperando lo spirito della legge 328/200 in maniera coerente con la riforma del Titolo V, creando la rete dell’inclusione della protezione sociale costituita da Stato, Regioni e Comuni. La sfida più imponente da affrontare, che non riguarda solo il REI, è quella dell’integrazione delle politiche e della consapevolezza della complessità del bisogno. Ci vogliamo occupare delle fragilità delle famiglie soltanto trasferendo loro risorse economiche? È sicuramente necessario, ma non c’è solo questo.

È evidente che un’ulteriore sfida è quella dei servizi, e quindi non solo quella di trasferire risorse alle famiglie povere, ma di mettere assieme tutti i soggetti protagonisti della riforma (come Inps e Comuni). Un altro problema riguarda i servizi: Centri per l’impiego e Comuni per molto tempo non hanno dialogato, del comparto socio-lavorativo nessuno ha mai parlato. La seconda sfida è quindi quella di creare e incrementare la rete dei servizi territoriali.

L’ultima sfida è quella di fare leva sulle forze produttive e sociali del territorio. È necessario non solo il coinvolgimento del terzo settore ma anche quello delle imprese, in modo da rendere più inclusivi non solo i servizi ma anche le imprese. Ovviamente, il lavoro deve essere fatto anche sulle forze sociali, tipicamente poco coinvolte, e sulla loro partecipazione alla progettazione dei servizi. Spesso queste hanno agito come servizi paralleli e non integrati: è arrivato il momento di iniziare a fare rete con chi si è impegnato sul territorio nella lotta contro la povertà.

Ovviamente, bisogna dare tempo alla misura di crescere e bisogna esserne consapevoli delle difficoltà e delle disparità a livello territoriale. Per la prima volta nella storia del nostro Paese, ci stiamo però dotando di strumenti che ci permetteranno di superarle.