Coprogrammazione e coprogettazione, in equilibrio tra autorità e libertà


Alessandro Lombardi | 30 Gennaio 2019

Alessandro Lombardi, alla guida della Direzione Generale Terzo settore e della Responsabilità sociale delle imprese del Ministero del Welfare, interviene al Convegno Welforum.it del 17 dicembre scorso,1 facendo il punto sull’art. 55 del Codice del Terzo settore che rilancia coprogrammazione e coprogettazione.

 

In questa sede vorrei concentrarmi su un inquadramento di carattere giuridico degli istituti contemplati nell’art. 55 del Codice del terzo settore.

Per fare questo è però opportuno fare un passo indietro e contestualizzare queste disposizioni, da un lato, all’interno del quadro più complessivo del Codice del terzo settore e, dall’altro, all’interno dell’intero ordinamento giuridico. In tale prospettiva, il nostro punto di partenza è l’art. 118 comma 4 che tratta il tema della sussidiarietà orizzontale, richiamato anche nelle premesse del Codice.

 

Nell’affrontare la relazione tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore, il principio di sussidiarietà deve essere visto sia nella dimensione verticale che in quella orizzontale. La sussidiarietà verticale è una delle ragioni d’essere della normativa in materia di terzo settore perché, da un lato – come recentemente confermato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n.185/2018 – la disciplina degli enti del terzo settore, in quanto regolativa di soggetti giuridici privati e del loro rapporto con altri soggetti giuridici privati e con la stessa pubblica amministrazione, attiene alla competenza statale. Dall’altro, le attività di interesse generale svolte dagli enti del terzo settore vanno ad intersecarsi con una pluralità di settori e di materie, alcune riconducibili alla competenza statale, altre riconducibili a quella regionale.

Da qui dunque la necessità che la declinazione del principio di sussidiarietà trovi una sua esplicitazione anche nel profilo verticale: e di questo vi è una diffusa applicazione in quelle disposizioni che, facendo proprio il principio di leale collaborazione, subordinano l’adozione di alcuni decreti ministeriali attuativi o di atti di indirizzo alla preventiva acquisizione dell’intesa (o del parere) in sede di Conferenza Unificata o di Conferenza Stato – Regioni, nonché nella previsione della rappresentanza del sistema degli enti territoriali all’interno di alcuni organismi.

Lo stesso art.55 può essere letto in quest’ottica, in quanto in esso viene effettuato un richiamo specifico ad una serie di principi che costituiscono la cornice entro la quale si sviluppano le varie forme relazionali tra pubblica amministrazione e terzo settore: quello dell’autonomia organizzativa e quello dell’autonomia regolamentare. Attraverso il richiamo a tali principi è possibile stabilire come ogni amministrazione – Stato, Regioni e Comuni – possa concretamente e legittimamente dotarsi di disposizioni di carattere generale, aventi anche natura regolamentare, attraverso le quali è possibile declinare la disciplina della coprogrammazione, coprogettazione ed accreditamento.

La genericità della formulazione dell’art. 55, che ad una prima lettura potrebbe sembrare un punto di debolezza del dettato, è in realtà una scelta regolatoria, espressione del riconoscimento dell’autonomia e delle competenze a livello regionale in relazione alle attività e servizi suscettibili di essere coinvolti. L’art. 118 comma 4 deve poi essere letto non nella sola prospettiva delle pubbliche amministrazioni poiché, se guardiamo alla sostanza e alla portata della disposizione, i veri protagonisti sono i cittadini, in forma singola o associata, che svolgono attività di interesse generale rispetto alle quali i pubblici poteri sono chiamati a svolgere quel ruolo proattivo di capacitazione, finalizzato a favorire la realizzazione stessa di queste attività. Siamo quindi in presenza di una disposizione che costituisce espressione del ricorrente, complesso equilibrio tra autorità e libertà. Tale punto di equilibrio può essere riscontrato sempre nell’art. 55, nel richiamo ai principi della L n.241/1990. In particolare, vi è un ancoraggio delle procedure ai principi di trasparenza, imparzialità e pubblicità dei criteri che assicurano il rispetto dell’evidenza pubblica in una concezione diversa rispetto a quella delle procedure di gara.

L’equilibrio individuato dal legislatore consiste nella procedimentalizzazione dell’attività. È quindi possibile dare un’ulteriore lettura che tenga conto non soltanto dei principi della L n.241/1990, ma anche del D.Lgs. n. 33/2013, in tema di pubblicità e trasparenza, che sono canoni posti a presidio della legittimità dell’azione amministrativa. Nell’art. 55 vi sono le definizioni di coprogrammazione e coprogettazione, e vengono fissati i canoni a cui deve essere legata l’attività. In alcuni punti si parla di pubblica amministrazione e in altri di amministrazione pubblica procedente. In questo modo si calano concretamente la coprogrammazione, coprogettazione ed accreditamento all’interno del procedimento amministrativo. In questo caso il ruolo della pubblica amministrazione è quello di regia e di tessitura del procedimento al quale tutti i soggetti interessati sono chiamati a partecipare. L’art. 55 prende in considerazione gli enti del terzo settore in senso ampio, senza alcuna distinzione. Il procedimento amministrativo è indetto dalla pubblica amministrazione che rende pubblica la sua volontà di avviare il percorso di coprogrammazione, coprogettazione ed accreditamento ai sensi delle disposizioni in tema di pubblicità e trasparenza. Questa volontà, contenuta nell’atto di avvio del procedimento amministrativo, dovrà essere portata a conoscenza dei soggetti potenzialmente interessati, dopo di che si avrà la presentazione delle candidature a partecipare al tavolo, lo svolgimento del tavolo medesimo, i cui lavori saranno compendiati in un documento finale sottoposto alle regole della pubblicità.

