Perché stiamo perdendo il welfare universale


Sergio Pasquinelli | 16 Gennaio 2023

Nel diluvio di bonus che ci consegna la legge di bilancio 2023, dobbiamo districarci in mezzo ai limiti Isee a cui molti di essi sono vincolati. Così il bonus bollette va a chi non supera i 15.000 euro di Isee, la Carta Cultura Giovani a famiglie con Isee non superiore a 35.000, il bonus psicologo varia a seconda della fascia Isee di appartenenza, la Carta Risparmio Spesa è riconosciuta con Isee fino a 15.000 euro, così come il Superbonus per ristrutturazioni domestiche. E poi naturalmente c’è l’Assegno unico universale per i figli fino a 21 anni, una misura progressiva sulla base delle condizioni economiche familiari: premia le famiglie più povere e si riduce in modo rilevante dai 25.000 euro di Isee in su. Infine ci sono tutte le misure locali: dalla retta per gli asili nido a quella per i ricoveri in Rsa, agli abbonamenti ai mezzi pubblici: ci si imbatte sempre con l’Isee, uno strumento di una certa complessità, che induce i più a chiedere aiuto, nella sua compilazione, a un Centro di assistenza fiscale (Caf). Certo, nella congiuntura attuale la decisione di aiutare i più poveri ha le sue giustificazioni, e il governo ha deciso di mantenere molti bonus nel 2023 per aiutare i nuclei in condizioni più povere e precarie. Ricordiamo che secondo l’Inps metà delle famiglie italiane ha un Isee che non supera i 10.000 euro. Ma a questo punto è legittimo chiedersi quanto è rimasto di universalistico nel nostro stato sociale, e se a questa nozione diamo ancora un valore. Perché chi viene escluso o penalizzato da valori Isee variabili appartiene a quel ceto medio che non se la sta passando proprio benissimo. Chi ha un Isee di 15.000 euro si può dire benestante se vive da solo, ma non esattamente la stessa cosa se ha dei figli a carico, e così via.

Anni fa si parlava di universalismo selettivo, principio ispiratore delle politiche contro la povertà e delle prime sperimentazioni di un reddito di base (il RMI), ma poi utilizzato per estensione anche in altri ambiti, finendo per nascondere una sostanziale ambiguità di direzione. Ora la direzione sembra chiara: selettività senza, o a bassissimo, universalismo: significa procedere per pezzi, discriminando meritevoli d’aiuto e non meritevoli. Lo smantellamento del Reddito di cittadinanza è coerente con questo approccio: un’operazione del tutto evidente nel cambiamento del concetto di lavoro “congruo” e nella cancellazione della funzione dei navigator, lasciando soli i già depotenziati Centri per l’impiego con i suoi ottomila addetti (la Germania ne ha 110 mila, il Regno Unito 67 mila, la Francia 54 mila). Una direzione diversa dovrebbe essere garantita dai livelli essenziali delle prestazioni – LEP, un sistema con pesanti limiti, su cui ha scritto parole chiare Maurizio Motta su questo sito. E allora nascono ulteriori domande. Per esempio: l’Assegno unico è uno strumento per favorire la natalità o per ridurre la povertà delle famiglie con figli? L’idea di fondo dell’Assegno è quella di condividere e socializzare l’investimento sulla crescita delle nuove generazioni, ma la sua selettività in base al reddito ne riduce la portata e gli effetti. In Germania sono riusciti a rialzare i tassi di fecondità con assegni più generosi (219 euro al mese per il primo e secondo figlio, 225 per il terzo, 250 per il quarto) e a prescindere dalle condizioni economiche familiari.

Anno dopo anno, bonus dopo bonus, il nostro stato sociale assume una vocazione pauperistica, per i marginali, che lascia fuori ampie quote di ceto medio e che non si pone il tema di una responsabilità collettiva, condivisa, che riguarda tutti. Alla fatidica domanda “quanto dare a chi?” la legge di bilancio 2023 risponde con la scelta di dare poco a diversi, per target di consumo, ma a pochi, per classe sociale. Come afferma Alessandro Rosina “non riusciamo ad uscire dalla logica del welfare pubblico in chiave assistenzialista e farlo evolvere in solido investimento sociale”1.

È significativo che l’unica misura davvero universalistica, l’indennità di accompagnamento, che prescinde dalle condizioni di reddito ma che presenta molti limiti e iniquità (a cui Welforum ha dedicato il suo primo Dossier), continui a essere difesa da molti, come l’ultimo bastione di un welfare che oggi sembra appartenere al passato.

  1. A. Rosina, I nostri giovani sono giovani troppo a lungo, in: “Il Sole 24 Ore”, 28 dicembre 2022.