Aspettando Godot? Il digitale nel welfare dei servizi sociali


Sergio Pasquinelli | 26 Luglio 2023

Nel 2050 saremo assistiti da badanti-robot?

Da tempo si parla di servizi di welfare digitali, da qualche anno addirittura di intelligenza artificiale nel welfare sociale. In sanità lo sbarco è già avvenuto, non tanto nei servizi territoriali quanto in quelli ospedalieri. Qui diversi dispositivi diagnostici e terapeutici sono già, da tempo, al lavoro.

Quando e come il digitale entrerà “strutturalmente” nel welfare sociale, di territorio? Già la cosiddetta telemedicina sta facendo fatica ad essere adottata su vasta scala. Siamo ancora nella fase dei progetti, delle sperimentazioni, delle buone prassi. Come il progetto di tecnologia avanzata per persone con autismo “Blu Home”1. Oppure come le esperienze di monitoraggio da remoto, con sensori domestici, piattaforme di telemedicina con funzioni di assistenza a distanza e così via.

Il PNRR destina alla telemedicina 1 miliardo, con l’obiettivo di arrivare, entro il 2025 a 200.000 pazienti seguiti con questa modalità. Nelle sue declinazioni diverse di tele-monitoraggio, televisita, teleconsulto, teleassistenza e controllo di pazienti con patologie cardiologiche, respiratorie, neurologiche e oncologiche. Indubbi sono i risparmi e l’efficienza maggiore di queste funzioni svolte da remoto (e tuttavia rimane controverso l’impatto in termini di qualità delle cure: la rivista “Journal of Telemedicine and Telecare” offre molto su cui riflettere).

Un nodo ampiamente aperto nel nostro paese è il rapporto tra nuove tecnologie e innovazione dei processi organizzativi. Spesso i due livelli non si tengono per mano limitando i benefici potenziali. Prendiamo il caso delle ricette elettroniche. Hanno introdotto innegabili comodità per chi può recarsi direttamente in farmacia con la prescrizione ricevuta sul cellulare, via email o sms. Ma è proprio la singola prescrizione che a questo punto diventa obsoleta, per esempio nel caso dei pazienti cronici o di lunga durata, costretti a richiedere periodicamente la stessa ricetta al proprio medico, invece di avere una prescrizione di più lungo termine, rivedibile nel tempo ma che farebbe risparmiare tempo ai pazienti e ai loro medici di base.

Le nuove tecnologie digitali applicate al welfare vanno collocate dentro un progetto e a partire da bisogni di cui si conoscono dimensioni e caratteristiche. Ricorre invece l’errore di partire dai nuovi dispositivi a disposizione e immaginare l’innovazione tutta costruita intorno ad essi. Partire viceversa da un progetto consente di affrontare correttamente il tema cruciale della complementarietà tra nuove tecnologie e assistenza in presenza, un’assistenza che mai potrà essere sostituita per intero dalle prime.

Teniamo inoltre presente l’indicatore Desi (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea2, il quale colloca il nostro Paese in termini di competenze digitali al terz’ultimo posto: in Italia le possiede il 35% della popolazione a fronte di una media UE del 48%. Ciò significa che occorre un investimento enorme in termini formativi, per evitare quel digital divide che ha già tristemente generato grandi diseguaglianze nella scuola, negli anni della pandemia.

Dopo la pandemia ci si aspettava un’accelerazione dei processi di digitalizzazione del welfare che ancora non si è vista. Non esiste un solo LEPS (Livello essenziale delle prestazioni sociali) che prevede l’uso di un dispositivo digitale nei processi di assistenza e cura delle persone. E così la loro introduzione non può che basarsi sull’iniziativa di questa o quella Regione, con regole difformi di accesso, utilizzo, estensione. Siamo ancora al fai-da-te istituzionale. Mancano schemi, linee guida, indirizzi su quale governance dovrebbe presiedere l’utilizzo di (quali) dispositivi, la loro diffusione, nonché il monitoraggio e la valutazione dell’impatto generato. Il “Modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare” (PNRR M6C1) prodotto da Agenas è un primo passo, ma tutto sanitario e lontano dall’obiettivo di una vera integrazione col versante sociale e tutelare.

Servono capacità di regia e di governo delle nuove tecnologie, che chiamano in causa professioni diverse, funzioni diverse, competenze diverse, chiamate a lavorare insieme. La posta in gioco è quella di fare sistema tra tecnica e relazione “umana”, scongiurando la minaccia di una intelligenza artificiale che porterebbe all’estinzione dell’umanità (allarme lanciato sulle pagine del New York Times da 350 leader mondiali dell’industria), ma evitando al tempo stesso di non cogliere le molte opportunità esistenti.

  1. Qui descritto: Autismo e tecnologie innovative, welforum.it
  2. Commissione Europea, Digital Economy and Society Index (DESI) 2021, Human Capital, Brussels, 2022.