Alla coprogrammazione segue poi la fase successiva della coprogettazione su cui vi sarà l’acquisizione delle manifestazioni di volontà dei soggetti a partecipare alla procedura stessa, all’individuazione dei soggetti abilitati a co progettare con la P.A. , allo svolgimento dei tavoli di co-progettazione, per arrivare poi alla sottoscrizione della convenzione, che si configura quale accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo finale.

Gli elementi su cui è importante soffermare l’attenzione sono gli aspetti qualificanti di questi istituti, che ultimamente sono stati messi in discussione. La prima considerazione è politica. La pubblica amministrazione ha davanti a sé due possibili strade da percorrere al fine del soddisfacimento dei bisogni emergenti: la procedura di gara e quella degli strumenti collaborativi.

 

Alla base di queste due modalità vi sono differenti concezioni, ma anche differenti atteggiamenti nella risoluzione del bisogno. La coprogrammazione, coprogettazione ed accreditamento si realizzano quando, da parte della pubblica amministrazione, vi è la consapevolezza della necessità di acquisire gli apporti dei soggetti privati. Oltre a questo, ci troviamo in presenza di diverse fattispecie anche sotto il profilo delle conseguenze e delle caratterizzazioni: all’esito della procedura di gara si costituirà un rapporto giuridico di natura contrattuale a carattere oneroso, e sinallagmatico, laddove, all’esito del procedimento di co progettazione si costituisce un rapporto convenzionale a titolo non oneroso in virtù del quale P.A. e enti del terzo settore collaborano, attraverso la messa a disposizione di risorse proprie allo svolgimento di attività di interesse generale finalizzate al soddisfacimento dei bisogni della comunità.

Proprio sulla distinzione tra onerosità e gratuità è necessario fare chiarezza. Il concetto di gratuità è un concetto opposto a quello di onerosità non nel senso riduttivo che traspare dal recente parere del Consiglio di Stato, ma nel fatto che la gratuità si deve intendere come assenza di profitto mediante l’applicazione del principio del rimborso delle spese affettivamente sostenute. Tale concetto permette la possibilità di dedurre nel rapporto collaborativo tutte le spese sostenute, anche quelle attinenti alla remunerazione dei fattori produttivi, e le spese relative agli oneri di funzionamento imputabili all’attività dedotta dal rapporto collaborativo stesso.

 

Vi sono poi altri elementi su cui riflettere. Innanzitutto il concetto di gratuità richiama il diritto eurounitario: un orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’UE che, in tema di rapporti con una categoria specifica di enti del terzo settore (quale le organizzazioni di volontariato), ha affermato come sia possibile ammettere anche gli oneri sostenuti per la remunerazione dei lavoratori impiegati nella misura strettamente necessaria allo svolgimento delle attività oggetto di collaborazione. In caso contrario, si verificherebbe l’impossibilità delle organizzazioni di perseguire le finalità di solidarietà a cui è teso lo svolgimento delle attività oggetto della collaborazione. Questo concetto è peraltro ripreso anche negli articoli del Codice dedicati alle organizzazioni di volontariato, laddove si ricorda come tali enti possano impiegare lavoratori nella misura strettamente necessaria allo svolgimento delle attività di interesse generali, e per ciò sottoposti ai limiti numerici in relazione al rapporto tra numero di lavoratori e numero di volontari. È possibile poi fare un passo ulteriore e guardare alla disciplina dell’accreditamento, perché questo argomento è stato recentemente posto in consultazione pubblica da Anac il documento contenente l’aggiornamento nazionale del Piano anticorruzione. Nell’allegato dedicato alla gestione dei fondi strutturali, esso si concentra sull’applicazione delle misure di trasparenza. La cosa interessante è che Anac contempla, accanto alle procedure classiche di gara disciplinate dal Codice dei contratti, l’accreditamento. In questo documento si compie un ulteriore passo in avanti perché si afferma che l’accreditamento possa svilupparsi anche mediante il ricorso all’opzione di semplificazione dei costi, vale a dire al sistema dei costi standard (che tiene conto anche della remunerazione delle risorse umane impiegate). Se quindi la remunerazione entra a dar parte del costo standard, e il costo standard stesso fa parte della procedura di accreditamento, e se l’accreditamento è uno strumento diverso rispetto alla classica erogazione del servizio, allora vuol dire che ci troviamo in presenza di un concetto di gratuità che non combacia con il parere del Consiglio di Stato.

 

In realtà, non è possibile leggere tutte le forme relazionali tra pubblica amministrazione e terzo settore esclusivamente attraverso il principio eurounitario di tutela della concorrenza. Vi sono ulteriori principi, di rango costituzionale ed al contempo eurounitario, quali il principio di solidarietà ( più volte richiamata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE a proposito delle attività svolte dagli enti non lucrativi) e quello di tutela degli equilibri di bilancio. L’art. 81 della Costituzione può quindi in qualche modo orientare le scelte della pubblica amministrazione, rafforzandole di legittimità. Quali conseguenze può avere in termini di impatto negativo sugli equilibri di bilancio una lettura che contempla esclusivamente il contratto pubblico, come unica forma di regolazione del rapporto tra pubblica amministrazione ed enti del terzo settore? Essa priverebbe la P.A. procedente dei possibili apporti, in termini di cofinanziamento, che potrebbero essere forniti da parte dei soggetti coinvolti nella co- programmazione, con la conseguenza paradossale di un maggior onere finanziario a carico dell’ erario pubblico.

 

Le considerazioni contenute nel presente testo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

  1. Ricordiamo che sono già apparsi su welforum.it l’intervento introduttivo di Gianfranco Marocchi e l’intervento dell’Assessore Augusto Ferrari.