Coprogettazione: modalità di interazione tra pubblico e privato sociale

Un'esperienza


Giorgia Camilla | 25 Settembre 2020

In un contesto di welfare sempre più dinamico e mutevole, gli attori pubblici e privati stanno ricercando nuove modalità comunicative e di interazione al fine di costruire un sistema integrato, capace di rendere sinergiche le risorse di attori differenti, tendenza presente nel nostro ordinamento fin dalla legge 328/2000.Uno degli strumenti a tal fine più rilevanti è sicuramente la coprogettazione. Si tratta di una modalità di azione grazie alla quale soggetti pubblici e del Terzo settore, accomunati da uno stesso obiettivo, hanno la possibilità di condividere idee, risorse, professionalità, riconoscendo reciprocamente il sapere specifico di cui ciascun partecipante al tavolo è portatore.

Ciò non significa che il solo fatto di avviare un’iniziativa di coprogettazione porti a superare tutte le difficoltà insite nell’interazione tra pubblico e Terzo settore. Coprogettare, infatti, significa mettersi in gioco e destrutturare tutte le modalità relazionali consolidatesi nel corso del tempo e rinunciare, anche da parte dell’ente pubblico che ha promosso la coprogettazione, a considerare di possedere il monopolio della conoscenza e conseguentemente del potere decisionale.

 

Le considerazioni qui esposte derivano dall’analisi di un caso specifico, il progetto Comunicare, promosso nel 2017 dall’Ufficio Interdistrettuale di esecuzione penale esterna di Torino, il quale ha visto la partecipazione della Provincia e del Comune di Cuneo, della Città metropolitana di Torino e da svariate realtà del Terzo settore operanti nel torinese e nel cuneese.

Tale progetto aveva come obiettivo la personalizzazione del programma trattamentale delle persone sottoposte alla messa alla prova1, coinvolgendo, con varie modalità, anche le comunità e i contesti territoriali in tali percorsi.

Un elemento significativamente positivo nell’interazione tra attori pubblici e attori del Terzo settore è stata indubbiamente la capacità nel verbalizzare i propri desiderata, in primis l’interesse verso un nuovo modello di collaborazione tra pubblico e privato, senza che ciò andasse ad inficiare il focus del progetto.

 

Uno degli aspetti più interessanti della coprogettazione è senza dubbio il modificarsi del tradizionale rapporto di committenza in cui il pubblico “decide” e il privato “esegue” in favore di processi decisionali maggiormente cooperativi e improntati ad una logica di governance2. Tuttavia, se sul piano teorico definire questo cambio di paradigma appare semplice, la sua concretizzazione è indubbiamente più complessa e comporta la ridefinizione del ruolo dell’attore pubblico come soggetto che, definite le priorità generali, diventa attivatore e integratore di risorse del territorio, inquadrando quindi in quel contesto il Terzo settore non soltanto come soggetto esecutivo, come tipicamente avviene in altre modalità di rapporto quali l’appalto e la concessione di servizi, ma valorizzandone il ruolo attivo e propositivo.

A questo proposito, nell’esperienza citata, una delle criticità rilevate nell’esperienza è stata una certa tendenza dell’Ente pubblico capofila ad assumere un ruolo eccessivamente direttivo, manifestando quindi una maggiore chiusura verso le istanze degli attori privati, spesso fraintese e riportate a mere questioni di budget. La scarsa accoglienza delle sollecitazioni dei soggetti di Terzo settore coinvolti può essere collegata, oltre che alle questioni culturali sopra citate, ad una scarsa conoscenza reciproca e alla necessità di progettare in tempi strettissimi, avendo così occasioni limitate dedicate al confronto e alla conoscenza delle specifiche caratteristiche e peculiarità.

 

Un’altra questione rilevante nelle esperienze di coprogettazione è sicuramente, quella del cofinanziamento. Si tratta di un elemento che, se correttamente inteso – come impegno comune nella ricerca e nell’utilizzo delle risorse – può contribuire a responsabilizzare tutti i partecipanti verso la realizzazione del progetto, ma che può concretizzarsi in modalità penalizzanti per il Terzo settore. La penalizzazione è dovuta, in primis, all’opinione, ancora troppo diffusa, che il Terzo settore debba costare poco e che tutte le risorse a disposizione debbano essere investite nelle attività a diretto contatto con l’utenza nei progetti a cui partecipa e ignorando i costi di organizzazione che consentono di operare3. Nel progetto Comunicare, ad esempio, i soggetti di Terzo settore sono stati rimborsati per i costi vivi sostenuti nella realizzazione delle attività, ignorando però le spese necessarie per le funzioni di back office e per le funzioni che assicurano la qualità dell’organizzazione.

 

La coprogettazione appare dunque uno strumento estremamente valido, tuttavia è necessario sottolineare come “decidere di coprogettare” e “coprogettare in pratica” siano due cose estremamente differenti. Onde evitare di incappare in alcune delle criticità fin ora esposte si propongono alcune attenzioni emerse come rilevanti nell’esperienza citata.

È necessario dedicare uno spazio congruo alla conoscenza reciproca, inserendo all’interno del processo di lavoro una fase precedente alla discussione delle proposte progettuali, dedicata alla presentazione dei soggetti coinvolti, per far sì che si possa iniziare concretamente ad operare sulla base di una minima conoscenza reciproca e quindi con la possibilità di valorizzare al meglio le risorse di ciascun partner.

Ciò che si ritiene utile suggerire è un’attenta attività di confronto che, a partire dagli obiettivi generali del progetto individuati dall’Amministrazione, lavori per la condivisione delle modalità con cui il gruppo di lavoro intende raggiungerlo.

La partecipazione, la condivisione e la coprogettazione devono essere elementi presenti non soltanto in senso teorico, ma anche in senso concreto. Per far sì che ci si possa allontanare dalle logiche dell’appalto, quindi, è necessario che, ancor prima di affrontare la reciproca conoscenza, ciascun soggetto partecipante si interroghi sul proprio ruolo, sui propri obiettivi e sulle proprie modalità di funzionamento, comprendendo altresì che si dovrà addentrare in un clima di negoziazione in cui alcune prerogative saranno accolte ed altre no.

  1. La messa alla prova è stata introdotta nell’ambito penale degli adulti nel 2014 (Legge 28 aprile 2014, n.67) per quei reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria. Essa comporta, oltre all’obbligo del lavoro di pubblica utilità, la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, se possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato.
  2. Per un approfondimento si rimanda a Bifulco L., Centemeri L., La partecipazione nei piani sociali di zona: geometrie variabili di governance locale, in Stato e Mercato, fascicolo 2, agosto 2007
  3. Per ulteriori approfondimenti si rimanda all’articolo di Carola Carazzone, “Due miti da sfatare per evitare l’agonia per progetti del Terzo settore”.